Caso legale: Un caso solleva dubbi sulla responsabilità penale personale e sull’onere della prova. La Corte d’Appello assolve l’imputato. Una recente sentenza di primo grado aveva condannato un uomo alla pena di 10 mesi di reclusione per truffa aggravata ai danni di una società autostradale, ritenendolo responsabile di aver eluso in numerose occasioni il pagamento del pedaggio mediante la manovra di accodamento a veicoli dotati di Telepass. La società concessionaria, costituitasi parte civile, aveva ottenuto anche il riconoscimento del risarcimento del danno. La peculiarità del caso, tuttavia, risiedeva in un dato essenziale: l’imputato non era mai stato identificato come conducente del veicolo al momento dei fatti. Nessuna delle numerose condotte di accodamento era stata accertata con riconoscimento personale, né da parte della polizia né attraverso i dispositivi video di sorveglianza. La condanna era fondata esclusivamente sull’intestazione del veicolo, una Fiat Panda, all’imputato. A seguito di impugnazione da parte della difesa, la Corte d’Appello ha riformato integralmente la decisione, assolvendo l’imputato con formula piena, accogliendo le doglianze difensive fondate sui principi di diritto penale sostanziale e processuale. L’assoluzione in appello: nessuna prova della responsabilità personale L’appello ha sostenuto con forza l’inapplicabilità di qualunque presunzione di colpevolezza in ambito penale. L’intestazione formale del veicolo – è stato ribadito – non può in alcun modo assurgere a prova dell’identità del conducente, tanto più in un contesto in cui la condotta presunta ha rilevanza penale. La Corte ha accolto questa impostazione, ricordando che la responsabilità penale è personale (art. 27, co. 1, Cost.) e che la colpevolezza deve essere dimostrata “oltre ogni ragionevole dubbio” (art. 533 c.p.p.). Nessuna delle acquisizioni istruttorie – né le informative, né le riprese video, né le dichiarazioni testimoniali – era in grado di attribuire con certezza all’imputato le condotte contestate. In tal senso, la Corte ha sottolineato come l’onere della prova non possa essere invertito, né può ricadere sull’imputato l’obbligo di dimostrare che altri guidavano il veicolo. Ne è derivata l’assoluzione piena, con la formula “perché il fatto non sussiste” o, più precisamente, perché non è stato dimostrato che sia stato proprio l’imputato a commettere il fatto. L’appello aveva inoltre sollevato questioni su 131-bis e sospensione condizionale Sebbene superate in ragione dell’assoluzione, l’atto di appello conteneva ulteriori motivi di rilievo: Il primo riguardava la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), alla luce del modesto danno economico, della condotta non violenta e della mancanza di un reale allarme sociale. Il secondo criticava la mancata concessione della sospensione condizionale della pena, pur in presenza di tutti i requisiti di legge (pena inferiore ai limiti, precedente unico e remoto, assenza di pericolosità attuale). La Corte, pur non pronunciandosi direttamente su questi due aspetti – ritenuti assorbiti dall’assoluzione – ha comunque riconosciuto la fondatezza dei principi evocati dalla difesa. Una pronuncia importante sul piano dei principi Questa sentenza si inserisce in un quadro giurisprudenziale che pone un argine all’automatismo probatorio basato sull’intestazione del veicolo, affermando con chiarezza che la colpevolezza non può fondarsi su elementi meramente formali, soprattutto quando si procede per reati di natura dolosa. Essa rappresenta un rilevante precedente per le numerose fattispecie di accertamento delle truffe autostradali, che spesso si fondano su ricostruzioni documentali non supportate da prove individualizzanti. Infine, il caso offre uno spunto ulteriore per interrogarsi su quando il processo penale sia davvero lo strumento adeguato per sanzionare condotte fraudolente di modesta entità e senza pericolo sociale concreto. In simili circostanze, la risposta dell’ordinamento potrebbe (e forse dovrebbe) essere collocata in sede civile o amministrativa, piuttosto che nell’ambito del diritto penale, riservato ai fatti di maggiore offensività.