Una recente sentenza della Cassazione a Sezioni Unite ha chiarito uno dei punti più controversi in materia di diritti reali, ossia il contrasto tra accessione e comunione. La decisione nasce dal caso specifico portato innanzi al Tribunale di Venezia, nel quale un attore proprietario pro-indiviso di un terreno chiedeva lo scioglimento della comunione, con attribuzione delle proprie quote di spettanza in relazione ai fabbricati edificati al piano interrato e seminterrato dal solo altro comproprietario. La società comproprietaria del terreno chiedeva, dunque, in proprio favore, la proprietà esclusiva del corpo edilizio interrato, ricevendo parere favorevole del Tribunale.
Nel caso specifico, la domanda alla base del problema sollevato riguardava la necessità della terzietà del costruttore rispetto alla proprietà del bene. Secondo alcuni membri del Collegio, l'istituto dell'accessione andrebbe applicato anche nei casi in cui il costruttore non sia soggetto terzo rispetto al proprietario; mentre un orientamento più recente vede l'accessione come un istituto applicabile solo quando chi costruisce è un soggetto terzo rispetto al proprietario del bene.
Nel dirimere la questione, la Cassazione ha inteso applicare l'istituto dell'accessione senza alcuna limitazione o differenza relativa al soggetto che ha eseguito l'opera, fondando la sua decisione sul fatto che l'accessione costituisca un'espressione del carattere assoluto del diritto di proprietà.
Il diritto di accessione si applica, dunque, a prescindere dal fatto che il costruttore sia proprietario o meno del fondo: nello stabilire tale principio, la Cassazione sottolinea come nessuna norma del codice civile affermi che l'accessione si applichi solo se chi costruisce è un soggetto terzo ma, anzi, l'art. 934 c.c. non contiene alcun riferimento soggettivo al costruttore.
La definizione di accessione non contrasta con la disciplina della comunione. Secondo la Corte, infatti, le norme in materia di comunione regolano i rapporti tra comproprietari nell'uso e nel godimento della cosa comune, ma non incidono sui modi di acquisto della proprietà o sulle azioni attuate per mutare l'assetto della proprietà.
Tali norme, anzi, escluderebbero che uno solo dei comproprietari possa divenire proprietario esclusivo dell'opera e del suolo comune su cui essa insiste. Le Sezioni Unite arrivano dunque a criticare la sentenza della Corte di Appello di Venezia anche in merito al punto secondo cui il bene diverrebbe di proprietà comune solo se eseguito in conformità alle regole che disciplinano la comunione. La Corte sottolinea infatti come tale ragionamento rischi di premiare chi viola la disciplina della comunione.
La Cassazione afferma dunque che la soluzione della Corte di Appello di Venezia, secondo cui il comproprietario non costruttore possa perdere la proprietà della cosa comune per semplice iniziativa dell'altro comproprietario, sia da considerare “contraria a ogni logica e al senso comune e al senso di giustizia”