Avvocato Natascia Carignani a Lucca

Natascia Carignani

Avvocato esperto in diritto della famiglia

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Locazione

Scritto da: Natascia Carignani - Pubblicato su IUSTLAB

Pubblicazione legale:

Cos’è il contratto di locazione: definizione

La locazione è un contratto con il quale una parte (locatore) permette il godimento di un bene mobile o immobile ad un’altra parte (conduttore o locatario), per un periodo di tempo determinato o determinabile, in cambio di un corrispettivo in denaro. Il contratto di locazione è dunque necessariamente oneroso ed è questa la fondamentale differenza con il contratto di comodato, essenzialmente gratuito.

Contratto tipicamente consensuale (il perfezionamento si conclude al momento dello scambio del consenso, senza necessità di consegna materiale della cosa), è ad effetti obbligatori (poiché da esso non deriva l’acquisizione di alcun diritto reale sul bene, ma solo il diritto di godimento e di uso) ed è riccamente disciplinato dal codice civile e da alcune leggi specifiche.

Vediamone insieme le principali caratteristiche

Contenuto del contratto di locazione

Il contenuto dei contratti di locazione varia a seconda della tipologia contrattuale specifica che le parti scelgono di porre in essere, e delle clausole che inseriscono all’interno del contratto.

Ad ogni modo, nonostante la libertà concessa alle parti, vi sono comunque alcuni elementi che tipicamente fanno parte del contratto di locazione, e che dunque locatore e conduttore dovranno avere cura di inserire nella redazione dello stesso.

Gli elementi necessari

Si pensi, tra i principali a:

  • data di stipula del contratto: è la data di firma del contratto, a partire dalla quale (salvo che non sia pattuito un termine diverso) prenderà il decorso dello stesso. Ove coincida con la data di decorrenza, dalla data di stipula parte anche il termine che viene concesso dalla legge alle parti per effettuare la registrazione dello stesso;
  • indicazione dettagliata del conduttore e del locatore: è fondamentale includere correttamente i dati che permettono di ricostruire in modo chiaro e univoco la generalità delle parti, ovvero dei soggetti che stipulano. Per quanto concerne i dati essenziali, ci si riferisce principalmente a nome, cognome (o ragione sociale), data e luogo di nascita, indirizzo di residenza o sede sociale, codice fiscale o partita IVA;
  • identificazione del bene che si fornisce in godimento e in uso. È un elemento che non può mancare all’interno di un contratto, ed è riferibile alla fornitura dei dati di dettaglio dell’oggetto dello stesso. Soprattutto nel caso di locazioni di beni immobili, dovrà riportare ogni dato idoneo. Pertanto, occorrerà procedere con l’evidenza dell’indirizzo (con precisazione di scala, piano e altri elementi che permettono la corretta individuazione del bene), dati catastali, locali e servizi di cui si compone l’immobile, eventuali pertinente, utilizzo per cui viene ceduto in locazione (es. abitazione, laboratorio, ecc.);
  • prezzo del canone di locazione e modalità di corresponsione;
  • durata della locazione.

Di prezzo (o più correttamente canone) e durata della locazione, parleremo in paragrafi separati.

Si ribadisce, ad ogni modo, che le parti potranno ben scegliere di adottare lo schema contrattuale preferito, usufruendone di uno predefinito, oppure predisponendolo liberamente ex novo.

Registrazione del contratto di locazione

Entro 30 giorni dalla data di decorrenza del contratto di locazione, le parti hanno l’obbligo di registrare il contratto. L’eccezione prevista dal legislatore è legata alla disponibilità di un contratto di durata inferiore a 30 giorni all’interno dell’anno solare.

Si consideri che la legge prevede che i contratti di locazione siano registrati dal locatore o dal conduttore, con versamento delle imposte dovute, qualunque sia l’ammontare del canone pattuito e la durata.

