Con l'ordinanza n. 1095/2023, la Cassazione è tornata sulla tormentata questione della distinzione tra autonomia e subordinazione.
Nel nostro sistema giuridico, la subordinazione rappresenta la forma di impiego sicuramente prevalente: il lavoro organizzato nell'impresa viene considerato come il più rilevante socialmente e, pertanto, è utilizzato dal legislatore come il modello di riferimento tipico di rapporto di lavoro intorno al quale ruotano tutti gli altri.
Il vincolo della subordinazione, tuttavia, non è sempre evidente: può, infatti, accadere che contratti di lavoro qualificati come autonomi, dissimulino rapporti di natura subordinata.
Come più volte osservato dallo stesso giudice di legittimità "allo stato attuale, i due tipi di rapporto non compaiono che raramente nelle loro forme e prospettazioni primordiali e più semplici, in quanto gli aspetti molteplici di una vita quotidiana e di una realtà sociale in continuo sviluppo e le diuturne sollecitazioni che ne promanano, hanno insinuato in ognuno di essi elementi, per così dire, perturbatori, che appannano, turbano, appunto, la primigenia semplicitas del tipo legale, rendendo i medesimi, non di rado, qualcosa di ibrido e, comunque, difficilmente definibile" (Cass. civ. 9.3.2009, n. 5645; Cass. civ. 28.3.2003, n. 4770; Cass. civ. 22.11.1999, n. 12926; Cass. civ. 11.7.2018, n. 18253).
Il nomen iuris eventualmente utilizzato dalle parti, pertanto, non vincola più il giudice chiamato a decidere sulla natura del rapporto di lavoro, il quale, al contrario, in presenza di effettive, univoche, diverse modalità di adempimento della prestazione, può attribuire ad esso una qualificazione giuridica differente.
La massima.
Costituisce elemento essenziale, come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato, e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro subordinato, la soggezione personale del prestatore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro; soggezione che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e non già al suo risultato.
Tuttavia, tale assoggettamento non costituisce un dato di fatto elementare, quanto, piuttosto, una modalità di essere del rapporto, potenzialmente desumibile da un complesso di circostanze, sicché, ove esso non sia agevolmente apprezzabile, è possibile fare riferimento, ai fini qualificatori, ad altri elementi, che hanno carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria.
A fronte di contratti di lavoro autonomo dei quali non si riesce a stabilire la eterodirezione, gli indici dai quali può trarsi la natura subordinata del rapporto possono essere:
l'oggetto generico della collaborazione indicato nel contratto;
il compenso commisurato alle giornate lavorative;
l'assenza di rischio economico per il lavoratore;
il controllo orario e giornaliero della prestazione del collaboratore da parte del committente;
la disponibilità ad operare nelle fasce orarie richieste.
Cassazione, sez. lav., ord. n. 1095/2023
Il caso.
Una società d'informatica affidava ad un sistemista plurimi incarichi di consulenza, apparentemente di natura autonoma, per l'espletamento dell'attività di assistente informatico addetto alla risoluzione delle problematiche hardware e software presso gli uffici giudiziari.
Dopo alcuni anni di collaborazione, la società, con un sms, manifestava la propria volontà di interrompere il rapporto professionale.
Il professionista ricorreva al giudice del lavoro per il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro, il pagamento delle differenze retributive, la reintegra ed il risarcimento per l'illegittima interruzione del rapporto lavorativo.
Il tribunale rigettava il ricorso ed il lavoratore proponeva appello, che veniva accolto.
La società d'informatica si rivolgeva alla Corte di Cassazione per l'annullamento della sentenza d'appello.
La soluzione della Cassazione.
Tralasciando le altre problematiche sottoposte alla valutazione dalla Suprema Corte, la questione giuridica fondamentale è stata quella concernente l'individuazione degli elementi sulla base dei quali il contratto di lavoro, formalmente qualificato come autonomo, dovesse reputarsi sostanzialmente di natura subordinata.
Al riguardo, la Corte ha anzitutto rammentato che il fondamentale criterio discretivo tra lavoro subordinato ed autonomo è costituito dall'eterodirezione, ossia la "soggezione personale del prestatore d'opera al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro, potere che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e non già soltanto al risultato".
Può accadere, tuttavia che tale fondamentale criterio di distinzione, non sia agevolmente apprezzabile, pertanto, ha proseguito la Corte, in tal caso è possibile far riferimento ad altri elementi (come ad esempio la continuità della prestazione, il rispetto di un orario predeterminato, la percezione a cadenze fisse di un compenso prestabilito, l'assenza in capo al lavoratore di rischio e di una seppur minima struttura imprenditoriale) a carattere sussidiario e con funzione meramente indiziaria.
Tali elementi, lungi dall'assumere valore decisivo ai fini della qualificazione del rapporto, costituiscono indizi idonei ad integrare una prova presuntiva della subordinazione, a condizione che essi siano stati fatti oggetto di una valutazione complessiva e globale.
Nel caso specifico, ha poi dichiarato la Cassazione, a fronte di un contratto di lavoro autonomo del quale non si riesce a stabilire l'eterodirezione, un ulteriore indice dal quale può trarsi la natura subordinata del rapporto (oltre al il compenso commisurato alle giornate lavorative, all'assenza di rischio economico per il lavoratore, al controllo orario e giornaliero della prestazione del collaboratore da parte del committente, alla disponibilità ad operare nelle fasce orarie richieste) è la generica indicazione dell'oggetto della collaborazione all'interno del contratto medesimo.
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