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Corte Costituzionale e Corte Europea dei Diritti dell'Uomo sul tema del blocco della perequazione automatica delle pensioni

Scritto da: Massimo Manzini - Pubblicato su IUSTLAB




Pubblicazione legale:

October 3, 2018

Il 10 Luglio 2018 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è pronunciata sui ricorsi proposti da circa 10 mila pensionati coinvolti dalle misure della c.d. “Legge Fornero” del 2011.

 

La questione: i ricorrenti sono cittadini Italiani titolari di una pensione pubblica a carico dell’INPS; alcuni percepiscono anche una pensione integrativa a carico di fondi pensione privati. La legge 388/2000 ha definito il criterio di adeguamento annuale delle pensioni alla variazione del costo della vita, sulla base di un incremento in percentuale che viene calcolato annualmente per tutte le pensioni sulla base di un Decreto del Ministro del Lavoro che comunica la percentuale di aumento del costo della vita calcolato dall’ISTAT.

 

Il Decreto Legge 6 Dicembre 2011 n. 201 (nel quale sono state inserite una serie di misure straordinarie finalizzate alla correzione dei conti pubblici, tra le quali per l’appunto la riforma del sistema previdenziale nota come “Legge Fornero”) ha tuttavia escluso il diritto alla perequazione con riferimento agli anni 2012 e 2013. Per un effetto c.d. “di trascinamento” il blocco della perequazione è stato sostanzialmente esteso anche agli anni successivi al 2013.

 

La Corte Costituzionale con sentenza n. 70 del 30.04.2015 ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 24 comma 25 del D.L. 201/2011 (poi convertito nella legge 22.12.2011 n. 214) affermando “Risultano dunque intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (Art. 36 comma 1° Cost.) e l’adeguatezza (art. 38 comma 2° Cos.).

 

Il Governo in carica emanava tuttavia il Decreto Legge n. 65 del 21 Maggio 2015, finalizzato ad evitare il pagamento delle perequazioni maturate sulle pensioni e, quindi finalizzato ad evitare la restituzione del blocco delle  perequazioni introdotto con la c.d. “Riforma Fornero”, sulla base del fatto che dall’applicazione della sentenza della Corte Costituzionale sarebbero derivati “rilevanti effetti negativi per la finanza pubblica”. Contestualmente il Decreto Legge n. 65/2015 prevedeva un rimborso parziale delle somme dovute, limitandone una percentuale minima a favore delle pensioni più basse, ed escludendo il rimborso della perequazione per le pensioni di importo medio ed alto[1].

 

Qualora il Governo non avesse emanato il D.L. 65/2015, in assenza di un vuoto normativo avrebbe ripreso vigore il criterio di indicizzazione al 100% delle fasce di pensioni di importo fino a 3 volte il trattamento minimo, al 90% per le fasce di pensioni comprese tra 3 e 5 volte il trattamento minimo e del 75% per le fasce di pensioni di importo superiore a cinque volte il trattamento minimo.

 

Il ricorso incidentale davanti alla Corte Costituzionale: con ricorso incidentale avanti alla Corte Costituzionale, numerosi giudici hanno sollevato questione di legittimità costituzionale del D.L. 65/2015 per asserita violazione a) dell’art. 3 Cost. (principio di uguaglianza e di ragionevolezza della legge); b) dell’art. 6 CEDU (diritto ad un equo processo e del giudicato); c) dell’art. 1 del Protocollo 1 della CEDU (diritto di credito alla pensione); d) dell’art. 136 Cost. (giudicato costituzionale); e) dell’art. 38 Cost. (principio di adeguatezza della pensione); f) dell’art. 36 Cost. (principio della giusta retribuzione).

 

La Corte Costituzionale con sentenza n. 250 del 1° Dicembre 2017 dichiarò l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 65/2015: di fatto operando un revirement rispetto alla precedente sentenza n. 70/2015 nella quale aveva ritenuto illegittimo il blocco della perequazione disposto dalla c.d. “Riforma Fornero”, blocco non più recuperato negli anni successivi al punto da rendere permanente nei fatti quella che avrebbe dovuto essere una misura temporanea.