Il canone di locazione

Il canone della locazione, è introdotto e disciplinato dall’art. 1571 c.c. . L’articolo 1571  sottolinea come il corrispettivo sia la controprestazione del contratto di locazione, spettante al locatore per la cessione in locazione del bene al conduttore. Ne deriva che il canone della locazione sia un elemento essenziale per la “regolarità” del contratto. Laddove non sia riportato e non risulti essere determinabile, potrà determinare la nullità del contratto stesso.

Il corrispettivo, o canone di locazione, è dunque la somma di denaro he il conduttore si obbliga a versare al locatore allo scadere del periodo concordato (generalmente coincidente con un mese, sebbene nulla vieti alle parti di potersi regolare diversamente, con periodicità trimestrale o quadrimestrale).

Stando a quanto afferma il codice, la determinazione del canone è affidata alla libera pattuizione delle parti, anche se nel tempo alcune leggi specifiche in materia hanno comunque contribuito a incidere sull’autonomia contrattuale introducendo, ad esempio, canoni concordati, sistemi di blocco o di congelamento e altro ancora.

L’inadempimento del conduttore in relazione al versamento del canone può dar luogo al procedimento di sfratto per morosità.

Le voci del canone

È inoltre generalmente pattuito che il canone che viene stabilito nel contratto possa subire degli aggiornamenti periodici. Di solito l’aggiornamento avviene sulla base degli indici medi accertati dall’Istat.

In ogni caso, a scanso di equivoci e di difficoltà interpretative in contratto, le parti dovranno avere cura di specificare le varie voci di cui si compone il corrispettivo dovuto, distinguendo tra:

  • spese annue, ovvero tutte le somme che risultano essere dovute per gli oneri accessori connessi. Questo avviene per esempio per le spese per le utenze o quelle condominiali o ancora altre voci eventualmente specificate (che frequentemente sono ripartite con addebito al conduttore degli oneri relativi all’ordinaria amministrazione, e con previsione a carico del locatore di quelli relativi alle opere di straordinaria manutenzione);
  • rata, ovvero la cifra deve essere pagata ad ogni scadenza specificata nel contratto, quale somma tra le due voci precedenti, suddiviso per il numero delle rate (dodici se il pagamento è mensile).

La durata del contratto di locazione

Elemento essenziale del contratto locatizio è anche la durata del contratto di locazione.

Anche in questo caso, il legislatore è intervenuto più volte per poter disciplinare questo aspetto, stabilendo ad esempio che, nell’art. 1573 c.c., la locazione non possa superare i trent’anni. Non è prescritta però alcuna durata minima, con la conseguenza che viene lasciata alle parti ogni determinazione al riguardo.

Ne consegue che la durata del contratto viene generalmente stabilita dalle diverse leggi speciali che sono emanate in materia. Le leggi speciali si occupano di definire i termini di decorrenza, come ad esempio 4 anni per i contratti ad uso abitativo, 6 anni per i contratti ad “uso diverso” e 9 anni per uso alberghiero, così come per quanto concerne i termini di rinnovo (come ad esempio 4+4 per i contratti ad uso abitativo).

Altre clausole eventuali del contratto

Come abbiamo già rammentato, il contratto di locazione può essere liberamente personalizzato tra le parti con inserimento di altre opzioni e elementi.

Tra i più ricorrenti ricordiamo

  • caparra, o deposito cauzionale. È la somma di denaro che il conduttore consegna al locatore al momento della stipula del contratto. L’importo è versato a titolo di garanzia del rispetto delle obbligazioni in esso presenti. Dovrà poi essergli restituita, al termine del rapporto di locazione (corrisponde generalmente a due o tre mensilità);
  • cedolare secca, ovvero l’esercizio, da parte del locatore, dell’opzione prevista ex art. 3, comma 11, d.lgs. n. 23/2011. Si tratta di un’imposta sostitutiva dell’Irpef a cui il locatore potrà aderire. Il locatore, così facendo, non sarà tenuto a versare l’imposta di registro e quella di bollo per la registrazione.

