Pubblicazione legale:
Capita, a volte, di ricevere nonni che si lamentano del fatto di non avere la possibilità di frequentare i propri nipoti perché uno o entrambi i genitori si oppongono o ostacolano il rapporto con i nipotini.
Capita, più volte, che questa situazione si
verifichi nei casi di separazione, divorzio o cessazione di una convivenza,
soprattutto se la conflittualità tra i genitori è molto aspra.
Da qui la classica domanda dei nonni “ma noi cosa c’entriamo?” e, di conseguenza,
“ma noi quali diritti abbiamo sui nostri
nipoti?”.
Come si parla di “genitorialità”, si potrebbe
parlare di “nonnità”, come diritto dei nonni di avere rapporti con i nipoti
minorenni. Anzi, si potrebbe parlare di “nonnanza”, come preferiscono scrivere
i pedagogisti Maria Teresa Zattoni e Gilberto Gillini nel loro libro “Nonni,
che fortuna!” nel quale si sottolinea “più che il diritto a essere nonni, il diritto a fare i nonni e ad avere dei
nonni (cit.).
Una biunivocità che anche il nostro sistema normativo
riconosce.
IL
DIRITTO A FARE IL NONNO: UNA CONQUISTA RECENTE, MA AD UNA CONDIZIONE
Il nostro codice civile sancisce espressamente
che “gli ascendenti hanno il diritto
di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni”. Lo dispone l’art. 317
bis c.c., modificato nel 2013, che
per la prima volta introduce il diritto
dei nonni di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni.
Quindi è abbastanza recente la presa di
posizione del nostro legislatore in merito al riconoscimento di un vero e proprio diritto in favore dei nonni,
diritto che è speculare e complementare al diritto
del minore di crescere in famiglia e di
mantenere rapporti significativi con i parenti, come prescrive l’art.
315 bis c.c.
In altre parole il diritto dei nonni trova la
sua origine ed il suo contenuto nel diritto del minore ad avere e conservare
rapporti proficui con i primi.
Oltre all’art. 315 bis c.c., leggiamo l’art.
337 ter c.c. che sancisce il diritto del
minore di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale anche
- e, sarebbe il caso di dire, a maggior ragione - nei casi di crisi familiare ovvero nei casi di separazione,
divorzio, cessazione della convivenza dei genitori.
E qui veniamo al tema della cura della relazione familiare, quale
diritto del minore a mantenere intatta e a rafforzare la relazione familiare
nell’evolversi della relazione sentimentale tra i genitori e, di conseguenza,
nell’evolversi della famiglia.
Richiamando il diritto del minore a preservare rapporti con i parenti di
ciascun ramo genitoriale, la cura della relazione familiare si delinea come
opera di recupero, conservazione e valorizzazione delle origini familiari,
finalizzata a realizzare l’interesse del minore a mantenere vive le radici
della famiglia e a non spezzare, ma
semmai a tenere ben attaccato, il legame
con ciascun ramo genitoriale, in quanto valore da proteggere.
Su questo punto si osserva che l’importanza
della conservazione del rapporto tra nonni e nipoti è stata sottolineata, di
recente, anche dalla Riforma Cartabia che all’art. 473 bis n. 6 c.p.c. stabilisce che il giudice deve procedere senza
ritardo ad ascoltare il minore quando, tra l’altro, venga affermata o
segnalata una condotta genitoriale volta
ad ostacolare la conservazione di un rapporto significativo con i nonni (oltre
che con i parenti di ciascun ramo genitoriale).
In tal caso è potere del giudice - nell’ambito
di una causa di famiglia - assumere sommarie informazioni per verificare la
lamentata situazione ostativa alla relazione nonni-nipoti o anche abbreviare i
termini processuali per accelerare l’assunzione della decisione che deve essere
presa sempre nel rispetto dell’interesse del minore.
