Pubblicazione legale:
CHI
E’ E COSA FA L’AVVOCATO DI FAMIGLIA?
Sentiamo parlare di “avvocato divorzista”, di
“avvocato familiarista” o “matrimonialista”. Io preferisco parlare di “avvocato
di famiglia”.
Innanzitutto perché l’avvocato che si occupa
di diritto di famiglia non si occupa solo di divorzi o di matrimoni e sarebbe riduttivo,
pertanto, definirlo “avvocato divorzista o matrimonialista”. Inoltre un aggettivo
non definisce bene il raggio d’azione del professionista, quanto il suo oggetto
di interesse, ovvero, in questo caso, la “famiglia”.
L’avvocato di famiglia è il professionista che
si occupa, in generale, della crisi
delle relazioni familiari, non limitandosi alle crisi di coppia, coniugale
o non coniugale, ma rivolgendosi anche alla tutela dei minori nei casi di negligenza
genitoriale o alle conflittualità nell’ambito della famiglia parentale per
motivi ereditari. L’avvocato di famiglia si occupa anche di adozione e di
tutela legale delle persone fragili (ad es. chi è affetto da una qualsiasi
forma di infermità e necessita della nomina di un amministratore di sostegno)
AVVOCATO DI FAMIGLIA: COMPETENZA E
ATTITUDINE
In tutti questi casi l’avvocato di famiglia si
trova davanti una persona, che sta attraversando un momento di sofferenza, di
frustrazione, di debolezza e che quindi non presenta soltanto un problema
giuridicamente rilevante, ma anche una situazione soggettiva estremamente
delicata.
L’avvocato di famiglia si trova infatti di
fronte a chi, a differenza del cliente che vanta un credito e o che si lamenta
dell’inquilino moroso, presenta una condizione personale che richiede un
approccio più profondo in quanto il suo problema legale ha anche
ricadute emotive e psicologiche importanti.
Per questo l’avvocato di famiglia deve avere,
oltre alle competenze giuridiche, anche un’attitudine speciale.
L’avvocato di famiglia deve tener conto del
fatto che la relazione in crisi di cui si sta occupando è una relazione
familiare che, in quanto tale, richiede un supporto non soltanto legale.
Per questa ragione l’avvocato che si occupa di
diritto di famiglia deve avere non soltanto una vasta e completa preparazione
giuridica, ma anche una competenza multidisciplinare che lo aiuti a comprendere
tutte le sfaccettature non giuridiche della problematica sottopostagli.
Ciò richiede delicatezza, sensibilità ed anche
umiltà, soprattutto laddove quanto emerge dall’ascolto del cliente evidenzi
l’opportunità di consigliare anche altri tipi di valutazione o di supporto (ad
es. lo psicologo, il mediatore
familiare, il coordinatore genitoriale).
Questa riflessione suscita ulteriori considerazioni
sulle peculiarità dell’avvocato di famiglia e sul fatto che chi si occupa di
relazioni familiari in crisi (di coppia, per questioni ereditarie) o di
soggetti da tutelare (minori, disabili) debba avere un quid pluris rispetto all’avvocato in generale.
LA DEONTOLOGIA DELL’AVVOCATO DI FAMIGLIA
La deontologia è la cornice di regole che il
professionista deve rispettare nell’esercizio della sua attività. La violazione
di tali regole comporta l’applicazione di sanzioni, più o meno gravi, da parte
di organismi preposti alla loro osservanza.
L’art. 14 del codice deontologico forense
prescrive all’avvocato di NON ACCETTARE incarichi se non è in grado di
svolgerli con adeguata competenza.
E per “adeguata competenza”, con riferimento
all’avvocato che si occupa di crisi familiare, si intende non soltanto il
possesso di conoscenze giuridiche e di un’etica inappuntabile.
