Pubblicazione legale:
Fideiussioni omnibus: nullità per violazione della normativa in materia di Antitrust
Il recente filone giurisprudenziale che afferma la nullità delle
fideiussioni “omnibus” apre uno spiraglio di luce ai fideiussori, spesso
vittime incolpevoli delle azioni di recupero delle banche.
----------------------------------------------------------
Richiamando un noto
mito greco, possiamo dire che ad aprire il vaso di Pandora è stata la sentenza
n. 29810 del 12.12.2017, con cui la Corte di Cassazione ha dichiarato la
nullità di un contratto di fideiussione omnibus in quanto speculare allo schema
predisposto dall’Associazione Bancaria Italiana (ABI) dichiarato a sua volta
nullo dall’autorità garante del mercanto e della Concorrenza in quanto frutto
di un’intesa anticoncorrenziale vietata dall’art. 2 legge 287/1990 (legge
Antitrust).
La decisione assunta
dalla Corte poggia sul provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005 con cui Banca
d’Italia, in qualità di Autorità Garante della concorrenza tra istituti
creditizi (funzione che ha esercitato fino al 12 gennaio 2006), ha rinvenuto
nell’applicazione uniforme da parte degli enti creditizi di tre disposizioni
contenute nelle condizioni generali di contratto diffuse tra le banche
associate all’ABI (segnatamente, clausole di “sopravvivenza”, “reviviscenza” e
rinuncia ai termini di cui all’art. 1957 c.c.) un’intesa restrittiva della
concorrenza vietata dall’art. 2, co. 2, lett. a, legge “antitrust” n. 287 del
1990. Il provvedimento è l’epilogo dell’indagine durata per oltre tre anni,
avente ad oggetto
il contenuto dello
schema di contratto di “fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie”
concordato nel 2002 tra l’Associazione Bancaria Italiana con alcune
organizzazioni di tutela dei consumatori.
“Esso,
infatti”, - afferma Banca
d’Italia – “si sostanzierebbe in
un’intesa orizzontale all’interno dell’intero sistema bancario nazionale,
avente ad oggetto la fissazione di condizioni contrattuali uniformi
peggiorative per la clientela rispetto a quelle altrimenti applicabili sulla
base della normativa esistente. Siffatta intesa appare suscettibile di
peggiorare le complessive condizioni economiche alle quali i consumatori sono
in grado di ottenere i finanziamenti bancari”.
L’istruttoria
condotta dall’AGCOM (procedimento n. 584) ha esaminato lo schema
predisposto dall’ABI denominato ”CONDIZIONI GENERALI DI CONTRATTO PER LA
FIDEIUSSIONE A GARANZIA DELLE OPERAZIONI BANCARIE” il quale, si componeva
principalmente delle seguenti clausole: c.d. clausola omnibus, clausola di
pagamento a prima richiesta, clausola di rinuncia ai termini di cui all’art.
1957 c.c. e clausole di sopravvivenza della fideiussione.
Il provvedimento n.
55 del 2 maggio 2005 è l’epilogo di questo procedimento d’indagine : “Tali clausole” - recita il provvedimento
-, "hanno lo scopo precipuo di
addossare al fideiussore le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza
degli obblighi di diligenza della banca ovvero dall’invalidità o
dall’inefficacia dell’obbligazione principale e degli atti estintivi della
stessa" e conclude che “gli
articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per la
fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus) contengono
disposizioni che, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono
in contrasto con l’articolo 2, comma 2, lettera a), della legge n. 287/90”.
Le clausole incriminate dall'Autorità
garante sono le seguenti:
A) Rinuncia
ai termini di cui all’articolo 1957 cod. civ. –art. 6 - la quale
prevede che “i diritti derivanti alla
banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo
credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o
il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi
previsti dall’articolo 1957 cod. civ., cui espressamente derogo/deroghiamo”.
L'A.G. ricorda che "l’articolo
1957 cod. civ. subordina la permanenza dell’obbligazione di garanzia del
fideiussore, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, alla circostanza
che il creditore abbia proposto e diligentemente continuato le sue istanze nei
confronti del debitore entro il termine di sei mesi; il termine si riduce a due
mesi nell’ipotesi in cui il fideiussore abbia, preventivamente ed
espressamente, limitato la propria garanzia allo stesso termine
dell’obbligazione principale”.
Secondo Banca d’Italia la clausola attribuisce un termine esorbitante
(pari alla prescrizione dei diritti verso il garantito) per far valere la
garanzia fideiussoria, sbilanciando così la posizione della banca a svantaggio
del garante.