EVOLUZIONE
GIURISPRUDENZIALE E NORMATIVA DEL DIRITTO DEI NONNI
Prima dell’intervento legislativo del 2013,
che ha modificato l’art. 316 bis c.c., il nonno pretermesso dalla vita del
nipote era costretto, per poter avere uno spazio nella vita del nipote, a
ricorrere al giudice minorile affinché accertasse che la condotta del genitore
che ostacolava il rapporto nonno-nipote fosse indice dell’inidoneità
genitoriale e potesse quindi giustificare una pronuncia di decadenza o di
limitazione della responsabilità genitoriale.
In altre parole per poter rivendicare il suo
ruolo, il nonno doveva dimostrare l’incapacità genitoriale, provando che il
comportamento ostativo del genitore avrebbe danneggiato il minore, privandolo
dell’importante contributo del nonno alla crescita equilibrata ed armoniosa del
nipote, anche dal punto di vista emotivo.
In tal senso si esprimeva la giurisprudenza,
cercando di supplire alle lacune di un sistema normativo che non prevedeva
alcun diritto ed alcuna tutela giurisdizionale “diretta” in favore dei nonni.
Oggi, invece, a seguito della modifica
dell’art. 317 bis c.c. intervenuta nel 2013, ai nonni viene
riconosciuto uno strumento processuale
specifico finalizzato in maniera mirata a far valere il loro di diritto di
conservare rapporti significativi con i nipoti minorenni: quando vi è un
impedimento in tal senso, i nonni possono proporre ricorso al tribunale dei
minorenni del luogo in cui il nipote abitualmente risiede affinché il giudice
adotti “i provvedimenti più idonei nell’esclusivo interesse del minore”.
Questa norma – insieme alle altre norme sopra
citate – rappresentano senza dubbio un elemento di progresso nell’ambito del
riconoscimento della posizione giuridica di tutela in favore dei nonni.
Tale posizione, tuttavia, si traduce in un
diritto non illimitato o incondizionato, ma sempre subordinato al
soddisfacimento dell’esclusivo
interesse del minore, come recita l’art. 317 bis c.c.
Ciò significa, in altre parole, che il
rapporto tra nonni e nipote avrà titolo per essere preservato o instaurato solo se non arrechi danno al minore e
corrisponda, quindi, al suo interesse.
E non solo. La più recente giurisprudenza
specifica ancor meglio quali debbano essere le condizioni per l’esistenza o il
mantenimento del rapporto nonno-nipote, dando un contenuto ben preciso a quello
che è “the best interest of the child”,
come citano le fonti internazionali in materia di diritti dei minori.
In particolare, la Suprema Corte ha di recente
osservato che “ciascun minore ha un rilevante interesse a fruire di un legame, relazionale ed
affettivo con la linea articolata delle generazioni che, per il
tramite dei propri genitori, costituiscono la sua scaturigine…..l’intervento
del giudice in questo ambito deve tener conto del fatto che l’art. 317 bis c.c. nel riconoscere agli
ascendenti un vero e proprio diritto a mantenere rapporti significativi con i
nipoti minorenni, non attribuisce allo stesso un carattere incondizionato, ma
ne subordina l’esercizio e la tutela, a fronte di contestazioni o comportamenti
ostativi di uno o di entrambi i genitori, a una valutazione del giudice avente
di mira l’esclusivo interesse del minore, ovverosia la realizzazione di
un progetto educativo e formativo,
volto ad assicurare un sano ed equilibrato sviluppo della personalità del
minore, nell’ambito del quale possa trovare spazio anche un’attiva
partecipazione degli ascendenti, quale espressione del loro coinvolgimento
nella sfera relazionale ed affettiva del nipote” (Cass. 31.01.2023 n. 2881).
Alla luce di questo principio va letta quella
giurisprudenza che non accoglie le istanze di quei nonni la cui presenza della
vita del nipote risulta (e viene dimostrato essere) pregiudizievole allo
sviluppo armonioso e sereno del minore.