Il contratto di locazione ad uso abitativo

La locazione ad uso abitativo è disciplinata, oltre che nelle disposizioni del codice civile (articoli 1571 e seguenti), in due leggi speciali. Queste sono la legge 392 del 1978 e, soprattutto, la legge 431 del 1998.

Le norme sulle locazioni ad uso abitativo derogano in parte quelle generali del codice civile. È prevista innanzitutto la necessaria forma scritta “ad substantiam” e cioè a pena di nullità del contratto.

La legge incide poi sulla durata del contratto, che deve essere pattuita per una durata non inferiore ai quattro anni. Al termine dei quattro anni il locatore (chi concede in locazione l’immobile) ha facoltà di recedere solo per i casi disciplinati all’articolo 3 della legge 431 del 1998. Viceversa il locatario (o conduttore) ha facoltà di recedere, unilateralmente, dal contratto in qualsiasi momento, ove sussistano “gravi motivi” dando al locatore un preavviso di almeno sei mesi (art. 3, sesto comma 431/1998).

Ove non vi siano recesso del conduttore o disdetta del locatore, il contratto dovrà rinnovarsi per una durata di ulteriori quattro anni. Al termine dei quattro anni successivi le parti saranno libere di non rinnovare il contratto.

Il contratto di natura transitoria

È previsto dall’articolo 5 della legge 431 del 1998. Il tipo contrattuale tuttavia trova la propria compiuta disciplina negli “specifici accordi locali” dei comuni che siano sedi di università o limitrofi.

In questo caso la locazione potrà avere durata inferiore ai quattro anni della disciplina generale ad uso abitativo, e sarà correlata alle esigenze particolari relative all’uso transitorio degli studenti universitari.

Alla formazione dei tipi contrattuali locali di questo tipo partecipano anche le rappresentanze degli studenti. Gli “accordi contrattuali” sono diversi a seconda del contesto in cui sono inseriti. Generalmente i comuni che prevedono queste fattispecie mettono a disposizione dei cittadini alcuni modelli nonché gli specifici accordi locali menzionati dalla sopra citata legge.

La locazione ad uso commerciale

La locazione ad uso commerciale trova fonte e disciplina nella legge numero 392 del 1978. Il contratto prevede, come stabilito all’articolo 27 della predetta legge, una durata di sei anni rinnovabili o di nove anni rinnovabili in caso di attività alberghiere o assimilabili e teatrali.

L’articolo 4 prevede la possibilità di convenire un diritto di recesso convenzionale a beneficio del solo conduttore anche in assenza di gravi motivi. Il conduttore, tuttavia, potrà sempre recedere dal contratto ove sussistano gravi motivi dando però preavviso di almeno sei mesi dal recesso.

L’articolo 28 della legge prevede la rinnovazione tacita del contratto di sei anni in sei anni o di nove anni in nove anni (per attività alberghiere o assimilabili e teatrali).

In caso il locatore non intenda rinnovare il contratto, il conduttore, secondo quanto disposto dall’articolo 34 della legge, ha diritto ad una “indennità per la perdita di avviamento”. Tale indennità è pari a 18 mensilità di canone oppure a 21 per il caso di attività alberghiere, assimilabili o teatrali.


Avv. Natascia Carignani - Avvocato esperto in diritto della famiglia

L’Avv. Carignani opera nell'ambito del diritto civile e prevalentemente si occupa di diritto di famiglia dall'inizio della sua esperienza professionale. Laureatosi all’Università di Giurisprudenza di Pisa ha fin da subito intrapreso la carriera legale seguendo quella che ritiene essere la sua vocazione: il diritto di famiglia. Durante la sua esperienza ha seguito centinaia di casi fra separazioni, divorzi e questioni patrimoniali.




