Pubblicazione legale:
di Avv. Mattia Cardelli
Abstract: La sentenza n. 22017/2025 della Cassazione penale conferma la condanna per accesso abusivo al sistema informatico di un pubblico ufficiale abilitato, evidenziando che l’utilizzo del sistema per finalità estranee ai compiti d’ufficio integra la condotta punibile ai sensi dell’art. 615-ter c.p. La pronuncia affronta il tema della prevedibilità del mutamento giurisprudenziale intervenuto con Sez. U, Savarese (2017), escludendo che si tratti di un overruling imprevedibile. La nota analizza il rapporto tra legalità e interpretazione giurisprudenziale, soffermandosi sui riflessi pratici per la difesa e sui rischi di un’applicazione elastica del concetto di “abusività”.
Italian Supreme Court ruling no. 22017/2025 upholds the conviction of a public official for unauthorized access to an IT system, despite the official being formally authorized. The Court confirms that accessing a system for purposes unrelated to official duties constitutes a criminal offense under Article 615-ter of the Penal Code. The decision examines the foreseeability of the jurisprudential shift introduced by United Sections Savarese (2017), ruling out the existence of an unforeseeable overruling. This note explores the balance between the principle of legality and evolving case law, with a focus on practical implications for defense counsel and the risks posed by a broad interpretation of “unauthorized” access.
1. Il caso - 2. Il nodo giuridico: mutamento giurisprudenziale e prevedibilità - 3. La costruzione del dolo e il concetto di “finalità estranee” - 4. Riflessioni critiche - 5. Conclusioni
1. Il caso
Con la sentenza n. 22017/2025, la Quinta Sezione penale
della Corte di cassazione torna a pronunciarsi in tema di accesso abusivo a
sistema informatico ex art. 615-ter c.p., confermando la condanna di un
pubblico ufficiale che, sebbene abilitato, si era introdotto più volte nel
sistema informatico della Procura di Terni, presso cui era in servizio, per
monitorare l’evoluzione di un procedimento iscritto contro ignoti, che
coinvolgeva un dirigente dell’ufficio.
La Corte d’appello di Perugia aveva riformato la sentenza
assolutoria di primo grado, ritenendo che l’accesso fosse avvenuto per finalità
ontologicamente estranee rispetto a quelle istituzionali. Il ricorrente ha
lamentato innanzi alla Cassazione l’applicazione retroattiva di un principio
giurisprudenziale sfavorevole (Sez. U, Savarese, 2017), all’epoca dei
fatti (giugno 2016) non ancora consolidato, sostenendo l’imprevedibilità
dell’evoluzione interpretativa e, di conseguenza, la violazione del principio
di legalità.
2. Il nodo giuridico: mutamento giurisprudenziale e
prevedibilità
Il punto focale della decisione risiede nel rapporto tra
mutamento giurisprudenziale e principio di legalità, con particolare
riferimento alla prevedibilità – o meno – dell’interpretazione "in
malam partem" dell’art. 615-ter c.p. offerta da Sez. U,
Savarese.
La Suprema Corte rigetta il ricorso, ritenendo che non si
sia in presenza di un overruling imprevedibile, bensì della naturale
evoluzione di un indirizzo interpretativo già in itinere all’epoca dei
fatti. Secondo i giudici, la pronuncia Savarese non ha “rovesciato” il
precedente orientamento delle Sezioni Unite Casani (2012), ma ne ha
rappresentato un perfezionamento coerente con le esigenze di tipicizzazione
della condotta penalmente rilevante.
La Corte richiama consolidata giurisprudenza (Cass. pen.,
Sez. 3, n. 46184/2021; Sez. 5, n. 37857/2018), secondo cui l’evoluzione
giurisprudenziale può applicarsi retroattivamente solo ove “ragionevolmente
prevedibile” per il destinatario della norma al momento del fatto. In presenza
di un contrasto giurisprudenziale vivente, l’imputato, secondo la Cassazione,
non può invocare l’imprevedibilità dell’approdo interpretativo.
3. La costruzione del dolo e il concetto di “finalità
estranee”
La Corte ribadisce che anche l’accesso al sistema da parte
di un soggetto abilitato può essere abusivo se effettuato al di fuori delle
finalità istituzionali. Il concetto di “abuso”, quindi, si radica non tanto
nella violazione formale di credenziali o limiti tecnici, quanto nel
disallineamento ontologico tra scopo dell’accesso e mansioni d’ufficio.
Nel caso di specie, la Corte valorizza dati indiziari quali
i rapporti personali tra l’imputato e il denunciante, l’inimicizia con la
dirigente coinvolta nel procedimento e la reiterazione degli accessi,
ricostruendo così un quadro dal quale si evince l’intento di "monitoraggio
personale" piuttosto che di gestione dell’atto d’ufficio. Si segnala,
dunque, una tendenza a valorizzare profili di carattere finalistico e
soggettivo nel delineare l’antigiuridicità della condotta.
4. Riflessioni critiche
La pronuncia in esame si colloca nel solco tracciato dalla
sentenza Savarese, contribuendo ulteriormente a consolidare una lettura
estensiva della nozione di “abusività” nell’accesso ai sistemi informatici.
Dal punto di vista della tassatività, però, non mancano
profili di criticità. Ad avviso di chi scrive, la definizione di “finalità
estranee” può risultare elastica e soggetta a valutazioni connotate da una
certa dose di discrezionalità giudiziale. In tale ottica, si pone un problema
di precisione normativa e di tutela dell'affidamento del cittadino nella
stabilità dell’interpretazione giurisprudenziale.
Sul piano difensivo, la sentenza conferma l’onere, per il
pubblico ufficiale imputato, di dimostrare non solo la propria abilitazione
all’accesso, ma anche la coerenza funzionale dello stesso con le mansioni
svolte, pena la sussunzione della condotta nell’alveo dell’art. 615-ter
c.p.
5. Conclusioni
La Suprema Corte, con la pronuncia in commento, ribadisce la
rilevanza penale dell’accesso al sistema informatico da parte del pubblico
ufficiale per fini non istituzionali, anche in assenza di violazioni tecniche o
formali. La sentenza si muove in continuità con l’indirizzo tracciato dalle
Sezioni Unite Savarese, segnando un punto fermo nell’interpretazione
dell’art. 615-ter c.p., ma rilancia il dibattito sul confine tra legittimo
mutamento interpretativo e violazione del principio di legalità in materia
penale.
Una decisione che, pur sorretta da una solida ricostruzione
evolutiva della giurisprudenza, lascia aperta la questione – mai del tutto
pacificata – della prevedibilità e dell’affidabilità dell’interprete giudiziale
nell’ordinamento penale contemporaneo.