L’avvocato di famiglia deve anche possedere la
capacità individuare l’interesse autentico del cliente, aiutando
quest’ultimo a decantarlo da tutte le appendici emotive che lo offuscano e che
rischiano di condurlo ad una lite giudiziale estremamente faticosa dal punto di
vista psicologico, oltre che costosa (togliendo quindi risorse personali ed
economiche a chi in primis le merita, come i figli).
Il lavoro dell’avvocato di famiglia deve
essere pertanto orientato a identificare, sotto le manifestazioni emotive, i
reali bisogni di chi è coinvolto nella relazione familiare e a raggiungere
soluzioni condivise del conflitto, che scongiurino il più possibile (e quando
possibile) la fase giudiziale, attenuando così l’impatto negativo della crisi
familiare sui soggetti più deboli, quali i figli.
Pertanto è compito dell’avvocato di famiglia
raggiungere il massimo equilibrio tra il dovere
di fedeltà al cliente (art. 10 del codice deontologico), l’indipendenza nell’esercizio della sua
professione (art. 9 del codice deontologico) ed il dovere di esercitare la
professione anche a tutela degli altri interessi partecipi della relazione
familiare, ovvero l’interesse dei figli minori, se ve ne siano.
Da questo punto di vista, si può notare che
anche il profilo deontologico dell’avvocato di famiglia si differenza rispetto
a quello dell’avvocato in generale, rivelandosi più complesso nella misura in
cui non è soltanto l’interesse individuale (se non individualistico) del suo
cliente a fare da faro nell’espletamento dell’incarico legale, ma è un insieme
di posizioni cui sono sottesi bisogni diversi che l’avvocato di famiglia, con
le sue competenze multidisciplinari, deve saper cogliere, individuare e ben
rappresentare al suo cliente (spesso “preso” o concentrato su altro nel momento
della crisi)
Per questo l’avvocato di famiglia deve
prestare attenzione a non lasciarsi travolgere dai sentimenti di rabbia e dalla
voglia di vendetta espressi dal cliente, restando indipendente ed autonomo
nella scelta della strategia di difesa e delle relative modalità di
estrinsecazione.
L’avvocato di famiglia non deve alimentare il
conflitto e, se mai, deve ricondurlo ad una forma gestibile in modo da poter
individuare, nel confronto con l’altra parte, i reali bisogni ed interessi in
gioco.
In sintesi l’avvocato di famiglia deve
lavorare mantenendo la propria autonomia e indipendenza professionale, nella
fedeltà al mandato conferitogli dal cliente, ma con un’obiettività ed un
approccio etico tesi a perseguire un interesse che potremmo definire
“superiore”, l’interesse alla cura della relazione familiare.
In questo senso l’avvocato di famiglia svolge
una funzione sociale perché non circoscrive
il suo sguardo e la sua azione al perimetro disegnato dal suo cliente, ma va
oltre, spronandolo ad approfondire le sue reali esigenze, dopo avere accolto la
sua sofferenza e la delusione, per portarlo a riflettere sulla necessità di
preservare la relazione familiare e di tutelare quindi anche l’interesse di
chi, nell’imperversare di sentimenti di frustrazione, rabbia e rancore, non ha
voce in quel momento, come i figli.
Tale funzione sociale è, del resto, riflessa
dalle stesse norme deontologiche laddove prescrivono che il mandato ricevuto
dal cliente deve essere espletato nel
rispetto del rilievo costituzionale e sociale della difesa. Ed è naturale
che la difesa del genitore debba riflettere quella dei propri figli.
Contemporaneamente l’avvocato di famiglia
svolge anche una funzione preventiva
perché se il conflitto è stato ben gestito ed ha condotto ad una soluzione
ponderata e condivisa, previene ulteriore contenzioso giudiziale, promuovendo
la stabilità degli accordi, nell’interesse di quella famiglia, sia pure divisa,
ma anche nell’interesse della collettività (che non dovrà sostenere i costi
sociali dell’ulteriore conflittualità).
