Pubblicazione legale:
I proprietari di terreni e fabbricati non
interessati direttamente da opere di bonifica potrebbero concretamente sottrarsi
al pagamento del contributo richiesto dai consorzi.
Tali enti, nati quasi cento anni fa allo
scopo di risanare le zone paludose d'Italia, oggi in molti casi sopravvivono e continuano
ad esigere somme in forza del Regio
Decreto del 1933 (Legge sulla Bonifica Integrale).
L’attività di bonifica propriamente
intesa, tuttavia, si è ormai da lungo
tempo esaurita ed i suddetti enti pubblici si occupano quasi esclusivamente
della gestione dei grandi impianti irrigui e/o di funzioni ambientali di
pubblico interesse, quali la regimazione di corsi d’acqua per conto
di enti territoriali (regioni, province, comuni) che direttamente commissionano
gli interventi e li finanziano.
Poiché l’irrigazione reca vantaggio
solo ai fondi serviti direttamente e le attività latu
sensu ambientali vengono realizzate con denaro pubblico, i consorzi non
possono legittimamente imporre il tributo
-come invece sovente fanno- sull’intero loro comprensorio, a prescindere
dall’esistenza o meno di un qualche beneficio fondiario.
Va infatti tenuto presente che secondo
la Legge l’obolo in questione non è un’imposta né una tassa, bensì un contributo,
che in quanto tale esige l’esistenza di un beneficio concreto e specifico per
il singolo immobile, con conseguente incremento del suo valore; diversamente
esso costituirebbe solo un’indebita duplicazione dell’imposta fondiaria.
In questo senso si è pronunciata anche
la giurisprudenza di legittimità, affermando che il contributo esteso a
tappeto -come spesso avviene- sull'intero territorio di competenza del singolo
consorzio a prescindere dalla realizzazione o meno di opere di bonifica è
illegittimo e non dovuto.
La Corte di Cassazione ha anche chiarito che in caso di contestazione da
parte del contribuente è l'ente a dover dimostrare la concreta esistenza del beneficio
fondiario su ciascuno dei fondi che ha assoggettato al pagamento, a meno che
non sia stato individuato ed approvato nelle forme di legge uno specifico
perimetro di contribuenza.
Per superare questo ostacolo, sovente
i consorzi fanno coincidere il perimetro di contribuenza con il loro intero
comprensorio di azione –o meglio di
astratta operatività-, ma la Suprema Corte ha finalmente chiarito, con recenti
ordinanze, che questo espediente è insufficiente a determinare l’inversione
dell’onere della prova del beneficio fondiario, che rimane a carico dell’Ente (in difetto di una specifica delimitazione della zona avvantaggiata da singole opere consortili).
La sottoscritta lotta da anni al fianco di molti proprietari (agricoli e non) che i Consorzi “beneficiano” solo con
le cartelle di pagamento, affinché la pretesa impositiva venga finalmente ricondotta
nel giusto ambito di legittimità e quindi limitata ai casi in cui effettivamente sussista quel beneficio particolare, diretto e specifico derivante dalle opere consortili che si traduce in una qualità del fondo incrementandone il valore e che la
Legge indica come presupposto imprescindibile
per la legittimità del tributo.
Tale esigenza è tanto più urgente ed avvertita ora che il Paese intero versa in condizioni di eccezionale difficoltà e prostrazione e non può davvero più permettersi il mantenimento di rendite parassitarie di alcun genere.
Si allega pertanto al presente articolo, al fine di promuovere la conoscenza della questione, la massima relativa alla sentenza della Corte di Cassazione n.4513/2009, tuttora insuperata, riservando aggiornamenti ulteriori.
Avv. Rosella Giannini
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