B) Clausola di
“reviviscenza” (art. 2) che dichiara il fideiussore tenuto “a rimborsare alla banca le somme che dalla
banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e
che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca
dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo” .
Tale clausola è particolarmente gravosa in quanto impegna il fideiussore
a tenere indenne la banca da vicende successive all’avvenuto adempimento, e si
presta a produrre situazioni di contrasto con l’art. 1953 c.c. allorchè egli
abbia confidato nell’estinzione della garanzia a seguito del pagamento del
debitore e abbia conseguentemente trascurato di tutelare le proprie ragioni di
regresso.
C) Clausola di
“sopravvivenza” (art. 8): la
clausola sancisce l’insensibilità della garanzia prestata agli eventuali vizi
del titolo in virtù del quale il debitore principale è tenuto nei confronti
della banca, disponendo che “qualora le
obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce
comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate” .
La clausola, in sostanza, prevede la permanenza dell’obbligazione
fideiussoria a fronte delle vicende estintive e delle cause di invalidità che
possono riguardare il pagamento del debitore o la stessa obbligazione
principale garantita.
La conseguenza dell’accertamento della
violazione dell’art. 2 legge antitrust, insita nell’applicazione uniforme di
tali clausole, consumatasi “a monte” nella predisposizione e nell’adozione
uniforme di uno schema contrattuale restrittivo della concorrenza, si concreta
nella nullità dei contratti (come
quelli oggetto del presente giudizio) stipulati “a valle” in conformità allo
schema: essi costituiscono lo sbocco sul mercato dell’intesa illecita e sono
essenziali a realizzarne gli effetti (come già riconosciuto da Cass., SS. UU.,
4 febbraio 2005, n. 2207).
Sulla scorta di quanto enunciato
dall’Autorità garante, nonché dalla Cassazione, quei contratti denominati
“fideiussione omnibus” che contemplano contemplando esattamente la clausola di
rinuncia ai termini di cui art. 1957 cc, la clausola di reviviscenza e quella
di sopravvivenza sono affetti da
nullità.
Trattasi di nullità imprescrittibile e rilevabile
d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio (così come riconosciuto anche
dalla giurisprudenza di merito più recente come si avrà modo di vedere).
Di particolare importanza è sottolineare
che, rispetto alle precedenti pronunce emesse sulla questione dalla
giurisprudenza di merito, la Cassazione ha invece sancito che:
-il fideiussore può giovarsi della
cosiddetta prova privilegiata ossia
non deve provare la condotta anticoncorrenziale tra le Banche, ma può basarsi
sull’accertamento a questo fine effettuato dalla Banca D’Italia nel 2005 su
parere dell’AGCM;
-il contratto di fideiussione conforme allo
schema ABI è nullo nel suo complesso
(ossia non si parla di nullità di alcune clausole ma di nullità dell’intero
contratto).
Analizzando le decisioni dei Tribunali che
si sono trovati ad affrontare la questione prima della predetta sentenza, si
nota come la tendenza fosse quella di rigettare l’ipotesi della nullità del
contratto in quanto non sufficientemente provata l’intesa “a monte”.
E’ facile comprendere che i soggetti
coinvolti, in quanto “privati”, avessero fisiologiche difficoltà nell’assolvere
l’onere probatorio necessario in relazione ai fatti da far valere in giudizio
poiché non disponenti dei poteri invece riconosciuti alle Authorities.
Tale scoglio oggi deve ritenersi superato
sia dal riconoscimento di “prova privilegiata” della decisione dell’autorità da
parte della Corte di Cassazione, sia dal recepimento della Direttiva Europea
attraverso il decreto legislativo n. 3 del 2017, il quale prevede che il
contenuto della decisione definitiva dell’AGC nazionale (e i fatti a fondamento
della stessa) circa una violazione del diritto della concorrenza deve essere
ritenuta definitivamente accertata da parte dei giudici dello stesso Stato
membro con efficacia vincolante Stando alla lettura della normativa in
materia emerge con certezza assoluta il fatto che, in caso di richiamata
violazione di normativa anticoncorrenziale già accertata definitivamente dalla
relativa autorità (nel caso di specie: Provv. BDI 55/05), incombe sulla banca
l’onere di provare il contrario.
La pronuncia della Cassazione del
12.12.2017 ha determinato una svolta significativa nell’orientamento della
giurisprudenza di merito relativamente agli effetti del provvedimento di banca
d’Italia n. 55/2005.
Analizzando le diverse pronunce emanate, si
distinguono due filoni giurisprudenziali nettamente distinti: un primo
orientamento propende per la nullità dell’intero contratto, un secondo
orientamento, riconosce una nullità parziale, cioè delle singole clausole.