Cito al riguardo la decisione dell’8 aprile 2024 n. 9281 della Suprema
Corte che ha rigettato la domanda della nonna paterna alla conservazione del
rapporto con i nipoti poiché dagli atti di causa era emerso che quest’ultima non era stata in grado di ricostituire con
i minori un sereno rapporto e che i nipoti stessi avevano manifestato
progressivamente sempre maggior disagio nell’incontrarla. Nel caso specifico la
nonna non soltanto non si era sottoposta alla consulenza tecnica psicologica
disposta dal giudice sulla sua persona, ma di fatto non aveva posto in essere
alcun comportamento positivo con i nipoti: la consulenza psicologica era stata
disposta dal giudice a seguito di quanto riportato da uno dei nipoti minori che
aveva riferito della aggressione subita dalla mamma da parte della nonna, dichiarazione
che aveva indotto il giudice a far valutare i profili personologici di
quest’ultima per capire se fosse possibile la ricostruzione di un rapporto
sereno ed armonioso con i nipoti. L’ingiustificato rifiuto della nonna di
sottoporsi alla perizia psicologica era stato interpretato, anche dalla corte
di merito, come espressione del sostanziale
disinteresse della nonna alla possibilità di accertare l’esistenza di eventuali
linee comportamentali e terapeutiche utili alla ricostruzione del rapporto con
i nipoti, possibilità che avrebbe dovuto persuadere la nonna paterna ad
avere una condotta collaborativa e proattiva allo scopo.
D’altra parte l’inesistenza di un rapporto
pregresso con i nonni non è di ostacolo all'instaurazione o al recupero della
relazione con i nipoti quando essa possa, anche solo potenzialmente,
rappresentare una risorsa per la crescita e lo sviluppo equilibrato del minore.
A tal proposito è interessante il
provvedimento n. 34566 del 23.11.2022
della Corte di Cassazione che ha deciso sul ricorso presentato dalla madre di
una bambina nei confronti dei nonni paterni che avevano appunto azionato l’art.
317 bis c.c. per poter riprendere la
relazione con la nipotina, con la quale di fatto non avevano contatti da
diversi anni a seguito della disgregazione della relazione sentimentale tra i
genitori.
Questa pronuncia è rilevante perché valorizza
il rapporto tra nonni e nipoti guardando all’apporto positivo che esso può dare
nello sviluppo della personalità del minore, senza porre necessariamente
l’accento sulla consistenza temporale della relazione tra nonni e nipote, che
nel caso specifico si era interrotta da molto tempo, essendosi la coppia
genitoriale divisa e, peraltro, essendosi il padre completamente allontanatosi
dalla bambina.
Da questa vicenda, molto complessa anche dal
punto di vista giudiziario (il ricorso al Tribunale dei Minori era stato
promosso dai nonni verso la madre della bambina quando era ancora in corso la
causa promossa da quest’ultima contro il padre della minore per decadenza dalla
responsabilità genitoriale), emerge il principio in base al quale l’interesse
del minore, al quale è condizionato l’interesse dei nonni a mantenere rapporti
con il nipote, non può ritenersi insussistente per il solo fatto che i rapporti
si siano interrotti per alcuni anni se dalla ricostituzione di tale rapporto
possa derivare un beneficio nella vita del minore.
Nel caso specifico la madre della minore si
era opposta alla domanda dei nonni paterni di mantenere, anzi ripristinare il
rapporto con la nipotina “in una
prospettiva di contrasto nei confronti del suo l’ex compagno, senza porsi nella corretta ottica
dell’interesse della bambina a coltivare la relazione con i propri nonni”
(da Cass. ord. 23.11.2022 n. 34566).
Pertanto il comportamento ostativo o anche
solo pretestuoso del genitore che, per mera ritorsione contro l’ex partner, impedisce ai nonni,
genitori di quest’ultimo, di continuare ad avere rapporti con i nipoti,
rappresenta un atteggiamento negativamente valutabile dal giudice, in quanto
esclusivamente finalizzato ad appagare esigenze individualistiche e non,
invece, ad attuare l’interesse del minore ad avere anche il contributo
affettivo e materiale dei nonni nello sviluppo della propria personalità.
