Pubblicazione legale:
La calunnia è un reato sanzionato dall’art. 368 c.p., secondo il quale chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso norme, diretta all’Autorità giudiziaria o ad un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione da due a sei anni.
La pena è aumentata se si incolpa taluno di un reato per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a dieci anni, o un’altra pena più grave.
La reclusione è da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna alla reclusione superiore a cinque anni; è da sei a venti anni, se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo.
La calunnia è un reato comune, commissivo, monosoggettivo, istantaneo, plurioffensivo, di mera condotta, di pericolo, aggravato dall’evento, a condotta vincolata e a dolo generico.
Come affermato dalla S.C., il delitto di calunnia ha natura plurioffensiva in quanto lede non solo l’interesse primario dello Stato, soggetto passivo principale, alla corretta amministrazione della giustizia, ma anche il diritto all’onore dell’incolpato, che assume la veste di concorrente persona offesa dal reato.
A dimostrazione che l’interesse considerato prevalente è quello relativo alla tutela dell’attività giudiziaria, il legislatore ha collocato il delitto di calunnia nell’ambito dei reati contro l’amministrazione della giustizia.
L’oggetto giuridico della calunnia è, pertanto, l’interesse ad un corretto funzionamento della giustizia ed, in particolare, l’interesse a non instaurare un processo contro un innocente; nello stesso tempo, un ulteriore oggetto di tutela è rappresentato dalla libertà e dall’onore dell’innocente incolpato.
Secondo una dottrina minoritaria, invece, il delitto di calunnia avrebbe in realtà natura di reato monoffensivo, in quanto l’unico interesse tutelato sarebbe ora quello al corretto funzionamento dell’amministrazione della giustizia, ora quello della persona falsamente incolpata.
Per la sussistenza del delitto, secondo la giurisprudenza, è sufficiente la possibilità che l’autorità giudiziaria dia inizio al procedimento per accertare il reato incolpato con danno per il normale funzionamento della giustizia, mentre non è necessaria l’effettiva instaurazione del suddetto procedimento. Ai fini dell’integrazione dell’illecito, dunque, è sufficiente che la condotta posta in essere dal reo, ossia la falsa denuncia o la simulazione delle tracce del reato, siano idonee a determinare l’instaurazione di un procedimento penale, non occorrendo invece che questo sia stato effettivamente intrapreso. Il delitto di calunnia è infatti un reato di mero pericolo.
A conferma della natura di reato pericolo della calunnia, la S.C. ha escluso la sussistenza del delitto quando la falsa accusa ha ad oggetto fatti per i quali l’esercizio dell’azione penale è paralizzato dal difetto di una condizione di procedibilità, purché tale difetto sia a sua volta evidente ed escluda immediatamente la possibilità di un seguito alla notizia di reato.
Il delitto di calunnia è un reato istantaneo, in quanto la sua consumazione si esaurisce con la comunicazione all’autorità giudiziaria di una falsa incolpazione a carico di persona che si sa essere innocente; ne consegue, come chiarito dalla S.C., che la reiterazione di eventuali e successive dichiarazioni di conferma della falsa accusa non può concretare ulteriori violazioni della medesima norma incriminatrice.
Trattandosi di reato istantaneo, inoltre, non assumono nessuna influenza le sopravvenute modifiche normative riguardanti la nozione o la procedibilità del reato presupposto.
Il reato è di mera condotta, in quanto per la sua integrazione non è richiesta la sussistenza di un evento inteso in senso naturalistico causalmente ricollegato alla condotta.
La condotta è sostanzialmente a forma vincolata, in quanto la falsa incolpazione deve avvenire mediante la presentazione di una falsa denuncia, querela o istanza, ovvero attraverso la simulazione delle tracce di un reato.
L’elemento soggettivo del delitto di calunnia è il dolo generico e consiste nella coscienza e volontà di incolpare di un reato taluno sapendolo innocente. La falsa accusa, dunque, può avere ad oggetto un illecito inesistente ovvero commesso da altri.
L’art. 368 c.p. contempla due diverse forme di calunnia: la calunnia diretta o formale e quella indiretta o materiale.
La prima consiste nell’accusare taluno di un reato che non ha commesso, mediante denuncia, querela o istanza; la seconda, invece, consiste nel simulare a carico di taluno le tracce di un reato.
In giurisprudenza, si è precisato che il termine ‘’denuncia’’ deve essere inteso in senso ampio ed atecnico, quale informazione scritta od orale, palese o confidenziale, firmata od anonima, rivolta all’autorità competente, senza necessità di rispettare particolari formalità.
