Pubblicazione legale:
Quando la coppia arriva ad un punto di non ritorno..arriva la fatidica parola: BASTA!
Spesso pronunciata da entrambi, talora in un clima sereno (reale o apparente) e di accordo, a volte voluta soltanto da una parte in un probabile contesto di disaccordi e ostilità.
Alternative queste determinanti nella scelta del percorso da seguire tra una separazione giudiziale e consensuale.
Quali le differenze?
Per ovvie ragioni inutile dire che la scelta più “felice” sarebbe quella di una separazione consensuale. Questa permette ai coniugi di compiere scelte consapevoli sulle condizioni di separazione, perché in fondo, se ci riflettete, chi meglio di loro stessi potrebbe essere in grado di determinare le modalità dell’accordo a vivere due vite separate?
In fin dei conti la vita matrimoniale riguarda strettamente la coppia. Chiaro che, dal momento in cui vi sono dei figli la situazione diventa più delicata.
E' altrettanto chiaro, però, che la separazione consensuale è quel tipo di separazione che definirei quasi "isola felice" in cui è la coppia a decidere sull'affidamento e sul collocamento dei figli, sull'assegnazione della casa familiare, sul diritto di visita del genitore non collocatario, sul contributo al mantenimento dei figli e, se necessario, anche del coniuge economicamente più debole e su tutti gli aspetti che comunque necessitano di un accordo tra i coniugi a seguito della separazione.
SEPARIAMOCI…MA NON SIAMO D’ACCORDO!
Quando al contrario i coniugi non sono in grado di mettere fine al proprio matrimonio, decidendo di comune accordo sulle condizioni, o quando, a volersi separare è soltanto una parte, non può che optarsi per la separazione giudiziale.
In questo caso è solitamente uno dei coniugi (ricorrente) a depositare in Tribunale il ricorso in forma contenziosa e l’altro coniuge sarà considerato “resistente”.
Cosa comporta? Quali le circostanze?
Ebbene, il codice civile prevede la possibilità per i coniugi di separarsi anche per CIRCOSTANZE OGGETTIVE IMPREVEDIBILI subentrati a turbare la serenità, l’armonia della coppia e l’unione tra gli stessi.
Rientrano in queste circostanze quelle che secondo l'art. 151 c.c. "rendono intollerabile la prosecuzione della convivenza o recano grave pregiudizio della prole".
Quando si può parlare di INTOLLERABILITA'?
La Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto che, al fine di accertare la suddetta intollerabilità non è necessario che a percepire la crisi matrimoniale siano entrambi i coniugi, risultando sufficiente la “condizione di DISAFFEZIONE e di DISTACCO SPIRITUALE di una sola delle parti” (Cass. Civ. 7148/1992).
Ciò non è sufficiente a richiedere la "separazione con addebito". Ma cosa vuol dire nello specifico?
Premesso che l’intollerabilità alla prosecuzione della vita matrimoniale rappresenta la condizione necessaria e sufficiente per la pronuncia di separazione giudiziale, uno dei due coniugi ha la facoltà di chiedere al Giudice di accertare che la CRISI sia stata determinata dal comportamento dell’altro.
"Se ci separiamo è colpa tua"
Già questa frase esprime appieno il significato e lo scopo della richiesta di separazione con addebito.
Nel caso in cui, infatti, l’autorità giudiziaria accerti che la separazione è stata determinata dalla violazione, da una sola delle parti, dei doveri nascenti dal matrimonio, ove sussista specifica RICHIESTA in tal senso, sarà orientato a pronunciare sentenza di separazione con addebito.
Facciamo chiarezza sui doveri nascenti dal matrimonio, previsti dall’art. 143 del codice civile:
Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono gli stessi doveri.
Quali gli obblighi previsti?
Si specifica che è necessario che la violazione di uno (o più) dei questi obblighi
In ogni caso il comportamento di ciascuno dei coniugi deve essere confrontato con quello dell'altro, in modo tale da individuare eventuali situazioni di reazioni, immediate e non eccessive, rispetto alle negligenze dell'altra parte.
A tal proposito è bene fare riferimento ad una sentenza della Corte di Cassazione (n. 21596 del 2014) con la quale i giudici hanno stabilito che se la moglie ha tradito per ripicca l’ex marito che l’ha tradita per primo, la separazione va addebitata proprio a lui.
Su quali basi la Cassazione si è orientata in tal senso?
Vero è che la moglie aveva tradito ma la relazione della donna è stata considerata relativamente giustificata in considerazione della relazione del marito…che nello specifico era anche più duratura e risalente.
Altro caso (recente) che merita attenzione: La Cassazione, con ordinanza n. 30746/2017, prevede che la separazione va addebitata ad entrambi i coniugi se a causare una definitiva ed insanabile frattura sono stati comportamenti reciproci.
Tale pronuncia a seguito della richiesta di addebito formulata dalla moglie.
Tuttavia la richiesta è stata rigettata dal Tribunale che, invece, ha addebitato la separazione ad entrambi i coniugi.
In questo caso la Cassazione ha evidenziato che la rottura definitiva dell’unione matrimoniale è stata determinata da comportamenti reciproci dei coniugi; in particolare la donna è stata considerata responsabile per l’assenza di spirito di collaborazione, in quanto manifestava
1° conseguenza:
pur conservando però il diritto agli alimenti sempre che sussista una situazione di reale bisogno. Si “punisce”, perciò, il responsabile della rottura, il quale, proprio perché ha violato i doveri nascenti dal matrimonio, non può appellarsi alla solidarietà dell’altro.
2° conseguenza:
sia della qualità di erede, sia del diritto alla quota di legittima. Rimane soltanto il diritto a ricevere un assegno vitalizio, qualora, al momento dell’apertura della successione, il coniuge “addebitato” godeva dell’assegno alimentare a carico del coniuge defunto.
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