Natascia Carignani

Esperienza


Diritto di famiglia

Ho seguito numerosi divorzi e separazioni, a partire dalle coppie con figli che non riescono più a convivere, fino ad arrivare ai casi più complessi di tradimento e di violenza familiare. La terminazione del rapporto coniugale comporta punti critici che mi trovo spesso ad affrontare, quali ad esempio l’affidamento e le questioni patrimoniali. Fornisco sia assistenza per il divorzio congiunto che giudiziale, qualora non si riuscisse ad ottenere un accordo condiviso. In quanto madre di due figli posso comprendere a fondo le dinamiche familiari non solo da un punto di vista legale ma anche pratico.


Separazione

Ho seguito separazioni di ogni tipo, seguendo coppie che non riescono più a convivere e che devono disciplinare la gestione dei figli. La terminazione del rapporto coniugale comporta punti critici che mi trovo spesso ad affrontare, quali ad esempio l’affidamento e le questioni patrimoniali. Ho seguito anche coppie con figli non unite in matrimonio che si sono rivolte al mio studio per disciplinare i loro rapporti e doveri genitoriali. Fornisco sia assistenza per la separazione consensuale che giudiziale, qualora non si riuscisse ad ottenere un accordo condiviso.


Divorzio

Ho seguito vari divorzi, dando ai coniugi qualsiasi tipo di supporto, sia legale che pratico. Accompagno i coniugi in tutto il percorso, dal primo incontro in studio sino alla definizione dei loro rapporti mediante emissione di un provvedimento da parte del Tribunale. Fornisco sia assistenza per il divorzio congiunto che giudiziale, qualora non si riuscisse ad ottenere un accordo tra i coniugi.


Altre categorie:

Diritto penale, Diritto civile, Recupero crediti, Pignoramento, Contratti, Violenza, Stalking e molestie, Reati contro il patrimonio, Locazioni, Sfratto, Domiciliazioni, Risarcimento danni.


Referenze

Esperienza di lavoro

Avvocato - Studio Legale Carignani

Dal 1/2017 - lavoro attualmente qui

Lo Studio Legale Carignani offre un’attività di consulenza ed assistenza legale in materia di famiglia, separazione e divorzio, unioni civili, modifiche condizioni, filiazione etc., dando una assistenza, anche telefonica, a causa delle problematiche che a volte nascono improvvisamente tra soggetti separati e con prole. Inoltre, lo Studio svolge attività di assistenza e consulenza nella redazione di testamenti, nelle divisioni, nelle azioni di riduzione ed in genere di contenzioso tra eredi.