QUANTO INCIDE IL CONFLITTO TRA GENITORI E
NONNI NEL RAPPORTO CON I NIPOTI?
Oltre alla conflittualità tra i genitori,
quale possibile ostacolo al rapporto tra nonni e nipoti, vi è da considerare la
possibilità che la conflittualità sia radicata tra genitori e nonni.
Su questo tema si registrano sentenze che
escludono radicalmente la possibilità che i nonni abbiano diritto a mantenere i
rapporti con i nipoti quando le tensioni con i genitori sono forti (come ha
ritenuto la Cassazione nella sentenza n. 2881 del 31.01.2023) ed altre che
invece ritengono che le ostilità tra nonni e genitori non siano di impedimento
alla conservazione del rapporto ma che possano giustificare una rimodulazione
dei tempi che i nonni passeranno con i nipoti “onde limitare il più possibile
le occasioni di incontro e, quindi, di scontro” (in tal senso Cass. n. 21895
del 11.07.2022).
Entrambe le posizioni hanno in comune
l’obiettivo di preservare il minore dal conflitto tra adulti, in un caso
tranciando nettamente il rapporto con i nonni con la finalità di evitare
completamente qualsiasi occasione di tensione che possa essere percepita dal
minore, nell’altro caso minimizzando tali occasioni ma cercando di valorizzare
nei limiti del possibile l’apporto positivo dei nonni nella crescita del
nipote.
In entrambe le decisioni è individuabile una
visione puerocentrica, dove, in ogni caso, il focus deve rimanere sul minore e sul suo diritto ad avere una
crescita serena ed equilibrata, salvo poi declinare diversamente le modalità
per garantire tale interesse, estromettendo del tutto i nonni o modulando ad hoc i tempi dagli stessi fruibili con
i nipoti.
I
NONNI HANNO UN DIRITTO DI VISITA?
Il diritto ad
avere o mantenere un rapporto significativo con i nipoti è qualcosa di più
ampio rispetto al c.d. diritto di visita ovvero al diritto di frequentazione
del minore, locuzione normalmente utilizzata, soprattutto in passato, con
riferimento al genitore non collocatario e soppiantata da diritto alla permanenza del minore presso il
genitore nell’ottica della bigenitorialità.
Per utilizzare lo stesso termine, i nonni non hanno un diritto alla permanenza del
minore presso di loro e quindi non hanno lo strumento processuale per
rivendicarlo.
Ai nonni, in particolare, non è consentito di
intervenire nelle cause di separazione o di divorzio tra i genitori del nipote,
né nelle cause di revisione delle condizioni di separazione o di divorzio per
far valere un proprio diritto di visita.
L’unico strumento processuale che hanno a
disposizione è finalizzato ad ottenere qualcosa di più ampio che corrisponda
funzionalmente e necessariamente all’interesse del minore ed è attivabile presso
il giudice che, per definizione, è deputato alla sua tutela, cioè il giudice
minorile.
I “rapporti significativi” oggetto delle norme
fin qui citate si sostanziano nel contributo affettivo e materiale che la
presenza dei nonni riveste (o può rivestire) nella vita dei nipoti: tale
presenza deve essere preservata solo se sia funzionale alla crescita serena ed
equilibrata del minore.
La giurisprudenza è ferma nell’escludere che
esista un vero e proprio diritto di visita dei nonni e piuttosto pone l’accento
sul diritto dei nipoti a frequentare i nonni quando hanno instaurato relazioni
significative con gli stessi o quando possono recuperarle e quindi nell’ottica
di “valorizzare il bagaglio di memoria e di affetto di cui i nonni sono
portatori” (Corte d’appello di Milano 11.02.2008) purché funzionale allo
sviluppo psico-emotivo del minore.
IL NONNO SOCIALE. LA FAMIGLIA DEGLI AFFETTI.