Guardando alle pronunce che si sono
susseguite nel corso degli ultimi mesi, degna di nota è l’ordinanza del
05.06.2018 con cui il Tribunale di
Padova ha così affermato: “il
mutamento giurisprudenziale di cui alla sentenza della Cassazione n. 29810 del
2017, che sancisce la nullità delle fideiussioni omnibus quando dalla loro
conformità al modello ABI ne derivi una violazione della normativa antitrust,
costituisce circostanza idonea per
l’accoglimento della richiesta di sospensione della provvisoria esecutività del
decreto ingiuntivo opposto in relazione alla posizione dei fideiussori”
sospendendo la provvisoria esecutorietà de decreto ingiuntivo opposto in
relazione alla posizione dei fideiussori.
Anche il Tribunale di Ancona, con
ordinanza del 14.03.2018, si è pronunciato nel senso di sospendere la provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo
opposto a motivo della contestata nullità della fideiussione per violazione dell’art.
2 della legge n. 287/1990, rilevando che la fideiussione prodotta in atti era
uniforme allo schema contrattuale ABI dichiarato illegittimo per violazione
delle norme antitrust.
Sulla scia di tali pronunce, il Tribunale
Roma, con l’ordinanza del 26 Luglio 2018, ha così affermato: “Sono
nulli i negozi di fideiussione che contengono le norme bancarie uniformi
predisposte dall’ABI, le quali
hanno l’effetto di restringere, impedire o falsare in modo consistente il gioco
della concorrenza all’interno del mercato nazionale ed escludono il diritto del
cliente ad una scelta tra prodotti in concorrenza, con la precisazione che
rientrano nel divieto in parola le clausole che comportano la trasformazione
del contratto di fideiussione in contratto autonomo di garanzia”.
Come evidenziato
dal Tribunale di Salerno, nella sentenza n. 3016/2018, depongono a
favore della nullità totale sia la
gravità delle violazioni in esame, sia il dato testuale di Cass. 29810/2017, la
quale riferisce esclusivamente e più volte di “nullità del contratto” e mai di
nullità delle singole cause, oltre al fatto che se la nullità denunziata dal
garante nel caso trattato non avesse travolto l’intera fideiussione, giammai si
sarebbe potuta cassare la sentenza di rigetto della domanda risarcitoria,
perché tale rigetto avrebbe trovato conferma anche dopo la sostituzione delle
clausole nulle, dato che nessuna delle clausole così introdotte poteva incidere
a favore dell’istanza risarcitoria.
Analogamente la
sentenza n. 53 del 31.01.2019 del Tribunale di Belluno ha sancito la nullità assoluta del contratto fideiussorio
per violazione della normativa antitrust.
In primo luogo
il Tribunale di Belluno ha dichiarato la propria competenza a decidere sulla
nullità delle specifiche clausole fideiussorie in quanto si tratta di eccezione
riconvenzionale idonea a paralizzare la domanda di pagamento introdotto con il
ricorso monitorio. Ha dichiarato che le clausole – tipo censurate dall’autorità
coincidono nell’esatta sostanza con le condizioni generali predisposte dalla
banca convenuta opposta ed accettate dall’opponente ed ha quindi dichiarato
nulle le clausole contrattuali contenute nelle fideiussioni prestate
dall’opponente: tale vizio deriva dalla loro natura meramente riproduttiva
degli schemi contrattuali uniformi ABI censurabili per il loro “scopo
precipuo di addossare al fideiussore le conseguenze negative derivanti
dall’inosservanza degli obblighi di diligenza della banca ovvero dall’invalidità
o dall’inefficacia dell’obbligazione principale e degli atti estintivi della
stessa” nonchè per carenza di un legame di funzionalità con negozio
fideiussorio e – dunque – nulli quali intese vietate dalla normativa antitrust,
per il disposto degli artt. 2, c. 2, lett. a), e 3 della L. n. 287/1990 (cfr.
Cass. 29819/20179).
Di seguito la
sentenza afferma che pur essendo evidente che la nullità attinge inizialmente
solo alle tre clausole delle fideiussioni, essa è suscettibile di estendersi all’intero negozio fideiussorio,
a norma dell’art. 1419 c. 1 c.c. per cui “la nullità parziale di un
contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell’intero
contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella
parte del suo contenuto che è colpita da nullità” (applicabile ex art. 1234
c.c. anche agli atti unilaterali Cass. 10690/2005) laddove, come nel caso di
specie, non sia possibile la sostituzione di diritto di tutte le clausole con
norme imperative ex art. 1419, c. 2 c.c.