Il reato si configura così, per espressa affermazione della S.C., anche in presenza di una chiamata in correità effettuata dall’imputato durante l’interrogatorio.
Per la sussistenza del reato, in ogni caso, è necessario che il fatto descritto nella denuncia, querela o istanza corrisponda astrattamente ad una ipotesi di reato, delittuosa o contravvenzionale, mentre il delitto è escluso qualora il denunciante abbia, errando, indicato un nomen juris non corrispondente, nella realtà, ad alcuna fattispecie criminosa.
Deve quindi escludersi la sussistenza del delitto quando venga denunciato un fatto accaduto realmente ma non riconducibile ad alcuna previsione criminosa, nonostante l’eventuale qualificazione propostane dal denunciante, posto che in tali casi manca una alterazione della realtà suscettibile di determinare l’indebita incolpazione dell’accusato.
Per l’integrazione del reato, tuttavia, non è sufficiente che il fatto corrisponda ad una fattispecie oggettiva, occorrendo altresì l’assenza di cause di giustificazione ed il concorso, a seconda delle ipotesi, del dolo e della colpa. Di conseguenza, non sussiste il reato di calunnia quando si comunichi all’autorità giudiziaria che taluno ha ucciso per legittima difesa o in stato di necessità o per caso fortuito. In tal caso, infatti, si informerebbe l’autorità giudiziaria di una fattispecie non costituente reato, dal momento che la prospettata presenza di una scriminante esclude in radice la rilevanza penale del fatto. Al contrario, il reato sussisterebbe nell’ipotesi in cui taluno accusi un altro di un reato tacendone però una causa di giustificazione.
Con riguardo, invece, alle cause soggettive di esclusione delle pena inerenti alla persona dell’incolpato, la dottrina e la giurisprudenza sono concordi nell’escludere il reato di calunnia quando l’incolpato sia un soggetto immune per ragioni politiche, sia non punibile per effetto di una qualità personale, ovvero non imputabile per età o infermità di mente.
Di contrario avviso è parte della dottrina, secondo la quale attribuire falsamente un reato ad una persona non imputabile o non punibile per qualità personali deve considerarsi un comportamento altamente riprovevole e, pertanto, non vi è ragione plausibile per non ravvisarsi l’ipotesi di calunnia.
Altri autori, ancora, ritengono che il reato di calunnia non sia escluso tutte le volte in cui sia possibile instaurare un procedimento penale perché la causa di non punibilità esige un accertamento processuale.
Quanto alle cause estintive del reato, è pacifico che la calunnia sia configurabile quando esse intervengono successivamente alla falsa incolpazione; discussa, invece, è l’ipotesi in cui la causa di estinzione intervenga in un momento precedente. La giurisprudenza si è espressa in senso positivo, sostenendo che l’ipotesi criminosa in esame si realizza anche quando il reato attribuito all’innocente sia già estinto per prescrizione al momento della denuncia. La dottrina risulta invece divisa: secondo alcuni non ogni falsa incolpazione può essere considerata quale evento della calunnia, ma solo quella che sia idonea a determinare la possibilità di procedere contro l’incolpato; pertanto, la sussistenza del reato andrebbe esclusa quando il reato falsamente denunciato sia già estinto al momento della denuncia, in quanto in tal caso la detta possibilità sarebbe esclusa dall’obbligo imposto al giudice di immediata declaratoria di ‘’non doversi procedere’’; per altri autori, invece, il reato dovrebbe comunque sussistere anche in tale ipotesi, posto che l’esigenza di immediata declaratoria di non punibilità non esclude la possibilità che un procedimento penale venga effettivamente instaurato.
Con riferimento, infine, alle condizioni di procedibilità, secondo l’orientamento prevalente il reato di cui all’art. 368 c.p. non si configura quando la falsa accusa ha ad oggetto fatti per i quali l’esercizio dell’azione penale è paralizzato dal difetto di una condizione di procedibilità.
Come chiarito dalla giurisprudenza, sussiste il reato di calunnia anche quando il fatto, oggetto della falsa incolpazione, sia essenzialmente diverso da quello realmente accaduto, ovvero quando al denunciato sia stato attribuito un reato diverso per titolo e più grave.
La calunnia differisce dalla simulazione di reato in quanto implica l’indicazione della persona incolpata.
Secondo la giurisprudenza, tuttavia, non è necessario che il nome del soggetto falsamente incolpato risulti espressamente dalla denuncia o querela, essendo sufficiente che questo sia implicitamente ma agevolmente individuabile.