Sotto questo profilo è significativo quanto
espresso dal Parlamento Europeo nella risoluzione del 23 marzo 2006 quando ha
attribuito alla professione dell’avvocato il valore precipuo di “garantire la qualità dei servizi a
beneficio dei clienti e della società in generale e di salvaguardare l’interesse
pubblico”.
In una significativa ordinanza del 2016, un
illuminato giudice del Tribunale di Milano ha riconosciuto l’avvocato come
parte del “servizio pubblico di Giustizia” e come professionista che ha “non solo il dovere ma invero l’obbligo di
svolgere un ruolo protettivo del minore,
arginando il conflitto invece che alimentarlo” (dr. Giuseppe
Buffone, ordinanza del 23.03.2016).
Ciò richiama quanto raccomandato nelle Linee
Guida del Consiglio d’Europa sulla Giustizia a misura di minore dove è chiaramente indicata la
necessità che in tutti i procedimenti giudiziari i minori siano protetti da
eventuali pregiudizi, come intimidazioni, rappresaglie, vittimizzazione
secondaria ed in generale ogni genere di strumentalizzazione del minore,
indicazione che non può essere ignorata dall’avvocato che si occupa di diritto
di famiglia.
Approfondendo la tematica della deontologia
dell’avvocato di famiglia, è corretto richiamare alcune norme del codice
deontologico forense che definiscono ancor meglio le sue peculiarità.
L’art. 56 del codice deontologico VIETA
all’avvocato del genitore di ascoltare o di avere qualsiasi forma di contatto
con il figlio minore sulle circostanze relative alle controversie familiari o
minorili, manifestando quindi il chiaro intento di proteggere il minore da qualsiasi
tipo di condizionamento che naturalmente subirebbe in un simile frangente.
L’art. 68, ultimo comma, del codice
deontologico VIETA inoltre all’avvocato che ha assistito il minore in una
controversia familiare di prestare assistenza in favore di uno dei genitori in
controversie successive della stessa natura.
Così come è vietato, senza alcun limite di
tempo, assumere incarico da uno dei coniugi o dei conviventi, congiuntamente assistiti
in precedenza, in controversie successive sorte tra loro, norma che presume, in
via assoluta, la sussistenza di un conflitto di interesse e la conseguente
incompatibilità dell’avvocato di famiglia rispetto al coniuge già assistito,
del quale conosce informazioni che, se utilizzate, potrebbero arrecare gravi
danni costituendo peraltro una condotta sleale.
Il divieto di assumere incarichi in favore di
uno dei coniugi o conviventi già assistito in precedenza ha carattere assoluto
e permanente a differenza del divieto di assumere incarichi contro la parte già
assistita in una controversia non familiare, divieto che ha durata biennale.
Questa differenza di trattamento specifica in maniera significativa la
particolare posizione dell’avvocato di famiglia rispetto all’avvocato che non
si occupa della materia familiare, sottolineandone i limiti nell’esercizio
della propria attività e rendendo particolarmente rigorosa l’osservanza dei
principi di lealtà, indipendenza e autonomia intellettuale.
In conclusione si può sottolineare che chi
sceglie di esercitare la professione forense nell’ambito, prevalente o
esclusivo, del diritto di famiglia deve seguire ancor più severamente le regole
deontologiche avendo riguardo ai particolari interessi che, attraverso la loro
osservanza, devono essere tutelati, tra cui l’interesse del minore.
È chiaro che questa considerazione dovrebbe
aiutare anche l’utenza nella scelta del professionista, orientandola verso chi,
per esperienza, formazione e competenze acquisite nel tempo, sia in grado di
garantire assistenza legale mirata, continua e diretta, ma anche capacità di
consigliare in maniera obiettiva e razionale, oltre l’onda emotiva del momento
di chi attraversa la crisi in famiglia.
QUANTO
COSTA L’AVVOCATO DI FAMIGLIA
Non esiste una risposta univoca perché ogni
caso è particolare e richiede assistenza specifica e, come tale, variabile con
conseguente naturale ricaduta sui compensi dovuti al professionista.
