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Cosa si intende per diffamazione su Internet e cosa si rischia

Scritto da: Monica Battaglia - Pubblicato su IUSTLAB

Pubblicazione legale:

Oggigiorno si parla sempre più spesso di diffamazione su Internet, con ciò intendendosi le offese alla reputazione altrui perpetrate sul web, utilizzando Facebook, partecipando a un gruppo WhatsApp o scrivendo una recensione negativa su TripAdvisor, per citare gli esempi più comuni.

Per inquadrare correttamente il problema occorre partire dalle norme di riferimento contenute nel codice penale, che hanno disciplinato il reato di diffamazione in un’epoca in cui il web e i social network non erano neanche immaginabili, e vedere, poi, la chiave di lettura che la giurisprudenza ha dato a tali norme, non solo per attualizzarle alla luce dei moderni mezzi di comunicazione, ma anche per bilanciare il diritto di una persona a veder tutelata la propria reputazione con il diritto alla critica, altrettanto importante e costituzionalmente garantito.

Il reato di diffamazione e come si applica al web

Norma di riferimento è l’art. 595 c.p. che, al primo comma, definisce la diffamazione come un’offesa all’altrui reputazione fatta comunicando con più persone, da punirsi con la reclusione fino a un anno o con una multa fino a euro 1.032.

Una forma aggravata di diffamazione è prevista al terzo comma: se l’offesa è recata a mezzo stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, la pena è la reclusione da tre a sei mesi o una multa non inferiore a 516 euro, per via della facilità e velocità con cui il messaggio offensivo può propagarsi.

E proprio l’art. 595, terzo comma, nella parte in cui fa riferimento a qualsiasi mezzo di pubblicità per diffondere l’offesa, è stata interpretata pacificamente dalla giurisprudenza nel senso di includervi anche la diffamazione su Internet.

Presupposti per la configurazione del reato sono:

  • l’indicazione del soggetto a cui sono rivolte le offese – non è necessario rivelare espressamente nome e cognome, basta che le caratteristiche descritte portino a identificare inequivocabilmente detto soggetto;
  • la comunicazione a più persone, con la consapevolezza, da parte del soggetto agente, che il messaggio possa raggiungere un numero indeterminato e quantitativamente apprezzabile di soggetti (tra le pronunce più recenti al riguardo, Cass., sent. n. 40083/2018);
  • la coscienza e volontà di usare un linguaggio offensivo dell’onore, della reputazione e del decoro del soggetto passivo – il messaggio deve essere concretamente offensivo e diffamatorio, non potendo bastare dei semplici commenti provocatori in una discussione su Facebook (Cass., sent. n. 3981/2015).

Per la Suprema Corte, l’eventualità che tra i fruitori del messaggio vi sia la persona offesa non consente di configurare il reato come ingiuria (sent. n. 40083/2018).

È opportuno ribadire nuovamente che la diffamazione su Facebook è aggravata dal mezzo di pubblicità, ricadendo nell’art. 595 c.p., ma non dal mezzo di stampa: non si tratta, cioè, di informazione o comunicazione di tipo professionale veicolata da una testata giornalistica, che ricadrebbe nella fattispecie disciplinata dall’art. 13 della L. 47/1948 (Cass., sent. n. 4873/2017 e sent. n. 12546/2017).

Diffamazione su Facebook e diritto di critica

Il legislatore prevede, tra le cause di esclusione del reato di diffamazione (e dunque, per esteso, della discriminazione su Internet), l’esercizio del diritto di critica, quale forma del più ampio diritto di manifestazione del pensiero sancito dall’art. 21 della Costituzione.

La critica va intesa come un giudizio valutativo che parte da un fatto reale e concreto e si esprime su tale fatto con toni aspri, polemici, frasi colorite o linguaggio gergale, purché le espressioni utilizzate siano proporzionali e funzionali a contestare il fatto.

Linea di demarcazione tra diffamazione e diritto di critica è la “continenza”, ovvero esprimersi con moderazione, attenersi ai fatti e non sfociare in un’immotivata aggressione alla reputazione di una persona. Pertanto, una recensione ironica nei confronti di un pubblico esercente pubblicata su Facebook non integra gli estremi della diffamazione perché il gestore, operando in un libero mercato, accetta che i propri servizi possano essere oggetto di valutazioni positive o negative (Trib. Pistoia, sent. n. 5665/2015).




