Vincenzo De Crescenzo

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Differenze retributive. Le ore di avoro straordinario.

Scritto da: Vincenzo De Crescenzo - Pubblicato su IUSTLAB

Pubblicazione legale:

DIFFERENZE RETRIBUTIVE

Le ore di lavoro straordinario

Uno degli argomenti più diffusi tra le controversie di diritto del lavoro, nonché, spesso, oggetto dei chiarimenti richiesti ai propri avvocati di fiducia, è quello delle differenze retributive non corrisposte in busta paga dal datore di lavoro.

Ciò può acccadere, semplicemente, per errori di calcolo, oppure, ad esempio: a causa del riconoscimento di una retribuzione base inferiore a quella dovuta secondo il C.C.N.L. di categoria, oppure per un inquadramento contrattuale errato del lavoratore, per la mancata applicazione di scatti d’anzianità o il riconoscimento di una qualifica/livello inferiore a quella prevista dal C.C.N.L., e, così, per ogni altra somma dovuta e non corrisposta al lavoratore per la prestazione resa.

In questa sede, parliamo, brevemente, delle ore di lavoro straordinario prestate dal lavoratore, essendo uno dei motivi più ricorrenti, sia nel lavoro pubblico che nel privato, delle controversie per differenze retributive, perchè spesso non riconosciute o utilizzate oltre quanto sarebbe consentito.

Innanzitutto, precisiamo che il tetto massimo annuale di ore di straordinario (ammesso solo previo accordo con il lavoratore) è pari a 250 ore (salvo disposizioni più favorevoli dei CCNL di categoria) e si riferisce, in genere, ad un periodo mobile compreso tra un giorno qualsiasi dell’anno ed il corrispondente giorno dell’anno successivo, tenendo conto, tuttavia, delle disposizioni della contrattazione collettiva, che per lo più fanno riferimento all’anno civile (1° gennaio - 31 dicembre).

In ogni caso, secondo la normativa nazionale (D.lgs n. 66 dell’8 aprile 2003), l’orario di lavoro non può superare, comprese le ore di lavoro straordinario, le 48 ore setimanali, di cui 40 ore di lavoro normale ed 8 ore di straordinario, da calcolarsi come media in un periodo non superiore a 4 mesi (i CCNL di categoria possono elevare detto limite fino a 6 o anche 12 mesi).

Per stabilire, quindi, se viene prestato lavoro straordinario, si deve considerare il numero delle ore lavorate nel periodo preso come riferimento (4 mesi) e se la media delle ore lavorate supera il lmite settimanale delle 40 ore normali stabilite dalla legge, allora si è in presenza di lavoro straordinario.

Oltre al lavoro straordinario esiste, però, anche quello cosiddetto supplementare, che è il lavoro prestato oltre l’orario normale previsto dai contratti collettivi, ma entro i limiti di legge (40 ore settimanali), retribuito, quindi, come orario d lavoro normale. Gli straordinari, invece, sono ore di lavoro in più che eccedono dal vincolo contrattuale tra datore e dipendente, per questa ragione meritano una retribuzione ulteriore secondo le maggiorazioni indicate nel contratto collettivo della categoria a cui si appartiene, che saranno, naturalmente, più consistenti in caso di lavoro straordinario festivo o notturno (l’attività svolta per almeno 7 ore consecutive tra la mezzanotte e le cinque del mattino).

In un caso concreto, effettivamente prospettato allo scrivente, il lavoratore di una cooperativa, assunto dal giugno 2019, con contratto a tempo indeterminato, riferiva di aver svolto, da luglio 2019 al successivo mese di dicembre, 90 ore di lavoro straordinario (100 è il limite annuo, da contratto) ed altre 50 solo nel mese di gennaio 2020, arrivando a un massimo di 54 ore settimanali (da contratto il tempo pieno è 38). In tal caso, è evdente che, nell’arco dei primi quattro mesi di lavoro, si potrebbe già esaurire il limite annuo di 100 ore di straordinario consentito, pur rispettando quello settimanale di 48 ore (calcolo: 4 mesi x 4 settimane = 16 settimane x 48 ore = 768 ore; di cui 640 ore normali e/o supplementari e 128 ore di straordinario).

Infine, occorre considerare che il lavoratore subordinato può richiedere il pagamento di quanto gli è dovuto entro un periodo determinato, oltre il quale il datore di lavoro può anche non pagarlo.

I crediti per lavoro straordinario, in specie, sono soggetti, secondo la prevalente giurisprudenza in materia, alla prescrizione quinquennale di cui all’art. 2948, n. 4, c.c.. Il nostro ordinamento, infatti, fissa dei paletti temporali entro cui esercitare il nostro diritto, pena la sua prescrizione. Questo limite inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.