Allo stesso fine, la giurisprudenza di
legittimità sottolinea un altro aspetto interessante, osservando che non è essenziale l’esistenza di un legame
biologico con il minore per coltivare e conservare il rapporto già radicato
con lo stesso.
In altre parole, il diritto di preservare
rapporti significativi con il minore spetta non soltanto agli ascendenti ed ai
parenti del minore, ma anche “ad ogni altra persona che affianchi il nonno
biologico del minore, sia esso il coniuge o il convivente di fatto, e che si
sia dimostrato idoneo ad instaurare con il minore medesimo una relazione
affettiva stabile, dalla quale quest’ultimo possa trarre un beneficio sul piano
della sua formazione e del suo equilibrio psico-fisico”.
Da questo punto di vista e tenuto della
crescente importanza che viene riconosciuta ai rapporti di fatto instaurati dal minore, se affettivamente arricchenti, la giurisprudenza, attribuendo un
significato estensivo alla nozione – di per sé fredda e distaccata - di
“ascendente”, vi ha ricompreso anche il c.d. nonno sociale, cioè il coniuge o il convivente di fatto del nonno
biologico, con cui il minore abbia instaurato una stabile relazione affettiva, idonea ad assicurargli un beneficio
sotto il profilo formativo o dell’equilibrata crescita psico-fisica (Cass. n.
19780 del 25.07.2018).
Con l’espressione famiglia degli affetti,
si chiarisce il diritto della persona, e quindi anche del minore, al rispetto
della propria vita privata e familiare e si abbraccia, con il termine famiglia,
l’insieme degli affetti in certo senso puri,
ovvero scardinati dal vincolo di sangue ma fondati sull’esperienza
dell’amore, dei quali il minore può autenticamente giovare.
L’OBBLIGO
DEI NONNI DI MANTENERE I NIPOTI
Passando ad un altro aspetto della nonnità o nonnanza, mi viene chiesto abbastanza di frequente se i nonni
abbiano l’obbligo di mantenere i nipoti.
Su questo tema dobbiamo richiamare l’art. 316 bis c.c. che, in prima battuta, richiama
il dovere dei genitori di provvedere economicamente ai figli e, in seconda
battuta, stabilisce che “quando i
genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di
prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché
possano adempiere ai loro doveri nei confronti dei figli”.
La giurisprudenza ha specificato bene il
contenuto ed i termini di applicazione di tale norma, chiarendo che i nonni non sono tenuti a mantenere
i nipoti quando il genitore che di fatto è l’unico a provvedere al minore sia
in grado, da solo, di farlo (Cass. 20509/2010; Trib. Monza 14.02.2012).
Nello specifico, l’obbligo dei nonni sorge
soltanto laddove entrambi i genitori
si trovino nell’impossibilità di provvedervi, a tal fine non essendo
sufficiente semplicemente che uno dei due non voglia provvedervi.
Anche di recente la Corte di Cassazione ha chiarito
che il genitore può rivolgersi ai nonni solo se l’inadempimento sia dovuto a
mancanza di mezzi e solo se il genitore che ha richiesto l’intervento dei nonni
“non possa fa fronte per intero alle esigenze dei figli con le sue sostanze e
le sue capacità reddituali”. La fattispecie di cui si è occupata la Suprema
Corte con la pronuncia n. 28446 del
12.10.2023 ha addirittura precisato che la madre dei minori, prima di
sollecitare l’adempimento dell’obbligo sussidiario degli ascendenti, avrebbe
dovuto affrontare in proprio la situazione “vuoi
agendo in giudizio nei confronti del coniuge separato perché facesse fronte ai
propri obblighi di mantenimento delle figlie, nel caso in cui questi avesse
avuto una qualche disponibilità economica; vuoi sfruttando la propria capacità
di lavoro e tutte le occasioni di ottenere le risorse economiche a tal fine”.