L’incolpazione implicita, in particolare, integra il delitto di calunnia quando dal suo tenore e dal contesto delle circostanze in cui viene formulata emerge la volontaria attribuzione di un fatto costituente reato a carico di persona che si sa innocente, che, sebbene non indicata nella sua precisa individuazione, sia peraltro determinabile sulla base degli elementi contenuti nella dichiarazione accusatoria o a questa agevolmente riferibili.
In ogni caso, per la sussistenza del reato di calunnia è necessaria l’idoneità della falsa denuncia o della simulazione a determinare l’inizio di un procedimento penale o, comunque, di indagini da parte dell’autorità giudiziaria. Cosicché, il reato di calunnia non è configurabile quando la falsa incolpazione si profili immediatamente con caratteri di assurdità e di inverosimiglianza tali da non richiedere neppure un controllo circa la generica attendibilità della denuncia, a nulla rilevando che siano stati eseguiti accertamenti istruttori per la conferma di inattendibilità delle affermazioni accusatorie.
Si deve dunque ritenere che, nonostante l’art. 368 c.p., a differenza dell’art. 367 c.p., non richieda espressamente che a seguito della falsa incolpazione sorga la possibilità di un procedimento penale, la calunnia - essendo un reato di pericolo - si realizza solo quando esiste la possibilità che venga iniziato un procedimento per accertare la sussistenza del reato oggetto dell’incolpazione.
Per la sussistenza del reato, quindi, è sufficiente che la condotta dell’agente appaia ex ante astrattamente idonea a provocare l’intervento dell’autorità giudiziaria sul fatto denunciato.
Si precisa, dunque, la sussistenza, accanto alle ipotesi di affermazioni icto oculi assurde, di ulteriori casi in cui è consentito all’interprete riscontrare l’assoluta difformità del fatto storico rispetto al tipo normativo descritto dall’art. 368 c.p., ovvero la totale carenza di contenuto offensivo nel comportamento del calunniatore.
Con riferimento al fenomeno della novazione legislativa, caratterizzato dalla successiva emanazione di una norma che depenalizzi o qualifichi diversamente il fatto oggetto dell’incolpazione, la giurisprudenza è concorde nel ritenere sussistente il delitto di calunnia.
Dottrina e giurisprudenza sono concordi nell’escludere il reato in esame nell’ipotesi in cui la falsa attribuzione concerna circostanze aggravanti, in quanto in tal caso non viene imputato a taluno un fatto che questi non ha commesso. Sussiste invece il reato in questione quando la circostanza falsamente attribuita determini il mutamento del titolo delittuoso, cioè sia elemento costitutivo di un diverso reato più grave.
Per espressa affermazione della giurisprudenza, il delitto di calunnia si può commettere anche riferendo ciò che si è appreso da altri, qualora il denunciante abbia la coscienza che l’incolpato non ha commesso il fatto.
Secondo parte della dottrina, d’altra parte, il reato sussisterebbe non solo quando risulta che il soggetto incolpato non ha commesso il fatto attribuitogli, ma anche quando costui lo abbia commesso, ma in circostanze che escludono il carattere di illecito penale di esso, ossia in presenza per esempio di una causa di giustificazione o di esclusione della pena.
Un problema molto dibattuto in tema di calunnia riguarda l’elemento soggettivo ed, in particolare, il grado di consapevolezza circa l’innocenza dell’incolpato richiesto in capo all’agente.
In giurisprudenza si ritiene che, ai fini dell’integrazione del dolo del reato di calunnia, è necessario che colui che falsamente accusa una altra persona di un illecito abbia la certezza dell’innocenza dell’incolpato.
L’elemento soggettivo di tale reato, dunque, è da ritenersi integrato nel caso in cui sussista una esatta corrispondenza tra momento rappresentativo, inteso quale sicura conoscenza della non colpevolezza dell’accusato, e momento volitivo, inteso quale intenzionalità dell’incolpazione.
Per la sussistenza del reato di calunnia è quindi necessaria la dimostrazione che l’imputato abbia acquisito la certezza dell’innocenza dell’incolpato; di conseguenza, dice la S.C., non può essere addebitato tale delitto quando sussistano elementi tali da far sorgere, nell’animo del denunciante, anche soltanto ragionevoli dubbi in ordine alla colpevolezza di colui nei cui confronti la denuncia è diretta.
