Pubblicazione legale:
La violazione delle norme sulle distanze fra costruzioni
comporta il diritto, per il proprietario confinante, di ottenere sia la tutela
in forma specifica (ripristino della situazione antecedente l’illecito,
mediante demolizione) che la tutela risarcitoria.
A lungo la Giurisprudenza ha ritenuto che chi agiva per il
risarcimento del danno da violazione delle distanze dovesse dimostrare la sussistenza
e l’entità del pregiudizio subìto. Le più recenti pronunce della Suprema Corte
di Cassazione, al contrario, sono nel senso di considerare il danno in re
ipsa, senza necessità che il danneggiato ne fornisca la prova. Il pregiudizio
del confinante si ritiene quindi effetto diretto, certo e indiscutibile,
dell’abusiva imposizione di una servitù nel proprio fondo, e quindi della limitazione
del relativo godimento, che si traduce in una diminuzione temporanea (fino alla
demolizione dell’opera abusiva) del valore della proprietà.
Resta sempre salva, ovviamente, la possibilità, per la parte
che ha realizzato la costruzione in violazione delle distanze, di dimostrare
che il danno non sussiste, ad esempio per le particolari caratteristiche dei
luoghi, oppure per le modalità in cui si è realizzata la lesione.