Per comprendere tale orientamento occorre
porre mette al fatto che l’obbligo di mantenere un figlio grava principalmente
ed interamente su ciascun genitore e che, quindi, se l’altro non provvede, il
genitore adempiente non può pretendere di default
l’intervento economico dei nonni.
Pertanto, l’obbligo di mantenimento dei nonni
verso i nipoti è sussidiario nel senso che è esigibile solo laddove entrambi i genitori non abbiano
i mezzi economici per crescere i figli e quindi, solo in presenza di tali condizioni,
sorge il diritto dei genitori, strumentale al diritto dei figli, ad ottenere
direttamente dai nonni i mezzi per poter provvedere al sostentamento della
prole.
In presenza dell’impossibilità dei genitori di
provvedere alle esigenze dei figli, il credito viene attribuito direttamente
agli stessi al fine di evitare qualsiasi interferenza dei nonni nell’esercizio
della responsabilità genitoriale e consentire ai genitori di assumere
liberamente le scelte nell’interesse dei figli, supportati materialmente dai
nonni, in un’ottica di massima solidarietà familiare.
Tale obbligo sorge in capo a tutti i
nonni in vita, in proporzione alle capacità economiche di ognuno ed in ordine
di prossimità (quindi i primi ad essere tenuti sono i nonni e, dopo, eventualmente,
i bisnonni).
Dal punto di vista processuale, viene
riconosciuto a chiunque abbia interesse – quindi non soltanto al genitore che
non riesce, da solo, a far fronte al mantenimento dei figli – la possibilità di
attivare un procedimento monitorio, di natura sommaria, volto ad ottenere un
ordine di distrazione di una quota dei redditi
dell’obbligato (genitore o ascendenti) dovuti da un terzo (es. datore di lavoro,
ente previdenziale). Tali redditi possono consistere in redditi da lavoro o da
capitale, rendite di vario tipo o canoni periodici nonché da trattamenti di
quiescenza.
La giurisprudenza di merito ha ravvisato in
tale procedimento un carattere ibrido, poiché il decreto del giudice riveste
sia la natura di titolo esecutivo, che l’inizio di un’esecuzione presso terzi
con la conseguenza che l’eventuale opposizione parteciperà sia delle
caratteristiche dell’opposizione a decreto ingiuntivo – quando verterà sull’an e sul quantum della quota di redditi – sia delle caratteristiche
dell’opposizione all’esecuzione, quando verterà, ad es. sulla misura della pignorabilità
dei redditi.
La Riforma Cartabia prevede che la trattazione
del procedimento possa essere delegata ad un giudice designato dal presidente
del tribunale e che al procedimento di opposizione si debba applicare la
disciplina processuale, in materia di persone, minori e famiglia, incluso
quindi il criterio della competenza territoriale.
Il procedimento in questione contempla anche
l’audizione dell’inadempiente e l’assunzione sommaria di informazioni e si
conclude con un decreto che deve essere notificato a tutti gli interessati,
ovvero al/ai genitore/i inadempiente/i, eventualmente agli ascendenti e al
terzo debitore.
Il decreto è opponibile dalle parti o dal
terzo debitore, avanti il tribunale ordinario, entro 20 giorni dalla notifica
–come in caso di opposizione all’esecuzione – termine ritenuto più appropriato alla
natura del diritto da tutelare, ovvero il diritto al mantenimento dei figli, in
luogo dell’ordinario termine di 40 giorni previsto per l’opposizione a decreto
ingiuntivo, ritenuto troppo lungo in relazione all’esigenza di speditezza che
una tale materia richiede.
Tale decreto è sempre modificabile e
revocabile al mutare delle circostanze che ne hanno giustificato l’emissione.
NONNI E
MEDIAZIONE FAMILIARE
Concludo questo mio articolo sui nonni, con un
piccolo ma doveroso cenno a ciò che può rappresentare un’alternativa vincente e
duratura: l’applicazione della mediazione familiare anche nel conflitto
relativo al rapporto tra nonni e nipoti, soprattutto laddove il conflitto affonda
le sue radici nel rapporto dei nonni con i genitori.