Riguardo i crediti da retribuzione, il Codice Civile prevede due tipi di prescrizione:

1. La prescrizione breve o estintiva di cinque anni, per il reclamo delle differenze retributive (tra cui, come abbiamo visto, anche t crediti per lavoro straordinario) e, in 3 generale, per tutte le indennità spettanti al lavoratore per la cessazione del rapporto di lavoro (art. 2948 Cod. Civ.).

2. La prescrizione presuntiva di un anno o tre anni (artt. 2955 e 2956 Cod. Civ.): a) un anno per le retribuzioni pagate con cadenza non superiore al mese (il riferimento è soprattutto agli eventuali errori di calcolo della busta paga);

b) tre anni per le retribuzioni corrisposte con cadenza superiore al mese (ad esempio la tredicesima mensilità, la quattordicesima e le altre retribuzioni aggiuntive).

San Salvo, 234 novembre 2020

Avv.Vincenzo de Crescenzo


Avv. Vincenzo De Crescenzo - Avvocato civilista

Mi chiamo Vincenzo de Crescenzo, lavoro come avvocato da oltre dieci anni e mi sono sempre occupato di diritto civile (obbligazioni e contratti, proprietà, famiglia e sucessioni), commerciale, lavoro e previdenza, conseguendo anche vari titoli accademici di specializzazione nel settore. I miei clienti sono sia privati che aziende. Professionalità e trasparenza sono i valori su cui baso un rapporto strettamente fiduciario con i miei assistiti, ricercando sempre soluzioni che garantiscano il miglior risultato, tempi rapidi ed un prezzo equo. Posso assicurare ampia tutela su tutto il territorio nazionale, anche in videochiamata.




Vincenzo De Crescenzo

Esperienza


Diritto civile

Mi sono sempre occupato di diritto civile, sin dagli anni della formazione e collaborazione presso altri studi legali, trattando pratiche relative al recupero crediti, esecuzioni mobiliari ed immobiliari, sinistri stradali, locazioni, sfratti, proprietà, condominio, e molti altri casi tipici. Il diritto civile e privato, in genere, rappresenta, quindi, il settore in cui ho maggiormente lavorato, maturando una particolare conoscenza ed attitudine.


Diritto del lavoro

Nel 2010 ho conseguito la Specializzazione Universitaria in “Discipline del lavoro, sindacali e della sicurezza sociale” e da vari anni collaboro con alcune organizazioni sindacali. Mi occupo di impiego pubblico e privato, procedimenti disciplinari, licenziamenti, demansionamento e/o mobbing, differenze retributive, trasferimenti e/o mobilità, malattie e infortuni, contratti di appalto e concorsi pubblici.


Diritto di famiglia

Nel corso degli anni, ho maturato una importante esperienza nel diritto di famiglia, che è quel ramo del diritto privato afferente ai rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi, ai rapporti di filiazione, parentela e more uxorio. In particolare, mi occupo di separazione e divorzio, obblighi alimentari e di mantenimento, modifica delle condizioni di separazione o divorzio, decadenza dalla responsabilità genitoriale, interdizione e inabilitazione. Le liti familiari sono, in genere, molto delicate e trovare la soluzione più adatta richiede particolare sensibilità ed attitudine che i miei assistiti spesso mi riconoscono.


Altre categorie:

Diritto commerciale e societario, Mediazione, Malasanità e responsabilità medica, Separazione, Divorzio, Matrimonio, Recupero crediti, Pignoramento, Contratti, Mobbing, Sicurezza ed infortuni sul lavoro, Licenziamento, Locazioni, Sfratto, Fallimento e proc. concorsuali, Previdenza, Eredità e successioni, Diritto immobiliare, Edilizia ed urbanistica, Diritto condominiale, Incidenti stradali, Arbitrato, Negoziazione assistita, Incapacità giuridica, Domiciliazioni, Risarcimento danni.