Conclude la
sentenza, anche alla luce di quanto argomentato da recente giurisprudenza di
merito, affermando che discende la nullità integrale delle fideiussioni
contestate, con travolgimento dell’obbligazione accessoria da loro portata a
carico dell’opponente.
Di notevole
importanza è anche la sentenza della Corte di Appello di Bari del 21.03.2018,
che inquadra la fattispecie della nullità della fideiussione conforme allo
schema dell’ABI nelle nullità che
devono essere rilevate dal Giudice in ogni stato e grado del processo e
perché inquadra la nullità come nullità
totale della garanzia per contrarietà del contratto di garanzia alle norme
imperative (legge antitrust). Essa spiega chiaramente il perché venga
comminata la sanzione della nullità al cartello bancario: è chiaramente
definita come illecita la condotta anti concorrenziale del sistema bancario che
si concretizza nella predisposizione di modelli negoziali uniformi. La
normativa antitrust, spiegano i giudici di secondo grado di Bari, mira a
sanzionare il fatto della distorsione della concorrenza, ogniqualvolta essa
costituisca il risultato di un
perseguito obiettivo di coordinare, verso un comune interesse, le attività
economiche. Questo risultato è punito (con la sanzione della nullità)
qualunque sia il mezzo con cui venga perseguito il risultato.
Anche il Tribunale
di Pesaro con sentenza n. 275 del 21 marzo 2019 si è pronunciato in merito
alle nullità delle fideiussioni, riconoscendo: 1) l’ammissibilità della
domanda, anche se proposta in corso di causa (ed entro il termine fissato ai
sensi dell’art. 183 c.p.c.), in ragione della rilevabilità d’ufficio della
nullità negoziale (art. 1421 c.c.), anche in appello o in cassazione, in quanto
pertinente ad un diritto autodeterminato; 2) la competenza del Tribunale
ordinario a decidere (in sede di opposizione a decreto ingiuntivo) sulla
nullità delle specifiche clausole fideiussorie, in quanto si tratta di
eccezione d’incompetenza che va sollevata tempestivamente, e a parere della
scrivente, anche perché trattasi di eccezione riconvenzionale idonea a
paralizzare la domanda di pagamento introdotto con il ricorso monitorio; 3) la
sentenza è rilevante, in quanto viene sancita la nullità assoluta del contratto fideiussorio, contente clausole
ritenute nulle, per violazione della normativa imperativa antitrust di cui
all’art. 2 della legge n. 287/1990, la quale non riguarda esclusivamente il
negozio giuridico originario postosi all’origine della successiva sequenza
comportamentale, ma si estende a tutta
la più complessiva situazione anche successiva al negozio originario la
quale – in quanto tale – realizzi un ostacolo alla concorrenza.
Da ultimo si è espresso anche il Tribunale
di Bolzano del 23/12/2018: premesso che la libera iniziativa economica deve
essere improntata ai valori solidaristici (non può svolgersi in contratto
con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla libertà, alla dignità
umana” art. 41 co. 2 Cost), e che qualsiasi comportamento di distorsione
della concorrenza è rilevante, ne consegue che l’unica sanzione idonea è la
nullità dell’intero contratto posto in essere dai responsabili delle citate
gravi violazioni.
Come sopra accennato, deve segnalarsi la
diffusione di altro filone giurisprudenziale che propende invece per
l’affermazione della nullità parziale
del contratto di fideiussione.
In questa prospettiva merita attenzione la
sentenza n. 202 del Tribunale Padova (Giudice dr. Bertola) del 29/01/2019 in
cui si afferma: “Va respinta per
intervenuta decadenza l'azione della banca che abbia agito contro i fideiussori
senza osservare i termini di cui all’art. 1957 c.c. per l'azione contro il
debitore principale e non possa beneficiare delle clausole dichiarate nulle” e
l’ordinanza del Tribunale di Venezia del 21.11.2018, con la quale
dott.ssa Bianchi ha sospeso la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo
opposto per decadenza ex art. 1957 c.c. avendo
la banca depositato l’istanza di ammissione al passivo del fallimento della
società debitrice principale oltre il termine semestrale.
In virtù del principio di conservazione del
contratto, nel caso di nullità della singola clausola, si instaura un
meccanismo di sostituzione della clausola viziata con la norma di legge, così come
riconosciuto dal Tribunale delle Imprese di Milano nella Sentenza n. 8893/2016
pubbl. il 15/07/2016 (nonché dalla sentenza del tribunale di Padova del
29.01.2019) che, investito della questione, ha affermato: “(…) quand’anche si ammettesse la nullità eccepita,
essa riguarderebbe le clausole derogative contestate e non l’intero contratto
poiché, a norma dell’art. 1419 comma 2° c.c. “la nullità di singole clausole
non importa la nullità del contratto quando le clausole nulle sono sostituite
di diritto da norme imperative”.