Affidare alla mediazione familiare la gestione
di questo tipo di conflitto significa guardare al passato per capire il
presente e preparare, in modo consapevole, il futuro.
La mediazione familiare aiuta a focalizzare il
bisogno al centro del rapporto in discussione e a distinguerlo da nodi
irrisolti, da dinamiche non inerenti a tale bisogno ma che possono essere
sviscerate per comprendere l’origine del conflitto al fine, poi, di riuscire a
mettere in luce le risorse utili al soddisfacimento dei bisogni individuati.
Il lavoro del mediatore familiare insieme ai
mediandi – che saranno il genitore/i genitori da una parte e il nonno/i nonni
dall’altra – sarà volto a comprendere se e in quale misura i nonni potranno
avere spazio nel progetto educativo e formativo del minore e quindi nello
sviluppo della sua personalità.
Per giungere a questo risultato si guarda
spesso al passato, non per rivangarlo e suscitare accuse o ritorsioni
reciproche, ma per consentire alle parti in conflitto di enunciare la propria
posizione e, attraverso tale enunciazione, scendere, gradualmente, al bisogno
sotteso, mai esplicitato prima perché offuscato da pretese e rivendicazioni, in
quanto tali non accettabili dall’altra parte.
La scelta del percorso giudiziario per un
nonno che chiede di poter recuperare il rapporto con il proprio nipote è
certamente un’opportunità – peraltro fino al 2013 inesistente – ma è comunque un’opzione
che non consente di affondare alle radici del conflitto e risalire ad una
comprensione o almeno alla conoscenza reciproca dell’interesse autentico di
ciascuna parte.
In giudizio la conoscenza del giudice è limitata,
necessariamente, alla posizione espressa dalle parti e la decisione del giudice
si basa su tali posizioni, che non esplicitano tuttavia i bisogni sottesi.
La consapevolezza dei bisogni di ciascuna
parte si raggiunge meglio se un soggetto imparziale e neutrale ascolta in modo
attivo, formula domande per ottenere chiarimenti (e ottenerli anche a beneficio
dell’altra parte), aiuta le parti ad accogliere (o, almeno, ad ascoltare) un
punto di vista diverso dal proprio, coadiuvandole anche a scoprire la
disponibilità di risorse – affettive e materiali - utili a soddisfare l’interesse del minore e,
nel caso specifico, l’interesse del minore a riconoscere anche ai nonni uno spazio utile ad una crescita equilibrata e allo
sviluppo della personalità del nipote.
Per questo mi piace concludere queste
riflessioni con un invito a valutare il percorso di mediazione familiare anche
per i casi di conflitto riguardante il rapporto tra nonni e nipoti e di considerare
quale extrema ratio l’opzione del
ricorso al giudice il quale, dal canto suo, inviterà esso stesso le parti a
valutare l’opportunità di un percorso di mediazione familiare, come previsto
dall’art. 473 bis n. 10 c.p.c., introdotto
dalla Riforma Cartabia.
Infine, vale la pena notare che la
consapevolezza dell’utilità della mediazione familiare e la sua stessa
efficacia hanno un valore diverso e maggiore quando sono le parti stesse che
scelgono di avviare il percorso, in piena autonomia e senza sentirsi, in
qualche misura, “costrette” dall’esistenza di un giudizio in corso.
L’instaurazione di un giudizio contribuisce ad
irrigidire le posizioni e a rinforzare il conflitto rendendone meno facile la
gestione, soprattutto laddove si sono già sostenuti, almeno in parte, i costi
legali, circostanza che naturalmente tende a svilire l’opportunità di avviare e
proseguire un altro tipo di percorso.
Per tutti questi motivi è consigliabile
informarsi, sin da subito e comunque prima di scegliere la strada del giudizio,
sul funzionamento e sulle potenzialità della mediazione familiare, al fine di
ottimizzarne l’efficacia.
Il portale giuridico al servizio del cittadino ed in linea con il codice deontologico forense.
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