 

La Corte Costituzionale motivava la propria decisione nel 2017 sulla base dell’argomentazione che il D.L. n. 65/2015 non era identico al D.L. 201/2011 convertito nella legge n. 214/2011. Tuttavia il D.L. 65/2015 aveva efficacia retroattiva e conseguentemente svuotava la portata applicativa della sentenza della Corte Costituzionale n. 70/2015 che aveva ritenuto illegittimo il blocco della perequazione delle pensioni.

 

All’esito della sentenza della Corte Costituzionale n. 250/2017 i ricorsi pendenti avanti ai Tribunali ordinari, in funzione di Giudici del Lavoro, finalizzati a conseguire la condanna dell’INPS al pagamento delle somme dovute a titolo di perequazione, venivano rigettati con la condanna in moti casi dei ricorrenti al pagamento delle spese giudiziali.

 

La pronuncia della C.E.D.U.: la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, investita della questione, in considerazione dell’esaurimento dei rimedi giurisdizionali previsti dall’ordinamento processuale italiano, si è pronunciata sulla vicenda il 10 Luglio 2018, respingendo i ricorsi.

 

La C.E.D.U. ha sostanzialmente motivato la propria decisione conformandosi all’indirizzo della Corte Costituzionale (sent. n. 250/2017), sottolineando l’esigenza di contenimento della spesa pubblica perseguita dal legislatore e, nello specifico dal Governo che nel 2015 emanava il D.L. n. 65. rilevando come “l’introduzione delle nuove disposizioni mirasse da una parte a permettere l’adeguamento dell’ordinamento giuridico alla sentenza della Corte Costituzionale n. 70/2015 e dall’altra a rispettare l’equilibrio del budget e gli obiettivi di contenimento della spesa pubblica. Tutto ciò con l’obiettivo di proteggere il livello minimo delle prestazioni sociali e di garantire il funzionamento del sistema pensionistico per le generazioni future”.

 

A giudizio della C.E.D.U.:

  1. l’adozione del D.L. 65/2015 coincideva con un momento di particolare difficoltà della situazione finanziaria dell’Italia, al punto da rischiare l’apertura della procedura di infrazione da parte della Commissione Europea per deficit eccessivo (circostanza in realtà poi evitata). l’impianto del D.L. n. 65/2015 era, ad avviso della C.E.D.U., meritevole di salvaguardia in quanto mirava a realizzare un’operazione di redistribuzione in favore dei percettori di pensioni moderate, preservando la sopravvivenza del sistema di sicurezza sociale in favore delle generazioni future, in un contesto in cui il margine di manovra dello Stato Italiano era ridotto;

  2. era condivisibile che la sentenza n. 250/2017 della Corte Costituzionale, nel salvaguardare il D.L. n. 65/2017, avesse rilevato come il sistema di restituzione della perequazione in rapporto all’importo dei singoli trattamenti pensionistici fosse rispettoso del principio di proporzionalità,

  3. la riforma del meccanismo perequativo introdotta dal D.L. n. 65/2015 non era di livello tale da esporre i ricorrenti al rischio di disporre di mezzi di sopravvivenza insufficienti e tali da palesare un contrasto con il Protocollo 1 della CEDU (Diritto di credito alla pensione).

 

 

 

[1] Nei lavori parlamentari il Governo giustificava la misura non già in relazione all’esigenza di dover colmare un vuoto normativo, del resto inesistente dal momento che la legge 388/2000 definisce le modalità di rivalutazione dei trattamenti previdenziali all’andamento del costo della vita, bensì

Corte Costituzionale e Corte Europea dei Diritti dell'Uomo sul tema del blocco della perequazione automatica delle pensioni

October 3, 2018

Il 10 Luglio 2018 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è pronunciata sui ricorsi proposti da circa 10 mila pensionati coinvolti dalle misure della c.d. “Legge Fornero” del 2011.

 

La questione: i ricorrenti sono cittadini Italiani titolari di una pensione pubblica a carico dell’INPS; alcuni percepiscono anche una pensione integrativa a carico di fondi pensione privati. La legge 388/2000 ha definito il criterio di adeguamento annuale delle pensioni alla variazione del costo della vita, sulla base di un incremento in percentuale che viene calcolato annualmente per tutte le pensioni sulla base di un Decreto del Ministro del Lavoro che comunica la percentuale di aumento del costo della vita calcolato dall’ISTAT.

