Pubblicazione legale:
L'articolo 572 del codice penale, configura il reato di maltrattamenti in famiglia. Esso si realizza quando si maltratta una persona appartenente alla sua famiglia o comunque con lui convivente o una persona sottoposta alla sua autorità o che gli è stata affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per l'esercizio di una professione.
Per persona di famiglia si intende il coniuge, i consanguinei, gli affini, gli adottati e gli adottanti, il convivente di fatto e ai lavoratori conviventi (colf, collaboratori domestici, badanti, ecc.).
Dottrina e Giurisprudenza prevalenti non ritengono la convivenza elemento essenziale del reato.
Esso è configurabile anche in danno di persona non convivente o non più convivente con l'agente, quando quest'ultimo e la vittima siano legati da vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione, considerato che la convivenza non è un presupposto del reato e che i vincoli di reciproco rispetto permangono integri anche dopo la separazione personale tanto più quando sussista la necessità di adempiere gli obblighi di cooperazione nel mantenimento, nell'educazione, nell'istruzione e nell'assistenza morale dei figli minori.
Il maltrattamento sussiste ogni volta che la relazione presenti intensità e caratteristiche tali da generare un "rapporto stabile di affidamento e solidarietà".
Esso si concretizza in atti prevaricatori, vessatori e oppressivi ripetuti nel tempo, tali da generare nel maltrattato un'apprezzabile è rilevante sofferenza fisica o morale, o anche da pregiudicare il pieno e soddisfacente sviluppo della personalità.
I comportamenti maltrattanti non necessariamente debbono concretizzarsi in aggressioni fisiche essendo rilevanti anche gli atti di "violenza morale", "prevaricazione psicologica", "violenza economica".
Ad esempio, integra il reato anche la sostanziale privazione della funzione genitoriale da parte dell'altro genitore, realizzata mediante l'avocazione delle scelte economiche, organizzative ed educative relative ai figli minori e lo svilimento, ai loro occhi, della sua figura morale.
Può addirittura configurarsi come maltrattamento un eccesso di attenzioni nei confronti della vittima.
La Corte di cassazione (n. 36503/2011), ha sancito che sussiste il reato di maltrattamenti in famiglia ove un genitore per eccesso di protezione e attenzioni abbia impedito un armonico sviluppo psico-fisico del figlio.
Una casistica rilevante in materia di maltrattamenti in famiglia e' quella connessa alla cosiddetta violenza assistita da parte dei figli.
È configurabile il delitto di maltrattamenti in famiglia se la conflittualità tra i genitori coinvolge indirettamente anche i figli quali diventano involontari spettatori delle feroci liti e dei brutali scontri che si svolgono all'interno delle mura domestiche (Cassazione penale sez. VI, 23/02/2018, n.18833).
La Corte di Cassazione ha escluso la sussistenza del reato ove i comportamenti maltrattanti siano reciproci con un grado di gravità e intensità equivalenti (Cassazione penale sez. VI, 23/01/2019, n.4935).
Il reato è abituale. In particolare, l'elemento psichico si realizza nella volontà dell'autore di avvilire e sopraffare la vittima unificando i singoli episodi di aggressione alla sfera morale e materiale di quest'ultima, non rilevando, nella natura abituale del reato, che durante il lasso di tempo considerato siano riscontrabili nella condotta dell'agente periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo.
Con la sentenza 8 maggio 2019, n. 19776 la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha, infatti, precisato che l'abitualità connotante il reato di maltrattamenti ex art. 572 c.p. non viene neutralizzata da eventuali momenti di pausa che siano riscontrabili tra i vari episodi lesivi della dignità psicofisica della vittima.
Quindi, ai fini della configurabilità del reato deve trattarsi di una condotta di "vessazione" continuativa, che, pur potendo essere inframmezzata da periodi di "calma", deve costituire fonte di un disagio continuo ed incompatibile con le normali condizioni di vita.
E ‘richiesto il dolo generico che non postula la rappresentazione e la programmazione di una pluralità di atti tali da cagionare sofferenze fisiche e morali alla vittima, essendo sufficiente la coscienza e la volontà di persistere in un'attività vessatoria idonea.
Il reato prevede reclusione da due a sei anni.
Tale pena è aggravata in tre ipotesi:
- se dal fatto deriva una lesione personale grave è prevista la reclusione da quattro a nove anni;
- se dal fatto deriva una lesione personale gravissima è prevista la reclusione da sette a quindici anni;
- se dal fatto deriva la morte è prevista la reclusione da dodici a ventiquattro anni.
In tema di locus commissi delicti è opportuno citare il recente orientamento giurisprudenziale che sancisce la sussistenza del reato di maltrattamenti in famiglia qualora gli atti di vessazione avvengano all'interno della scuola da parte di insegnanti.
La Suprema Corte, con la sentenza n. 40959/2017 stabilisce che nell'ipotesi in cui l'insegnante utilizzi ripetutamente violenza a danno dell'alunno non risponde del reato di cui all'art. 571 del c.p. (abusi di mezzi di correzione), ma del reato, di tutt'altra portata, di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli (l'uso sistematico della violenza, quale ordinario fatto del minore affidato, anche lì dove fosse sostenuto da animus corrigendi, non può, infatti rientrare nell'ambito della fattispecie di abuso di correzione, ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti).
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