Tale necessità si ricava dal testo dell’art. 368 c.p., il quale usa l’espressione ‘’che taluno sa innocente’’, la quale risulta indicativa della consapevolezza certa dell’innocenza dell’incolpato.
Deve ritenersi, dunque, che ai fini dell’integrazione dell’elemento psicologico del delitto di calunnia non assuma alcuna rilevanza il dolo c.d. eventuale.
Parte della dottrina, tuttavia, è di contrario avviso, ritenendo che per la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di calunnia sia sufficiente anche solo un dubbio in capo all’agente circa l’effettiva colpevolezza dell’accusato.
Non esclude l’elemento soggettivo del reato, d’altra parte, il c.d. animus defendendi, ossia l’intenzione dell’agente di difendersi da una accusa a suo carico.
La consumazione del reato di calunnia si verifica nel momento in cui l’autorità giudiziaria riceve l’informazione calunniosa o nel momento in cui essa viene a conoscenza delle tracce simulate, a seconda che la calunnia sia formale o materiale.
Il tentativo è ipotizzabile con riguardo alla sola calunnia materiale, quando l’agente sia sorpreso nell’atto della simulazione o comunque quando questa non sia portata a compimento per fatto indipendente dalla volontà dell’agente, trattandosi di condotta diretta alla commissione del reato di calunnia e connotata dai requisiti della idoneità e della univocità.
Come chiarito dalla giurisprudenza, commette più reati di calunnia chi, sia pure mediante un’unica dichiarazione accusatoria, attribuisce ad altra persona, sapendola innocente, una pluralità di reati, in quanto a ciascuna delle false incolpazioni corrisponde uno specifico evento, consistente nel pericolo dell’esercizio dell’azione penale nei confronti di un innocente per ogni reato ad esso falsamente attribuito. In tale ipotesi, dunque, si configura un concorso formale omogeneo, ossia una pluralità di reati di calunnia collegati ad un’unica condotta criminosa.
Ugualmente, si configurano tanti distinti reati di calunnia, unificati ai sensi dell’art. 81, comma 1, c.p., in caso di falsa incolpazione di più soggetti innocenti con un’unica denuncia.
Deve invece escludersi il concorso di più reati di calunnia in caso di presentazione di successive denunce aventi ad oggetto lo stesso reato e lo stesso incolpato, quando il contenuto dell’atto successivo non sia tale da costituire un apprezzabile novum rispetto all’accusa originaria.
D’altra parte, sussiste concorso formale tra il reato di calunnia e quello di false dichiarazioni ad un pubblico ufficiale nella propria identità, ex art. 495, comma 3, n. 2, c.p., qualora il soggetto, nell’ambito di un procedimento penale a suo carico, dichiari all’autorità giudiziaria false generalità corrispondenti a quelle di una persona effettivamente esistente e tale dichiarazione abbia creato il pericolo dello svolgimento di indagini nei confronti di quest’ultima.
Secondo la giurisprudenza, la calunnia può concorrere formalmente anche con il delitto di falsa testimonianza: come chiarito dalla S.C., infatti, la calunnia e la falsa testimonianza sono delitti tra loro distinti per diversa obiettività giuridica, essendo la norma che incrimina la prima diretta colpire, ai fini della corretta amministrazione della giustizia, la violazione del dovere di non cigolare di un reato una persona di cui si conosce l’innocenza, mentre la norma che incrimina la seconda è volta, pur nell’ambito dell’identica tutela, a colpire la violazione del dovere incombente al testimone di dire la verità. Ricorre dunque concorso formale tra le due figure qualora nella falsa deposizione testimoniale sia contenuta anche una falsa incolpazione.
Essendo la calunnia un reato istantaneo, la spontanea ritrattazione della denuncia non esclude la punibilità del delitto, integrando un post factum irrilevante rispetto all’avvenuto perfezionamento del reato, eventualmente valutabile quale circostanze attenuante ai sensi dell’art. 62, n. 6, c.p., costituendo una sorta di ravvedimento operoso.
il riconoscimento dell’attenuante, tuttavia, è subordinato al fatto che la ritrattazione sia avvenuta prima che l’autorità procedente acquisisca la prova della falsità dell’incolpazione.
Come sostenuto dalla giurisprudenza, inoltre, al delitto di calunnia non può mai essere applicata l’attenuante di cui all’art. 62, n. 1, c.p., quale che sia stata la finalità perseguita dal reo, posto che l’ordinamento giuridico non può ammettere o riconoscere alcuna positiva valenza alla falsa incolpazione di un innocente.
