Pubblicazione legale:
Con la sentenza n. 123 del 2020 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’inammissibilità, in riferimento agli artt. 3, comma 1 e 4, comma 1, 24, comma 1, 35, comma 1, e 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 24 della Carta sociale europea, della questione di legittimità costituzionale dell’art. 55-quater, comma 1, lett. a), del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, nella parte in cui stabilisce che, in caso di falsa attestazione della presenza in servizio del pubblico dipendente, mediante alterazione dei sistemi di rilevamento o con altre modalità fraudolente (c.d. furbetti del cartellino), la sanzione disciplinare del licenziamento si applichi “comunque”, poiché – in base al diritto vivente – l’uso di tale avverbio lascia fermo il sindacato giurisdizionale sulla concreta proporzionalità del licenziamento, sebbene all’esito dell’inversione dell’onere probatorio in capo al lavoratore dipendente.
Ad avviso del Tribunale di Vibo Valentia, che ha rimesso la questione di legittimità innanzi alla Corte Costituzionale, il tenore letterale dell'art. 55-quater del D.Lgs.vo n. 165 del 2001, con l’uso dell’avverbio “comunque”, avrebbe imposto l'automatismo sanzionatorio del licenziamento disciplinare in spregio ai principi costituzionali di ragionevolezza ed effettività della tutela del lavoro, nonchè del diritto di difesa. Tali principi, infatti, attribuiscono al dipendente, autore del fatto tipizzato dal legislatore, l'onere di provare la sussistenza di elementi fattuali di carattere attenuante o esimente, idonei a superare la presunzione legale di gravità dell’illecito (Cass. Civ. sez. lav., sent. 11 luglio 2019, n. 18699, Cass. Civ. sez. lav., sent. 11 settembre 2018, n. 22075, Cass. Civ. sez. lav., sent. 19 settembre 2016, n. 18326, e Cass. Civ. sez. lav., sent. 24 agosto 2016, n. 17304).
La Consulta, dunque, ha ribadito che fermo restando la titolarità del recesso in capo alla Pubblica Amministrazione nelle fattispecie delineate e tipizzate dal legislatore, è permesso al dipendente autore materiale del fatto e, conseguentemente, al Giudice del Lavoro investito dell'impugnazione del licenziamento, il potere di sindacare la concreta proporzionalità del licenziamento, ai sensi dell'art. 2106 c.c.-. Sul punto, dunque, si esclude qualsiasi presunzione di legittimità dell'automatismo espulsivo posto in essere dalla parte datoriale nei confronti del destinatario.