 

Il Decreto Legge 6 Dicembre 2011 n. 201 (nel quale sono state inserite una serie di misure straordinarie finalizzate alla correzione dei conti pubblici, tra le quali per l’appunto la riforma del sistema previdenziale nota come “Legge Fornero”) ha tuttavia escluso il diritto alla perequazione con riferimento agli anni 2012 e 2013. Per un effetto c.d. “di trascinamento” il blocco della perequazione è stato sostanzialmente esteso anche agli anni successivi al 2013.

 

La Corte Costituzionale con sentenza n. 70 del 30.04.2015 ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 24 comma 25 del D.L. 201/2011 (poi convertito nella legge 22.12.2011 n. 214) affermando “Risultano dunque intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (Art. 36 comma 1° Cost.) e l’adeguatezza (art. 38 comma 2° Cos.).

 

Il Governo in carica emanava tuttavia il Decreto Legge n. 65 del 21 Maggio 2015, finalizzato ad evitare il pagamento delle perequazioni maturate sulle pensioni e, quindi finalizzato ad evitare la restituzione del blocco delle  perequazioni introdotto con la c.d. “Riforma Fornero”, sulla base del fatto che dall’applicazione della sentenza della Corte Costituzionale sarebbero derivati “rilevanti effetti negativi per la finanza pubblica”. Contestualmente il Decreto Legge n. 65/2015 prevedeva un rimborso parziale delle somme dovute, limitandone una percentuale minima a favore delle pensioni più basse, ed escludendo il rimborso della perequazione per le pensioni di importo medio ed alto[1].

 

Qualora il Governo non avesse emanato il D.L. 65/2015, in assenza di un vuoto normativo avrebbe ripreso vigore il criterio di indicizzazione al 100% delle fasce di pensioni di importo fino a 3 volte il trattamento minimo, al 90% per le fasce di pensioni comprese tra 3 e 5 volte il trattamento minimo e del 75% per le fasce di pensioni di importo superiore a cinque volte il trattamento minimo.

 

Il ricorso incidentale davanti alla Corte Costituzionale: con ricorso incidentale avanti alla Corte Costituzionale, numerosi giudici hanno sollevato questione di legittimità costituzionale del D.L. 65/2015 per asserita violazione a) dell’art. 3 Cost. (principio di uguaglianza e di ragionevolezza della legge); b) dell’art. 6 CEDU (diritto ad un equo processo e del giudicato); c) dell’art. 1 del Protocollo 1 della CEDU (diritto di credito alla pensione); d) dell’art. 136 Cost. (giudicato costituzionale); e) dell’art. 38 Cost. (principio di adeguatezza della pensione); f) dell’art. 36 Cost. (principio della giusta retribuzione).

 

La Corte Costituzionale con sentenza n. 250 del 1° Dicembre 2017 dichiarò l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 65/2015: di fatto operando un revirement rispetto alla precedente sentenza n. 70/2015 nella quale aveva ritenuto illegittimo il blocco della perequazione disposto dalla c.d. “Riforma Fornero”, blocco non più recuperato negli anni successivi al punto da rendere permanente nei fatti quella che avrebbe dovuto essere una misura temporanea.

 

La Corte Costituzionale motivava la propria decisione nel 2017 sulla base dell’argomentazione che il D.L. n. 65/2015 non era identico al D.L. 201/2011 convertito nella legge n. 214/2011. Tuttavia il D.L. 65/2015 aveva efficacia retroattiva e conseguentemente svuotava la portata applicativa della sentenza della Corte Costituzionale n. 70/2015 che aveva ritenuto illegittimo il blocco della perequazione delle pensioni.

 

All’esito della sentenza della Corte Costituzionale n. 250/2017 i ricorsi pendenti avanti ai Tribunali ordinari, in funzione di Giudici del Lavoro, finalizzati a conseguire la condanna dell’INPS al pagamento delle somme dovute a titolo di perequazione, venivano rigettati con la condanna in moti casi dei ricorrenti al pagamento delle spese giudiziali.

 

La pronuncia della C.E.D.U.: la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, investita della questione, in considerazione dell’esaurimento dei rimedi giurisdizionali previsti dall’ordinamento processuale italiano, si è pronunciata sulla vicenda il 10 Luglio 2018, respingendo i ricorsi.