La configurabilità della circostanza aggravante della finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale non è condizionata dalla partecipazione dell’autore o degli autori del reato ad una associazione terroristica od eversiva, essendo prospettabile una condotta con fini eversivi anche al di fuori di legami di tipo associativo (Cass., S.U., sent. n. 2110 del 1996).
Ai sensi dell’art. 369 c.p., chiunque, mediante dichiarazione ad alcuna delle Autorità indicate dall’art. 368 c.p., anche se fatta con scritto anonimo o sotto falso nome, ovvero mediante confessione innanzi all’Autorità giudiziaria, incolpa se stesso di un reato che egli sa non avvenuto, o di un reato commesso da altri, è punito con la reclusione da uno a tre anni.
Il delitto di cui all’art. 369 c.p., cosi come quello contenuto nell’articolo precedente, si inquadra nel fenomeno della c.d. simulazione soggettiva del reato ed ha come oggetto giuridico l’interesse al normale funzionamento dell’amministrazione della giustizia, avendo entrambe le ipotesi come presupposto la possibilità di un procedimento penale come effetto dell’autoincolpazione o della falsa accusa di un reato a persona che si sa essere innocente.
Commette autocalunnia, secondo la giurisprudenza, sia chi incolpa se stesso di un reato che egli sa non avvenuto, sia chi incolpa se stesso di un reato che sia stato effettivamente commesso ma da altri.
Come affermato dalla S.C., il delitto di autocalunnia, a differenza di quello di cui all’art. 368 c.p., non è un reato plurioffensivo, poiché lo scopo della incriminazione è solo quello di evitare che sia turbato il regolare funzionamento della giustizia. Non commette pertanto calunnia, ma concorso in autocalunnia colui il quale sostenga le medesime accuse formulate contro se stesso dall’autocalunniatore, il quale, incolpandosi di un reato che non ha commesso o di un reato commesso da altri, rinuncia alla tutela del proprio onore e della propria libertà. Se, però, l’incolpazione del terzo venga formulata indipendentemente da un preventivo accordo con l’incolpato, il quale solo successivamente sia indotto a confermare l’accusa incolpando se stesso, il terzo dovrà rispondere di calunnia; del pari, il terzo, anche nell’ipotesi di preventivo accordo con l’incolpato, risponderà di un distinto reato di calunnia qualora insista nell’accusa nonostante la ritrattazione operata dall’autocalunniatore, poiché in tal caso non è più operante la rinuncia, da parte di quest’ultimo, alla tutela del proprio onore o della propria libertà.
Ci si chiede in giurisprudenza se il delitto di autocalunnia possa concorrere con quello di favoreggiamento personale quando il soggetto si autocalunni per scagionare altri: secondo l’opinione prevalente tra i due illeciti non può sussistere nessun concorso, ed in tale ipotesi ricorrerà solo il delitto di autocalunnia in quanto fattispecie speciale rispetto al favoreggiamento personale.
La falsa insolazione prevista nell’art. 369 c.p., si dice, può infatti avere ad oggetto anche un reato non avvenuto, mentre il favoreggiamento personale di cui all’art. 378 c.p. dello stesso codice, presuppone sempre che un reato sia stato commesso e consiste in un indistinto aiuto svolto a favore della persona dell’autore. Quando questo aiuto da parte dell’agente si estrinseca nella falsa incolpazione di sé, con dichiarazioni all’autorità giudiziaria o ad altra che a questa abbia l’obbligo di riferire, il fatto trova corrispondenza di previsione in una pluralità di norme giuridiche, ma il concorso di reati è soltanto apparente.
Commette così autocalunnia e non favoreggiamento personale chi, pur di giovare al vero autore di un delitto che già è stato commesso, si addebita elementi, sia pure esclusivamente materiali del fatto, che lo espongono alla instaurazione del procedimento penale, ciò in quanto il delitto di autocalunnia è ipotesi specifica rispetto al titolo generico e sussidiario del favoreggiamento personale, che può applicarsi solo quando il fatto che lo costituisce non sia espressamente previsto da altra norme incriminatrice.
Secondo altra giurisprudenza, invece, è astrattamente ipotizzabile il concorso tra il delitto di autocalunnia e quello di favoreggiamento personale.
Si ritiene pienamente ammissibile, al contrario, il concorso tra i reati di autocalunnia e falsa testimonianza, avendo essi diversa obiettività giuridica, in quanto lesivi di interessi dell’attività giudiziaria di specie diversa.
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