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Abstract
La somministrazione di sangue infetto, con conseguente decesso del paziente, rappresenta una delle più gravi violazioni del diritto alla salute e all'integrità fisica. In ambito giuridico, il risarcimento del danno si articola su due livelli principali: il danno subito direttamente dalla vittima in vita e il danno parentale, riconosciuto ai familiari superstiti. L'obiettivo del presente articolo è analizzare i profili giuridici e giurisprudenziali relativi alla responsabilità per trasfusione di sangue infetto e le modalità di risarcimento del danno ai congiunti della vittima.
1. Introduzione
La trasfusione di sangue infetto è una problematica di rilevanza medica e giuridica che ha dato origine a numerose controversie giudiziarie. Tale evento lesivo può derivare da omissioni o negligenze nella raccolta, conservazione e somministrazione del sangue, con gravi ripercussioni sulla salute del paziente e sulla sua famiglia. La giurisprudenza italiana ha delineato specifici criteri di responsabilità e risarcibilità del danno, anche alla luce di avvenimenti storici che hanno caratterizzato il nostro Paese.
2. Responsabilità per la somministrazione di sangue infetto
La responsabilità per danni da trasfusione infetta può essere ricondotta a due principali figure giuridiche:
- Responsabilità contrattuale, nei casi in cui la prestazione sanitaria sia stata fornita nell'ambito di un rapporto di cura e assistenza;
- Responsabilità extracontrattuale, nei casi in cui il danno derivi da comportamenti omissivi o negligenti, anche in assenza di un rapporto diretto tra paziente e struttura sanitaria.
Il principio di riferimento è l'art. 2043 del Codice Civile, che sancisce l'obbligo di risarcire il danno ingiusto, nonché l’art. 1218 per la responsabilità contrattuale delle strutture sanitarie. La giurisprudenza ha inoltre riconosciuto la responsabilità dello Stato per omessa vigilanza e controllo sulla qualità del sangue e degli emoderivati (Cass. Civ., sez. III, n. 576/2020).
3. Il danno risarcibile alla vittima e ai familiari
La vittima della trasfusione infetta può richiedere il risarcimento del danno biologico, morale ed esistenziale subito prima del decesso. Tuttavia, in caso di morte del paziente, sorgono ulteriori profili risarcitori in favore dei familiari superstiti, tra cui:
- Danno iure hereditatis: rappresenta il risarcimento che spetta agli eredi per le sofferenze patite dalla vittima fino al momento della morte;
- Danno iure proprio (danno parentale): consiste nel pregiudizio morale ed esistenziale subito dai congiunti per la perdita del rapporto affettivo con la vittima.
Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. Civ., sez. III, n. 29789/2020), il danno parentale deve essere valutato in base a criteri quali l'intensità del legame affettivo, l’età della vittima e del superstite, nonché le ripercussioni sulla vita quotidiana.
4. La quantificazione del danno parentale
La quantificazione del danno parentale avviene secondo parametri equitativi, con riferimento alle tabelle elaborate dai Tribunali (es. le Tabelle di Milano). I criteri di liquidazione considerano sia il danno non patrimoniale (dolore morale, sofferenza interiore) sia le conseguenze esistenziali nella vita del superstite (alterazione della qualità della vita, perdita di supporto morale e affettivo).
5. Giurisprudenza rilevante
Negli ultimi anni, la giurisprudenza ha rafforzato il diritto al risarcimento dei familiari delle vittime di trasfusioni infette, riconoscendo l'autonoma rilevanza del danno parentale. Tra le sentenze più significative si annoverano:
- Cass. Civ., sez. III, n. 11609/2019, che ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno morale ed esistenziale dei congiunti;
- Cass. Civ., sez. Un., n. 26972/2008, che ha delineato i confini tra danno patrimoniale e non patrimoniale.
Ma vi è di più, di particolare rilevanza sono le sentenze della Corte di Cassazione in merito alla decorrenza del termine di prescrizione, in particolare grazie al contributo del formante giurisprudenziale, si è riconosciuta la possibilità di ottenere oggi il risarcimento del danno per emotrasfusioni subite ad esempio nel 1976. Il principio di diritto elaborato dalla giurispdurenzade, è quello secondo il quale, in tema di danni lungolatenti il “dies a quo” a partire dal quale decorrono in termini di prescrizione è quello della effettiva conoscenza del nesso di causalità tra la somministrazione del sangue infetto e il danno cagionato, e non quello in cui si è verificato il danno conseguente alla somministrazione stessa. Quello che cioè rileva è il danno giuridicamente rilevante.
Pertanto la Cassazione in molteplici pronunce ha affermato il principio secondo il quale: “ deve ritenersi che per un paziente privo di conoscenze mediche, la mera diagnosi di positività al Virus HCV non integri di per sé sola-ovvero in difetto di ulteriori e più specifiche informazioni fornite da parte del personale sanitario o comunque altrimenti acquisiti la consapevolezza e percezione della riconducibilità casuale della patologia epatica alla trasfusione di sangue (cfr. Cassazione Civile n. 25472/2024; Cassazione Civile n. 36548/2023; Cassazione Civile n. 2375/2024).
6. Conclusioni
Il risarcimento del danno derivante dalla somministrazione di sangue infetto rappresenta un tema complesso che coinvolge aspetti di responsabilità sanitaria e diritti dei familiari superstiti. La giurisprudenza si è evoluta nel riconoscere un ristoro adeguato sia per la vittima in vita sia per i congiunti, sottolineando l'importanza di una valutazione caso per caso del danno subito.
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