Aderendo a questa impostazione, dunque, il
contratto dovrebbe essere integrato con il disposto di cui all’art. 1957 c.c.
che testualmente recita: “Il fideiussore
rimane obbligato anche dopo la scadenza dell'obbligazione principale, purché il
creditore entro sei mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le
abbia con diligenza continuate. La disposizione si applica anche al caso in cui
il fideiussore ha espressamente limitato la sua fideiussione allo stesso
termine dell'obbligazione principale. In questo caso però l'istanza contro il
debitore deve essere proposta entro due mesi. L'istanza proposta contro il
debitore interrompe la prescrizione anche nei confronti del fideiussore.”
La citata disposizione impone al creditore,
il quale, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, voglia conservare la
garanzia del fideiussore, l’onere di proporre le sue istanze contro il
debitore principale nel termine di decadenza di sei mesi.
La circostanza che il creditore debba
prendere sollecite e serie iniziative contro il debitore principale, per
recuperare il credito, trova la sua ragione giustificatrice nell’esigenza di
evitare che la posizione del garante resti sospesa sine die (così, da ultimo,
Cass. n. 1724/2016).
Accertata la scadenza dell’obbligazione
principale, per stabilire se il vincolo fideiussorio permanga o sia venuto meno
e se, quindi, il ricorrente sia ancora obbligato oppure no al pagamento delle
somme dovute (con i conseguenti risvolti sulla legittimità o meno della permanenza
della segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi, sia come garante,
sia, di seguito, come debitore “in sofferenza”), occorre valutare il
comportamento del creditore e cioè se nei 6 mesi successivi alla scadenza
dell’obbligazione abbia, come dispone l’art. 1957 c.c., “proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza
continuate”.
Nel caso in cui siano trascorsi più di sei
mesi tra la revoca dei rapporti e la domanda giudiaziale della banca nei
confronti del debitore, è possibile concludere che la banca sia decaduta dal diritto di agire nei confronti del
garante.
Fermo quanto sopra, la clausola di cui
all’art. 6, che espressamente deroga all’art. 1957 c.c., deve ritenersi vessatoria
anche perché essa, prevedendo la possibilità per la banca di agire in qualsiasi
momento nei confronti del fideiussore,
rende indeterminata ed indeterminabile
l’obbligazione di costui, producendo un’assoluta incertezza circa la durata
della sua responsabilità patrimoniale.
Ciò vale a maggior ragione ove la deroga
all’art. 1957 c.c., come nelle fideiussioni omnibus, sia contenuta in
condizioni generali oppure nei formulari imposti dalle banche ai clienti: tale
deroga porta di fatto alla cancellazione dell’art. 1957 c.c. dal diritto
applicato; il che si scontra inesorabilmente con l’esigenza che ha indotto il
legislatore a dettare l’art. 1957 c.c.
Infatti i contratti di fideiussione omnibus
appartengono a quella categoria di contratti predisposti mediante condizioni
generali di contratto per i quali l’autonomia privata del contrente debole è
fortemente compromessa, riducendosi all’alternativa tra l’accettazione in
blocco del contratto o la non accettazione (con l’ovvia conseguenza della
negazione del finanziamento al soggetto garantito).
Tali contratti, infatti, essendo destinati
a regolare una serie indefinita di rapporti ed aventi un contenuto predisposto
unilateralmente dal professionista (nel caso la banca), non permettono
all’aderente una scelta: egli si limita ad accettare non potendovi apportare alcuna modifica.
Per definizione, infatti, tali clausole non sono frutto di specifiche trattative
ma, al contrario, sono identiche per
tutti i rapporti contrattuali aventi il medesimo contenuto. Peraltro è la
stessa banca che riconosce tale qualifica allo schema adottato, facendo
appositamente sottoscrivere ai sensi dell’art. 1341 cc le clausole ritenute vessatorie che, proprio
perché non negoziate, necessitano di doppia sottoscrizione.
Analizzate alcune tra le più rilevanti
pronunce che hanno avuto il coraggio di esporsi verso un nuovo orizzonte del
contenzioso bancario, possiamo concludere che la questione, pur essendo giovane
e tutta da scoprire, sta offrendo interessanti prospettive di difesa idonee a
contrastare le azioni di recupero delle banche ed è un grimaldello importante
nella strategia di risoluzione stragiudiziale del contenzioso bancario.