Esperienza di lavoro

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Pubblicazione legale

DIVORZIO CONGIUNTO O GIUDIZIALE

Pubblicato su IUSTLAB

Il divorzio congiunto è una procedura giudiziaria con la quale si persegue l’obiettivo dello scioglimento del matrimonio . La “particolarità” rispetto agli altri procedimenti che hanno come obiettivo quello di conseguire una simile finalità, è legata al fatto che la procedura è avviata consensualmente da entrambi i coniugi , dopo aver stabilito di comune accordo le condizioni che dovranno disciplinare la fine del proprio vincolo coniugale (a titolo di esempio non esaustivo: la gestione dei beni comuni , l’ assegno divorzile , le visite ai figli , e così via). Da quanto sopra dovrebbe esser piuttosto chiara la differenza tra il divorzio congiunto e divorzio giudiziale . Quest’ultimo identifica infatti un procedimento finalizzato alla cessazione degli effetti del matrimonio avviato su ricorso di uno solo dei due coniugi, anche se l’altro non ha prestato il consenso. Ne deriva che generalmente si ricorre al divorzio giudiziale quando tra i due coniugi non è stato possibile trovare un accordo su come andrà “gestita” la parte finale del proprio matrimonio, e gli effetti conseguenti. Si tratta in buona sostanza del procedimento omologo a quello di separazione consensuale : anche in questo caso è necessario il previo accordo dei coniugi per la formalizzazione degli accordi. La domanda congiunta di divorzio Introdotto quanto sopra, e accennato brevemente quali sono le caratteristiche e le finalità del divorzio congiunto, possiamo certamente rammentare come la procedura del divorzio congiunto segua un iter ben più rapido ed economico rispetto a quello che andrebbe a caratterizzare il divorzio giudiziale. Peraltro, così come il divorzio giudiziale, anche il divorzio congiunto prevede che la forma con la quale presentare la domanda sia quella del ricorso , indirizzato al tribunale competente (quello nel luogo di residenza o di domicilio di uno dei due coniugi). La domanda di divorzio congiunto dovrà necessariamente includere alcuni elementi essenziali ai fini della validità del ricorso quali, in particolare: i fatti e gli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda di scioglimento del matrimonio o di cessazione dei propri effetti civili (in caso di matrimonio concordatario); l’esistenza di figli di entrambi i coniugi; le condizioni relative ai figli e ai rapporti economici; le ultime dichiarazioni dei redditi di ogni componente della coppia; l’atto di matrimonio, lo stato di famiglia, il certificato di residenza di entrambi i coniugi, la copia autentica del verbale di separazione consensuale o della sentenza di separazione giudiziale e la nota di iscrizione a ruolo. Divorziare mediante la negoziazione assistita Con il Decreto Legge 132 del 2014 si è reso possibile divorziare congiuntamente anche a mezzo dell’istituto della “ negoziazione assistita “ . La negoziazione assistita non è alto che un mezzo attraverso il quale i coniugi possono raggiungere e perfezionare un accordo . Tale accordo è valido anche in presenza di figli minori. Può essere formalizzato davanti ai rispettivi difensori. L’utilizzo di questo istituto presuppone ovviamente che ci sia un accordo su tutti gli aspetti, anche patrimoniali, riguardanti il divorzio. Ai coniugi non sarà dunque necessario presenziare ad alcuna udienza . Lo studio legale si occuperà poi del deposito degli accordi intercorsi presso la Procura della Repubblica . Solitamente il nulla osta (necessario per il caso in cui vi siano figli non autosufficienti) è concesso entro pochi giorni dal deposito. L’avvocato avrà infine il compito, entro dieci giorni dalla sottoscrizione degli accordi raggiunti, di trasmettere i relativi documenti al competente Ufficio di Stato Civile presso il Comune in cui il matrimonio è stato celebrato. Il fine è quello dell’annotazione a margine dell’atto di matrimonio della cessazione degli effetti civili del matrimonio. Divorzio congiunto: la presenza dei coniugi Una volta che i coniugi hanno presentato il ricorso per divorzio congiunto, le parti verranno chiamate a comparire personalmente davanti al giudice per il tentativo di conciliazione . Anche in questa procedura, è prevista l’audizione dei coniugi. Il giudice che tenderà ad accertare che la comunione tra i due non possa essere ricostituita o conservata, e che le condizioni stabilite dai coniugi non siano contrarie all’interesse della prole. Una volta effettuate tali verifiche, e riscontrata l’esistenza degli elementi soggettivi e oggettivi richiesti dalla legge, il giudice pronuncerà il