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Mantenimento del figlio maggiorenne

Scritto da: Natascia Carignani - Pubblicato su IUSTLAB




Pubblicazione legale:

Se già un figlio minorenne dovrebbe, per legge, sentirsi del tutto a suo agio, “a casa”, sia presso la madre che presso il padre in regime di affidamento condiviso, e quindi vedere concretamente soddisfatti i suoi bisogni per iniziativa sia dell’uno che dell’altro, non è pensabile che un figlio maggiorenne – legittimato a cambiare in qualunque momento la propria domiciliazione nonché, soprattutto, in grado di autogestirsi – debba fare un passo indietro nell’amministrazione delle risorse a lui destinate rispetto a un genitore che non è mai stato affidatario esclusivo e che oggi è considerato “il genitore convivente” solo in forza dei “prevalenti tempi di convivenza”. Evidentemente per giungere a ciò si considera questa prevalenza rigidamente stabilita e si attribuisce ad essa decisiva valenza ai fini delle regole di contribuzione al mantenimento. A dispetto di una maggiore età che – oltre alla possibilità di acquistare e vendere immobili, contrarre matrimonio, eleggere il Parlamento e portare una pistola – conferisce a quel figlio anche la facoltà di spostarsi liberamente da un genitore all’altro, non essendo più in affidamento.

 

Giova, d’altra parte, a rendere meno nuova e sorprendente questa assunzione, il modulo per le separazioni consensuali adottato dal tribunale di Varese e raccomandato come esempio da seguire dal Ministero della Giustizia dove si richiede ai redattori di impegnare il futuro con questa singolare dichiarazione: “I figli maggiorenni, ma non economicamente autosufficienti, vivranno con …”. Dove, in aggiunta, non può farsi a meno di notare che il modulo non viene compilato dal soggetto protagonista, ma dai suoi genitori, ovvero che il figlio maggiorenne viene ufficialmente esautorato dalle istituzioni.   In altre parole, dal fittizio prolungamento oltre la maggiore età di un regime illegittimamente sbilanciato si deduce anche il permanere jure proprio e non ex capite filiorum del diritto di percepire e gestire le risorse destinate ai figli, benché maggiorenni. Illumina sul punto la decisione, ex pluris, di Cass. 25300/2013 che così motiva: “… soprattutto osta all'accoglimento della richiesta di versamento diretto ai figli la circostanza che questi ultimi non hanno proposto la relativa domanda in giudizio. A tale ultimo riguardo va richiamata la giurisprudenza di questa Corte formatasi sulla base della disciplina anteriore all'entrata in vigore della L. 8 febbraio 2006, n. 54 (cui si deve l'introduzione dell'art. 155 quinquies c.c.”. Il “principio di continuità”, ovvero la riluttanza nel prendere atto della riforma del 2006, non poteva essere illustrato in modo più efficace. Il capovolgimento attuale della posizione del figlio, posto in subordine rispetto al fantomatico “genitore convivente”, la dice lunga sulla autenticità della preminente (se non esclusiva) considerazione per l’interesse dei figli che il sistema legale continuamente sbandiera.

Naturalmente tutto questo è reso tecnicamente possibile grazie alla infelice e adultocentrica formulazione attuale dell’art. 337-septies comma I c.c., voluta da un emendamento degli avversari della riforma durante i lavori preparatori della Legge n. 54/2006, che stravolse la stesura originaria, che per i figli maggiorenni stabiliva “Ove debba essere disposto il pagamento di un assegno periodico, esso deve essere versato direttamente al figlio, salvo che il giudice, valutate le circostanze, disponga diversamente.” 

Resta il fatto che il codice civile continua anche in altri passaggi a offrire soluzioni di maggiore ragionevolezza. Ci si potrebbe, ad es., ispirare all’art. 315 bis, comma IV, c.c. secondo il quale “Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa.”, applicando il quale ben si potrebbe “indennizzare” il genitore che per effetto delle sue scarse risorse e degli oneri inevitabilmente sostenuti nell’ospitare il figlio si trovasse in credito verso di lui; anziché mantenere in vita (o creare: il figlio potrebbe essere già maggiorenne al momento della separazione dei genitori) una relazione interna all’estinto rapporto di coppia, del tutto impropria visto che entrambi sono autonomamente obbligati verso il figlio e non tra loro.



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Natascia Carignani

Avvocato esperto in diritto della famiglia