Avv. Monica Battaglia - Avvocato civilista a Roma

Studio fondato nel 1948 dall'Avv. Giuseppe Battaglia (1922-1995). L'Avv. Monica Battaglia, laureata presso l'Università La Sapienza di Roma con votazione di 110/110 e Lode, svolge la professione di avvocato da oltre 30 anni nel settore civile e amministrativo con particolare riferimento al diritto ereditario, di famiglia, immobiliare, contrattuale. Cassazionista e Mediatore presso l'Organismo di Mediazione Forense di Roma. Aree di Attività: Amministrativo, Civile, Condominio, Famiglia e Successioni, Lavoro, Locazioni, Immobiliare




Monica Battaglia

Esperienza


Diritto immobiliare

Seguo il cliente nelle compravendite immobiliari dalla fase delle trattative fino alla stipula del rogito. Curo il rapporto plurimo, con la controparte contrattuale, con il mediatore immobiliare, con l'ente erogatore dell'eventuale mutuo. E' importante che tutti gli aspetti ricevano assistenza scrupolosa e attenta: dalle problematiche di regolarità urbanistica dell'immobile alla provvigione dell'agenzia immobiliare, dai rapporti con la controparte alla conclusione del preliminare, dalla fissazione dei termini al versamento della caparra. Nell'ambito del diritto immobiliare curo anche azioni a difesa della proprietà e del possesso.


Eredità e successioni

Tratto abitualmente la materia delle successioni: problematiche legate all'invalidità di testamenti e relative impugnazioni, lesioni dei diritti dei legittimari, assistenza nella predisposizione di volontà testamentarie, controversie sulla gestione di beni ereditari. La rappresentanza legale è ovviamente garantita anche nella fase della mediazione obbligatoria, preventiva alla eventuale azione giudiziaria; fondamentale avere un approccio costruttivo durante la mediazione, che può condurre ad accordi di riconoscimento dei diritti con reciproca soddisfazione e in un tempo breve.


Diritto di famiglia

Il diritto di famiglia va trattato con cautela e competenza, non potendo ridursi a una guerra sulle questioni economiche. Il mio punto di vista è sempre la tutela delle persone, tanto più se vittime della crisi familiare, come sono, primi fra tutti, i minori. Per queste ragioni, il mio approccio alla separazione o al divorzio è principalmente razionale e tende a raggiungere il massimo risultato per il cliente senza trascinarlo in un contenzioso sfibrante. Nell'ambito della mia esperienza, ho curato anche gli interessi di minori adolescenti nell'ambito delle problematiche di famiglia.


Altre categorie:

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Referenze

Pubblicazione legale

Violazione delle distanze fra costruzioni e risarcimento del danno

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La violazione delle norme sulle distanze fra costruzioni comporta il diritto, per il proprietario confinante, di ottenere sia la tutela in forma specifica (ripristino della situazione antecedente l’illecito, mediante demolizione) che la tutela risarcitoria. A lungo la Giurisprudenza ha ritenuto che chi agiva per il risarcimento del danno da violazione delle distanze dovesse dimostrare la sussistenza e l’entità del pregiudizio subìto. Le più recenti pronunce della Suprema Corte di Cassazione, al contrario, sono nel senso di considerare il danno in re ipsa , senza necessità che il danneggiato ne fornisca la prova. Il pregiudizio del confinante si ritiene quindi effetto diretto, certo e indiscutibile, dell’abusiva imposizione di una servitù nel proprio fondo, e quindi della limitazione del relativo godimento, che si traduce in una diminuzione temporanea (fino alla demolizione dell’opera abusiva) del valore della proprietà. Resta sempre salva, ovviamente, la possibilità, per la parte che ha realizzato la costruzione in violazione delle distanze, di dimostrare che il danno non sussiste, ad esempio per le particolari caratteristiche dei luoghi, oppure per le modalità in cui si è realizzata la lesione.

