La regola interna di un’impresa che vieta ai dipendenti di indossare, in modo visibile, segni religiosi, filosofici o spirituali non costituisce una discriminazione diretta se applicata in maniera generale e indiscriminata. Il caso preso in esame dai giudici riguarda una donna di fede musulmana che indossa il velo islamico e una società che gestisce alloggi popolari. La controversia verte sulla mancata presa in considerazione della candidatura spontanea a un tirocinio presentata dalla donna. L’esclusione è stata motivata con il fatto che durante un colloquio la donna ha affermato che si sarebbe rifiutata di togliersi il velo per conformarsi alla politica di neutralità promossa all’interno della società e prevista dal suo regolamento. Qualche settimana più tardi, però, la donna ha ripresentato la propria domanda di tirocinio presso la società, proponendo di indossare un altro tipo di copricapo, ma ciò le è stato negato, in quanto nei locali della società non era consentito l’uso di alcun copricapo, che si trattasse di un cappello, di un berretto, o di un velo. La donna ha ovviamente segnalato e lamentato una discriminazione, contestando alla società di aver violato le disposizioni contro le discriminazioni, in quanto, a suo dire, la mancata conclusione del contratto di tirocinio sarebbe fondata direttamente o indirettamente sulle sue convinzioni religiose. (Sentenza del 13 ottobre 2022 della Corte di giustizia dell’Unione Europea)
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