Esistono i parametri ministeriali, disciplinati dal DM 55/2014 recante: "Determinazione dei
parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense ai sensi
dell'art. 13 comma 6 della legge 31 dicembre 2012 n. 247", aggiornati
al DM 147/2022 che
definiscono un range nell’ambito del
quale il professionista può fissare il suo compenso, che non può essere
inferiore al valore minimo dei parametri stabiliti per cause di valore
indeterminabile, come quelle in esame. Ciò non impedisce al professionista di
concordare liberamente i compensi con il cliente (art. 25 codice deontologico):
in tal caso l’accordo dovrà essere scritto ed i compensi non dovranno comunque
essere sproporzionati rispetto all’attività da svolgere.
L’indicazione che
ci si sente di dare per la valutazione della congruità di un preventivo – che
il cliente ha sempre il diritto di pretendere dall’avvocato – è considerare il
complesso lavoro che l’avvocato di famiglia è chiamato a fare e che non si
limita né, anzi, deve limitarsi ad essere la traduzione letterale delle volontà
del cliente in un atto giudiziario.
Come ampiamente
scritto nei paragrafi precedenti, l’avvocato di famiglia è chiamato a svolgere
un lavoro più profondo e più ampio con il cliente, che può richiedere tanti
incontri e varie sessioni telefoniche, che può prevedere la formulazione di
diverse ipotesi di soluzione o la necessità di testarle con l’altra parte per
verificarne l’efficacia e la potenziale tenuta anche dopo la separazione.
L’analisi di una
controversia familiare può richiedere lo studio della giurisprudenza per capire
come sono orientati a decidere i giudici su casi analoghi a quello sottoposto
dal cliente, ma anche l’esame di copiosa documentazione (basti pensare alle
controversie ereditarie) che può essere anche complicata da comprendere o
richiedere addirittura il supporto tecnico di altre figure professionali (es.
un commercialista o un geometra) che avranno un costo distinto da quello dell’avvocato,
spesso necessario da sostenere per valutare le proprie ragioni e capire se sia
opportuno o meno affrontare una lite giudiziale.
Anche il
confronto con altri professionisti rappresenta per l’avvocato di famiglia
un’attività importante, perché dalla interazione sinergica con altre figure
professionali deriva una prestazione completa e mirata, precipuamente
focalizzata sul bisogno del cliente.
Pertanto, il
costo dell’avvocato di famiglia non è determinabile a priori e non è fisso perché dipende dalle attività che in
concreto saranno necessarie nel caso sottoposto dal cliente.
La
predisposizione di un preventivo sarà possibile solo dopo la conoscenza del
caso e la consapevolezza, anche da parte del cliente, delle attività che
saranno necessarie per rispondere al suo bisogno.
A parere di chi
scrive anche l’utente che, apparentemente, non presenta particolari criticità
deve essere specificamente seguito dall’avvocato di famiglia il quale può
rilevare questioni da discutere, cui il cliente non aveva prestato attenzione e
che probabilmente emergerebbero in futuro, o proporre soluzioni diverse e
maggiormente funzionali al caso in esame. In questo senso l’avvocato di
famiglia svolge anche una funzione preventiva.
In conclusione, chi
propone tariffe fisse per una controversia familiare fornirà di conseguenza un
servizio standardizzato e necessariamente “basico”, senza alcun riguardo alla
specificità del caso e giungerà a dare una prestazione parziale e difficilmente
soddisfacente per il cliente.
Per questa
ragione il consiglio è affidarsi ad un professionista specificamente competente
in diritto di famiglia che ascolti con attenzione il caso portato dal cliente e
che, sulla base delle peculiarità e delle probabili attività necessarie per quel caso, fornisca una protezione “su
misura” ed un preventivo di costi coerente rispetto a tali attività.
Il portale giuridico al servizio del cittadino ed in linea con il codice deontologico forense.
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