Pubblicazione legale

I diritti reali: diritto di accessione e comunione

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Una recente sentenza della Cassazione a Sezioni Unite ha chiarito uno dei punti più controversi in materia di diritti reali, ossia il contrasto tra accessione e comunione. La decisione nasce dal caso specifico portato innanzi al Tribunale di Venezia, nel quale un attore proprietario pro-indiviso di un terreno chiedeva lo scioglimento della comunione, con attribuzione delle proprie quote di spettanza in relazione ai fabbricati edificati al piano interrato e seminterrato dal solo altro comproprietario. La società comproprietaria del terreno chiedeva, dunque, in proprio favore, la proprietà esclusiva del corpo edilizio interrato, ricevendo parere favorevole del Tribunale. Diritto di accessione e terzietà del costruttore Nel caso specifico, la domanda alla base del problema sollevato riguardava la necessità della terzietà del costruttore rispetto alla proprietà del bene. Secondo alcuni membri del Collegio, l'istituto dell'accessione andrebbe applicato anche nei casi in cui il costruttore non sia soggetto terzo rispetto al proprietario; mentre un orientamento più recente vede l'accessione come un istituto applicabile solo quando chi costruisce è un soggetto terzo rispetto al proprietario del bene. Nel dirimere la questione, la Cassazione ha inteso applicare l'istituto dell'accessione senza alcuna limitazione o differenza relativa al soggetto che ha eseguito l'opera, fondando la sua decisione sul fatto che l'accessione costituisca un'espressione del carattere assoluto del diritto di proprietà. Il diritto di accessione si applica, dunque, a prescindere dal fatto che il costruttore sia proprietario o meno del fondo: nello stabilire tale principio, la Cassazione sottolinea come nessuna norma del codice civile affermi che l'accessione si applichi solo se chi costruisce è un soggetto terzo ma, anzi, l'art. 934 c.c. non contiene alcun riferimento soggettivo al costruttore. Accessione e disciplina della comunione La definizione di accessione non contrasta con la disciplina della comunione. Secondo la Corte, infatti, le norme in materia di comunione regolano i rapporti tra comproprietari nell'uso e nel godimento della cosa comune, ma non incidono sui modi di acquisto della proprietà o sulle azioni attuate per mutare l'assetto della proprietà. Tali norme, anzi, escluderebbero che uno solo dei comproprietari possa divenire proprietario esclusivo dell'opera e del suolo comune su cui essa insiste. Le Sezioni Unite arrivano dunque a criticare la sentenza della Corte di Appello di Venezia anche in merito al punto secondo cui il bene diverrebbe di proprietà comune solo se eseguito in conformità alle regole che disciplinano la comunione. La Corte sottolinea infatti come tale ragionamento rischi di premiare chi viola la disciplina della comunione. La Cassazione afferma dunque che la soluzione della Corte di Appello di Venezia, secondo cui il comproprietario non costruttore possa perdere la proprietà della cosa comune per semplice iniziativa dell'altro comproprietario, sia da considerare “contraria a ogni logica e al senso comune e al senso di giustizia”

Pubblicazione legale

La rinuncia alla proprietà: tutte le interpretazioni

Pubblicato su IUSTLAB

È possibile rinunciare a una proprietà? Cosa prevede la legge in questi casi? La dottrina prevalente sembra propendere per questa opportunità: vediamo più nel dettaglio cosa affermano gli esperti. Come rinunciare alla proprietà La rinuncia alla proprietà è una manifestazione di volontà unilaterale, non recettizia, da esprimere in forma scritta se riguarda beni immobili o beni mobili registrati e soggetta a trascrizione. Nel momento in cui essa viene espressa, si ha un effetto immediato di abdicazione del diritto, nonché altri effetti successivi, indiretti ed eventuali, che riguarderanno per esempio l'accrescimento della quota degli altri comproprietari. L'ammissibilità della rinuncia al diritto di proprietà è oggetto di ampi dibattiti tra gli interpreti, che si trovano a far fronte a casi specifici nella prassi quotidiana, spesso controversi. La rinuncia potrebbe, infatti, venire manifestata per ottenere dei vantaggi particolari: è il caso, per esempio, del coniuge comproprietario di un immobile acquistato con benefici per la prima casa, che rinuncia alla sua quota per acquistare una nuova casa e usufruire di nuove agevolazioni. La rinuncia alla proprietà può, in questi casi, evitare il ricorso a fattispecie come le vendite simulate o le donazioni senza animus donandi, permettendo di realizzare l'interesse delle parti senza ricorrere a finzioni. Nel nostro ordinamento, tuttavia, non esiste una norma che disciplini in maniera esplicita l'istituto della rinuncia, la cui definizione viene ricavata da diverse fattispecie presenti nel Codice Civile, aprendo dunque a interpretazioni di varia natura. Opinioni sulla rinuncia alla proprietà Le opinioni sul tema della rinuncia alla proprietà sono molto diverse tra loro. La tesi negativa porta a suo favore diverse argomentazioni, che partono proprio dalla mancanza di una regolamentazione generale del tema e dal fatto che l'istituto può prestarsi facilmente ad abusi da parte di privati che mirano ad aggirare tasse e oneri. La rinuncia, inoltre, andrebbe in contrasto con il carattere perpetuo del diritto di proprietà e permetterebbe a un soggetto di incidere sulla sfera giuridica di un terzo senza il suo consenso. D'altro canto, i favorevoli criticano tali argomentazioni osservando che, pur non esistendo una norma specifica in materia, non esiste comunque alcuna norma che vieti tale scelta. L'analisi delle varie norme presenti nel codice porterebbe, anzi, a evidenziare una generale ammissibilità dell'istituto. In quanto diritto disponibile, la proprietà deve essere considerata rinunciabile, senza difficoltà per ciò che riguarda il principio di perpetuità della proprietà, che non può essere considerato un carattere indefettibile del diritto di proprietà. In virtù delle argomentazioni brevemente espresse e di altre approfondite nel corso degli anni, si può affermare che la dottrina prevalente ammette la rinunciabilità del diritto di proprietà, che oggi sembra condivisa anche dalla giurisprudenza.

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