 

La C.E.D.U. ha sostanzialmente motivato la propria decisione conformandosi all’indirizzo della Corte Costituzionale (sent. n. 250/2017), sottolineando l’esigenza di contenimento della spesa pubblica perseguita dal legislatore e, nello specifico dal Governo che nel 2015 emanava il D.L. n. 65. rilevando come “l’introduzione delle nuove disposizioni mirasse da una parte a permettere l’adeguamento dell’ordinamento giuridico alla sentenza della Corte Costituzionale n. 70/2015 e dall’altra a rispettare l’equilibrio del budget e gli obiettivi di contenimento della spesa pubblica. Tutto ciò con l’obiettivo di proteggere il livello minimo delle prestazioni sociali e di garantire il funzionamento del sistema pensionistico per le generazioni future”.

 

A giudizio della C.E.D.U.:

  1. l’adozione del D.L. 65/2015 coincideva con un momento di particolare difficoltà della situazione finanziaria dell’Italia, al punto da rischiare l’apertura della procedura di infrazione da parte della Commissione Europea per deficit eccessivo (circostanza in realtà poi evitata). l’impianto del D.L. n. 65/2015 era, ad avviso della C.E.D.U., meritevole di salvaguardia in quanto mirava a realizzare un’operazione di redistribuzione in favore dei percettori di pensioni moderate, preservando la sopravvivenza del sistema di sicurezza sociale in favore delle generazioni future, in un contesto in cui il margine di manovra dello Stato Italiano era ridotto;

  2. era condivisibile che la sentenza n. 250/2017 della Corte Costituzionale, nel salvaguardare il D.L. n. 65/2017, avesse rilevato come il sistema di restituzione della perequazione in rapporto all’importo dei singoli trattamenti pensionistici fosse rispettoso del principio di proporzionalità,

  3. la riforma del meccanismo perequativo introdotta dal D.L. n. 65/2015 non era di livello tale da esporre i ricorrenti al rischio di disporre di mezzi di sopravvivenza insufficienti e tali da palesare un contrasto con il Protocollo 1 della CEDU (Diritto di credito alla pensione).

 

 

 

[1] Nei lavori parlamentari il Governo giustificava la misura non già in relazione all’esigenza di dover colmare un vuoto normativo, del resto inesistente dal momento che la legge 388/2000 definisce le modalità di rivalutazione dei trattamenti previdenziali all’andamento del costo della vita, bensì esclusivamente p

Corte Costituzionale e Corte Europea dei Diritti dell'Uomo sul tema del blocco della perequazione automatica delle pensioni

October 3, 2018

Il 10 Luglio 2018 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è pronunciata sui ricorsi proposti da circa 10 mila pensionati coinvolti dalle misure della c.d. “Legge Fornero” del 2011.

 

La questione: i ricorrenti sono cittadini Italiani titolari di una pensione pubblica a carico dell’INPS; alcuni percepiscono anche una pensione integrativa a carico di fondi pensione privati. La legge 388/2000 ha definito il criterio di adeguamento annuale delle pensioni alla variazione del costo della vita, sulla base di un incremento in percentuale che viene calcolato annualmente per tutte le pensioni sulla base di un Decreto del Ministro del Lavoro che comunica la percentuale di aumento del costo della vita calcolato dall’ISTAT.

 

Il Decreto Legge 6 Dicembre 2011 n. 201 (nel quale sono state inserite una serie di misure straordinarie finalizzate alla correzione dei conti pubblici, tra le quali per l’appunto la riforma del sistema previdenziale nota come “Legge Fornero”) ha tuttavia escluso il diritto alla perequazione con riferimento agli anni 2012 e 2013. Per un effetto c.d. “di trascinamento” il blocco della perequazione è stato sostanzialmente esteso anche agli anni successivi al 2013.

 

La Corte Costituzionale con sentenza n. 70 del 30.04.2015 ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 24 comma 25 del D.L. 201/2011 (poi convertito nella legge 22.12.2011 n. 214) affermando “Risultano dunque intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (Art. 36 comma 1° Cost.) e l’adeguatezza (art. 38 comma 2° Cos.).

