Morte a seguito di trombosi: di chi è la responsabilità?

Scritto da: Victor Gatto - Pubblicato su IUSTLAB




Pubblicazione legale:

 Il caso.

I parenti di una vittima citano in giudizio il medico radiologo, i medici del pronto soccorso e la struttura ospedaliera per vedere riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni a seguito del decesso del loro congiunto per asserita responsabilità sanitaria. Il paziente, coinvolto in un sinistro stradale, accedeva al pronto soccorso. I medici colpevolmente non diagnosticavano una frattura delle ossa del bacino, e in conseguentemente, non somministravano eparina, farmaco necessario a prevenire la trombosi. Il paziente decedeva a seguito di trombosi polmonare conseguente alla frattura ossea rilevata solo successivamente al decesso.

Da qui la pretesa responsabilità del medico radiologo per l'omessa diagnosi e dei medici del pronto soccorso per l'omessa somministrazione farmacologica, unitamente alla responsabilità della struttura sanitaria. In sede penale fu rilevata la non colpevolezza dei sanitari.

In sede civile la Corte di Appello faceva proprie le risultanze del processo penale e riteneva non ascrivibile ai medici alcuna responsabilità per colpa e, comunque, non dimostrato il nesso di causa tra le omissioni contestate e l'evento morte.

 

Le questioni giuridiche

Quali responsabilità sanitarie per la morte di una persona a seguito di trombosi dovuta ad omessa adozione di presidi farmacologici? In particolare, se a seguito di una frattura alle ossa del bacino in occasione di un sinistro stradale, il paziente decede a causa di una trombosi conseguenza della stasi imposta al paziente, chi risponde? Il medico radiologo che non ha rilevato la fattura e/o i medici del pronto soccorso che avrebbero dovuto prevedere la prolungata immobilità del paziente e il rischio di trombo-embolia polmonare?

 

 

 

La decisione della Corte.

La Cassazione fa chiarezza sulle questioni poste, distinguendo le diverse posizioni del radiologo e dei medici di pronto soccorso in ordine alle omissioni ascritte di diagnosi della frattura e di terapia farmacologica.

Sulla responsabilità del medico radiologo per omessa diagnosi della frattura ossea. Innanzitutto, è da vagliare la posizione del medico radiologo che non ha riscontrato la frattura a seguito del sinistro stradale. La sua responsabilità appare certa ed inconfutabile per errata o omessa diagnosi. Nel caso concreto, tuttavia, non si configura: infatti, è stato accertato che gli esami radiografici eseguiti non evidenziavano alcuna frattura delle ossa del bacino tali da suggerire indagini più approfondite. Quindi, non era possibile configurare alcuna colpa del professionista.

In particolare, pur essendo stata disposta una radiologia a campo allargato sino al bacino, la frattura della branca ileo-pubica non era visibile, poiché non vi era allontanamento dei margini ossei. Dunque, la diagnosi iniziale del medico radiologo (negativa per la frattura) doveva ritenersi corretta e rientrante nella media della preparazione professionale dello specialista, sia per il momento temporale in cui fu formulata, sia per la documentazione allora disponibile. Consegue l'assenza di colpa e, quindi, di responsabilità del medico radiologo.

 

Sulla responsabilità dei medici del pronto soccorso. Teoricamente, se non vi fu colpa del medico radiologo nell'omessa diagnosi della frattura, ci si aspetterebbe il riconoscimento dell'assenza di colpa anche per gli altri medici (diversi dal radiologo) del pronto soccorso. Infatti, se il decesso è avvenuto a seguito di trombosi per la stasi cui fu costretto il paziente per la frattura (non diagnosticabile in quel momento), dovrebbe venir meno anche la responsabilità degli altri medici.

Non è così!

I medici del pronto soccorso, sulla base della condizione clinica, avrebbero dovuto comprendere la prospettiva verosimile di una persistente condizione di stasi del paziente per un tempo ragionevolmente prolungato in considerazione della rilevantissima sintomatologia dolorosa riportata dal paziente stesso?

La risposta a questa domanda, proprio per quanto riportato nelle risultanze delle CTU dei precedenti gradi di giudizio deve essere necessariamente affermativa. Nella relazione tecnica in sede penale si precisava che un'eventuale terapia eparinica avrebbe probabilmente evitato la formazione del trombo e, quindi, la morte del paziente. Ugualmente il consulente del giudice civile aveva ritenuto la terapia eparinica fosse idonea a proteggere il paziente nel 68/70% dei casi e che solo in via residuale la terapia non avrebbe evitato l'esito nefasto

Secondo la Cassazione (sez. III civile, sent., 14 marzo 2022, n. 8114) la prevedibile formazione di una trombo-embolia polmonare dovuta alla prolungata immobilità del paziente a causa del trauma subito avrebbe dovuto necessariamente indurre i medici ad assumere le idonee terapie farmacologiche (tra cui la somministrazione di eparina) indipendentemente dalla frattura ossea non diagnosticata o diagnosticabile: l'immobilizzazione del paziente costituisce un fattore di rischio di trombosi. La trombosi è stata accertata dai giudici di merito come causa del decesso.

Non correttamente, invece, il giudice del merito aveva svolto un ulteriore passaggio, cassato dalla Suprema Corte, ritenendo non vi fosse la prova certa che la terapia avrebbe evitato la trombosi e la morte. Nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente dimostrare l'esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del "più probabile che non", causa del danno. Dunque, la sentenza impugnata aveva errato nel richiedere la prova certa in luogo della maggior probabilità del successo della terapia.



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Avvocato Victor Gatto a Aversa
Victor Gatto

Esperto in Malasanità e malpractice medica