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L’ordinanza n. 12492/2025 della Corte
di Cassazione si inserisce in un filone
giurisprudenziale che, pur senza affermarlo
in modo espresso, consolida l’esigenza di
rigorosa coerenza tra obblighi informativi in
corso di rapporto e oneri probatori in sede
giudiziale.
Nel caso deciso, la documentazione prodotta
dalla banca si limitava a un elenco movimenti
interno riferito a un conto “a sofferenza”, mai
trasmesso al correntista durante la vigenza del
rapporto e privo di quegli elementi minimi –
come gli estratti conto scalari e il documento
di sintesi – che consentano di ricostruire
compiutamente il saldo finale.
Il ricorrente ha fondato buona parte del proprio
impianto argomentativo sulla necessità di
trasporre sul piano processuale le regole
che disciplinano la trasparenza bancaria,
evidenziando che:
«Nel caso in cui la banca agisca come attrice in
giudizio, e il credito sia oggetto di contestazione,
essa è tenuta a produrre in giudizio la medesima
documentazione che avrebbe dovuto trasmettere
periodicamente al correntista, ai sensi dell’art.
119 TUB e delle Istruzioni di Vigilanza della
Banca d’Italia: estratti conto completi, scalari,
documenti di sintesi, ossia atti ufficiali, accessibili,
verificabili e conformi alla normativa.»
Ne consegue che la prova del credito
bancario non può più fondarsi su surrogati
documentali, quali prospetti interni, stampe
contabili o liste movimenti estranee al circuito
informativo obbligatorio previsto dalla legge.L’ordinanza accoglie questa impostazione, pur
in forma implicita, laddove riconosce come
erroneo il ragionamento della Corte d’Appello
che aveva attribuito efficacia probatoria
piena a un documento non comunicato al
correntista, e non contestato solo perché non
impugnato nella prima udienza. In tal modo, la
Cassazione riafferma un principio già presente
in precedenti come Cass. n. 33355/2018
e n. 10864/2018, secondo cui la mancata
contestazione del documento prodotto dalla
banca non basta a renderne provato il contenuto,
occorrendo comunque che esso sia idoneo,
serio, verificabile, e conforme alle regole di
trasparenza contrattuale anche con riferimento
all’effettiva ricezione di tale documentazione da
parte del cliente in corso di rapporto.
Da questa impostazione discende un effetto
di sistema: la documentazione probatoria
deve coincidere con quella prevista per
legge ai fini del rendiconto bancario, pena
l’inammissibilità sostanziale del credito per
difetto di prova.
Nei casi in cui il rapporto bancario sia contestato
dal cliente, il materiale prodotto dovrà essere
non solo tecnicamente sufficiente, ma anche
legittimamente formato e comunicato al
correntista, altrimenti il giudice non potrà
ritenerlo attendibile o utilizzabile a fini decisori.
In definitiva, il principio di trasparenza
sostanziale nei rapporti contrattuali assume
valore anche in sede giudiziale, imponendo un
rigore probatorio che si traduce in tutela effettiva
per il debitore e in una rinnovata responsabilità
per l’ente creditizio.
Conclusioni
L’ordinanza n. 12492/2025 contribuisce a
riaffermare un principio fondamentale: la
prova del credito bancario deve fondarsi su
documentazione trasparente, accessibile e
conforme alla legge.
Nel contenzioso civile, le banche non potranno
più colmare le lacune probatorie mediante
allegazioni interne o elenchi unilaterali mai
trasmessi al cliente, specie quando il credito
sia oggetto di contestazione.
Si tratta di una svolta interpretativa che
rafforza le garanzie del correntista e segna un
passo deciso verso un sistema processuale più
equilibrato e coerente con le regole sostanziali
che governano i rapporti bancari.
Fonte: Le Controversie Bancarie