divorzio con sentenza. Nel caso contrario, invece, il tribunale emetterà i provvedimenti urgenti in favore del coniuge debole e dei figli, nominando un giudice istruttore. Presupposti per il divorzio congiunto Ad ogni modo, per poter pronunciare divorzio congiunto con sentenza non si potrà che verificare la sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge. Questi devono essere costituiti dalla presenza di almeno una delle seguenti condizioni: i coniugi sono separati legalmente da almeno 6 mesi (in caso di separazione consensuale) o da almeno 12 mesi (in caso di separazione giudiziale); uno dei due coniugi è stato condannato per un reato per cui il nostro ordinamento prevede una pena pari all’ergastolo o superiore a 15 anni; in alternativa, per un reato – a prescindere dalla pena – individuati dall’art. 3 della legge sul divorzio (ad esempio, tentato omicidio ai danni del coniuge); uno dei due coniugi è cittadino straniero e ha ottenuto l’annullamento o lo scioglimento del matrimonio all’estero, o ha contratto un nuovo matrimonio all’estero; il matrimonio non è stato consumato; uno dei due coniugi ha visto passare in giudicato la sentenza di rattifica dell’attribuzione del sesso. I costi del divorzio congiunto o consensuale Per quanto concerne i costi del divorzio congiunto , così come abbiamo anticipato in apertura del nostro approfondimento, tale ipotesi è certamente la più economica tra le ipotesi di divorzio. Pertanto, oltre ad essere la procedura che grava meno sugli aspetti psicologici della coppia, è altresì l’iter che comporta costi più contenuti rispetto a una procedura giudiziale. Gli onorari professionali variano, a seconda delle modalità scelte, dai mille ai tremila euro circa a coniuge. Con la negoziazione assistita i costi possono essere inferiori. Ricordiamo in tal senso che il contributo unificato per il procedimento di divorzio congiunto è pari a 43 euro, e non è prevista alcuna marca da bollo. I documenti necessari per la procedura di divorzio consensuale Quando è presentato il ricorso per ottenere il divorzio congiunto, oppure si procede con negoziazione assistita , è necessario allegare: L’estratto integrale dell’atto di matrimonio, da richiedersi presso l’ufficio Stato Civile del Comune di celebrazione del matrimonio. Lo Stato di Famiglia di ciascun coniuge, da richiedersi presso l’ufficio anagrafe del Comune di residenza di ciascun coniuge. I certificati di residenza di ciascun coniuge da richiedersi presso l’ufficio anagrafe del Comune di residenza. La copia autentica del verbale di separazione consensuale con i relativo decreto di omologa oppure della sentenza di separazione giudiziale con la relativa attestazione che la stessa sia passata in giudicato. Tali documenti possono richiedersi presso la Cancelleria del Tribunale che ha pronunciato i relativi provvedimenti. Le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni di ciascun coniuge. Copia dei documenti di identità e dei codici fiscali di ciascun coniuge. Divorzio congiunto e assistenza dell’avvocato Sempre in relazione ai costi di tale procedura – ma non solo – è opportuno ricordare come contrariamente a quanto avviene nel divorzio giudiziale, dove ogni coniuge deve necessariamente essere rappresentato da un diverso difensore, nel divorzio congiunto la coppia potrà essere rappresentata in giudizio da un unico avvocato . Nel caso il divorzio sia congiunto ma a mezzo di negoziazione assistita, sarà invece necessaria l’assistenza di un avvocato per ciascun coniuge. Rammentiamo altresì come da alcuni anni opinione giurisprudenziale comune abbia chiarito come la presentazione della domanda di divorzio mediante ricorso debba essere effettuata ricorrendo alla difesa tecnica. Non è dunque possibile limitarsi alla sola presentazione personale. A rendere più trasparente tale aspetto è stata la nota sentenza Cass. n. 6365/2011 , con i giudici della Suprema Corte che hanno evidenziato come il provvedimento di divorzio congiunto abbia carattere decisorio, e dunque preveda l’osservanza della regola della difesa tecnica, trattandosi di un provvedimento che può incidere su status e su diritti soggettivi, e che viene assunto mediante una sentenza che è destinata a passare in giudicato. In altri termini, gli ermellini hanno sottolineato come il fatto che il divorzio sia congiunto non significa che sia consensuale. Spetta solamente al tribunale la verifica dei suoi presupposti di legge. Come abbiamo già visto, i presupposti sono costituiti dalla rispondenza dell’accordo all’interesse della prole delle condizioni concordate dagli istanti.

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