 

Il Governo in carica emanava tuttavia il Decreto Legge n. 65 del 21 Maggio 2015, finalizzato ad evitare il pagamento delle perequazioni maturate sulle pensioni e, quindi finalizzato ad evitare la restituzione del blocco delle  perequazioni introdotto con la c.d. “Riforma Fornero”, sulla base del fatto che dall’applicazione della sentenza della Corte Costituzionale sarebbero derivati “rilevanti effetti negativi per la finanza pubblica”. Contestualmente il Decreto Legge n. 65/2015 prevedeva un rimborso parziale delle somme dovute, limitandone una percentuale minima a favore delle pensioni più basse, ed escludendo il rimborso della perequazione per le pensioni di importo medio ed alto[1].

 

Qualora il Governo non avesse emanato il D.L. 65/2015, in assenza di un vuoto normativo avrebbe ripreso vigore il criterio di indicizzazione al 100% delle fasce di pensioni di importo fino a 3 volte il trattamento minimo, al 90% per le fasce di pensioni comprese tra 3 e 5 volte il trattamento minimo e del 75% per le fasce di pensioni di importo superiore a cinque volte il trattamento minimo.

 

Il ricorso incidentale davanti alla Corte Costituzionale: con ricorso incidentale avanti alla Corte Costituzionale, numerosi giudici hanno sollevato questione di legittimità costituzionale del D.L. 65/2015 per asserita violazione a) dell’art. 3 Cost. (principio di uguaglianza e di ragionevolezza della legge); b) dell’art. 6 CEDU (diritto ad un equo processo e del giudicato); c) dell’art. 1 del Protocollo 1 della CEDU (diritto di credito alla pensione); d) dell’art. 136 Cost. (giudicato costituzionale); e) dell’art. 38 Cost. (principio di adeguatezza della pensione); f) dell’art. 36 Cost. (principio della giusta retribuzione).

 

La Corte Costituzionale con sentenza n. 250 del 1° Dicembre 2017 dichiarò l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 65/2015: di fatto operando un revirement rispetto alla precedente sentenza n. 70/2015 nella quale aveva ritenuto illegittimo il blocco della perequazione disposto dalla c.d. “Riforma Fornero”, blocco non più recuperato negli anni successivi al punto da rendere permanente nei fatti quella che avrebbe dovuto essere una misura temporanea.

 

La Corte Costituzionale motivava la propria decisione nel 2017 sulla base dell’argomentazione che il D.L. n. 65/2015 non era identico al D.L. 201/2011 convertito nella legge n. 214/2011. Tuttavia il D.L. 65/2015 aveva efficacia retroattiva e conseguentemente svuotava la portata applicativa della sentenza della Corte Costituzionale n. 70/2015 che aveva ritenuto illegittimo il blocco della perequazione delle pensioni.

 

All’esito della sentenza della Corte Costituzionale n. 250/2017 i ricorsi pendenti avanti ai Tribunali ordinari, in funzione di Giudici del Lavoro, finalizzati a conseguire la condanna dell’INPS al pagamento delle somme dovute a titolo di perequazione, venivano rigettati con la condanna in moti casi dei ricorrenti al pagamento delle spese giudiziali.

 

La pronuncia della C.E.D.U.: la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, investita della questione, in considerazione dell’esaurimento dei rimedi giurisdizionali previsti dall’ordinamento processuale italiano, si è pronunciata sulla vicenda il 10 Luglio 2018, respingendo i ricorsi.

 

La C.E.D.U. ha sostanzialmente motivato la propria decisione conformandosi all’indirizzo della Corte Costituzionale (sent. n. 250/2017), sottolineando l’esigenza di contenimento della spesa pubblica perseguita dal legislatore e, nello specifico dal Governo che nel 2015 emanava il D.L. n. 65. rilevando come “l’introduzione delle nuove disposizioni mirasse da una parte a permettere l’adeguamento dell’ordinamento giuridico alla sentenza della Corte Costituzionale n. 70/2015 e dall’altra a rispettare l’equilibrio del budget e gli obiettivi di contenimento della spesa pubblica. Tutto ciò con l’obiettivo di proteggere il livello minimo delle prestazioni sociali e di garantire il funzionamento del sistema pensionistico per le generazioni future”.



Pubblicato da:


Massimo Manzini

Avvocato a Verbania