Referenze

Pubblicazione legale

Risarcimento danni per effetti indesiderati della vacinazione anti Covid

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RISARCIMENTO DANNI PER EFFETTI INDESIDERATI DELLA VACCINAZIONE ANTI COVID La campagna di vaccinazione anti Covid in atto pone un problema, inevitabilmente, connesso a qualsiasi altra vaccinazione, ma ancor più sentito e rilevante a causa della brevissima sperimentazione effettuata, ovvero, quello degli eventuali effetti indesiderati conseguenti alla somministrazione del vaccino ed il relativo risarcimento danni. La disciplina giuridica è, in ogni caso, la stessa, anche per la vaccinazione anti Covid. Ai fini del risarcimento, occorre distinguere, innanzitutto, gli effetti indesiderati (danni) di lieve entità e del tutto temporanei, da quelli, invece, gravi e permanenti. 1.1. Danni gravi e permanenti. Trattando, principakmente, di questi ultimi, essi sono soggetti ad un indennizzo da parte dello Stato, qualora siano non prevedibili e, quindi, non evitabili , oppure ad un risarcimento vero e proprio nel caso, invece, siano prevedibili ed evitabili. 1.2. Danni non prevedibili e, quindi, non evitabili. La Legge n. 210/1992 titolata “ Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati ”, riconosce al paziente il diritto ad un indennizzo nel caso di danno permanente da vaccinazione, esteso, a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale n. 107/2012, anche ai vaccini non obbligatori ma “consigliati” dalle autorità sanitarie. L’indennizzo consiste in un assegno reversibile per quindici anni, ma, nel caso in cui dal vaccino sia derivata la morte, l’avente diritto (eventuali eredi) può optare per una somma una tantum . Con la Legge n. 299/2005 è stato introdotto un ulteriore indennizzo, molto più elevato, corrisposto “ per la metà al soggetto danneggiato e per l’altra metà ai congiunti che prestano o abbiano prestato al danneggiato assistenza in maniera prevalente e continuativa ” L’indennizzo deve essere richiesto, entro tre anni (pena la prescrizione), all’A.S.L. di appartenenza che, mediante apposita Commissione medica ospedaliera (CMO), provvede a convocare a visita l'interessato e ad istruire la pratica, valutando, tra l’altro, il nesso causale tra l'infermità e la vaccinazione. Il relativo verbale viene poi notificato al richiedente che, entro i successivi trenta giorni, può presentare il ricorso gerarchico al Ministero della salute, oppure, entro il termine più lungo di un anno, quello giurisdizionale dinanzi al Tribunale sez. lavoro . 1.3. Danni prevedibili ed evitabili. Quando, invece, gli effetti indesiderati sono prevedibili ed evitabili, quindi, sussite la colpa o il dolo di chi ha preparato o somministrato il vaccino, è possibile ottenere, anziché un semplice indennizzo, il risarcimento effettivo dei danni subiti, patrimoniali e non patrimoniali, a carico, secondo il caso, del Ministero della Salute o del personale sanitario che ha somministrato il vaccino e l’ASL di appartenenza oppure della casa farmaceutica che ha prodotto il vaccino. Il Ministero della Salute risponde nel caso in cui l’effetto indesiderato sia causato da una intrinseca pericolosità del vaccino , per aver messo a disposizione dei pazienti un medicinale dannoso per la salute. In tal caso, configurandosi una responsabilità per fatto illecito ex art. 243 c.c. (Cass n. 9406/2011), il danneggiato dovrà farsi carico della prova sul nesso causale tra vaccino e danno . Il personale sanitario che ha somministrato il vaccino e l’ASL di appartenenza, rispondono, invece, per non aver valutato correttamente lo stato di salute del soggetto da vaccinare, se l’effetto indesiderato si è verificato per un’interazione dannosa tra farmaco ed organismo dovuta ad una inidoneità fisica del paziente. In tal caso, configurandosi una responsabilità contrattuale, o da contatto sociale, ex art.1218 e s.s. c.c., il danneggiato può limitarsi a provare il contratto (o il contatto sociale) e l'aggravamento della patologia o l'insorgenza di un'affezione, indicando l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato; il debitore (il personale sanitario e l’ASL), per scagionarsi, dovrà, al contrario, dimostrare che l’inadempimento non c’è stato o che è del tutto irrilevante. Riguardo le case farmaceutiche, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 6587/2019, ha stabilito che " In caso di effetti collaterali dei farmaci, la casa farmaceutica non risponde delle conseguenze qualora abbia posto in essere una costante opera di monitoraggio e di adeguamento delle informazioni commerciali e terapeutiche per eliminare o ridurre il rischio di effetti collaterali dannosi e di rendere edotti i potenziali consumatori”. Per la Cassazione, quindi, le case farmaceutiche non sono tenuti a risarcire il paziente per gli effetti collaterali prodotti dal farmaco/vaccino se hanno adeguatamente e con informazioni aggiornate segnalato la possibilità dell’effetto indesiderato nel bugiardino. Devono, comunque, osservare, in primis , tutte le sperimentazioni e protocolli previsti dalla legge per la produzione e commercializzazione del farmaco. Tale responsabilità si configura ai sensi dell’art. 2050 del Codice Civile, il quale afferma “ chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno” . La casa farmaceutica, infatti, svolge un’attività da considerarsi pericolosa, per l’intrinseca natura dei medicinali, e la prova liberatoria richiesta dalla legge (ossia, l’adozione di tutte le misure per evitare il danno), che la esonera da ogni responsabilità, è costituita dall’adeguata segnalazione sul bugiardino dei possibili effetti indesiderati e dalla rigorosa osservanza di tutte le sperimentazioni e protocolli previsti dalla legge per la produzione e commercializzazione del farmaco, così da eliminare o almeno ridurre il rischio di effetti collaterali dannosi. Per gli stessi motivi, anche in caso di eventuali danni conseguenti ad effetti indesiderati di lieve entità e del tutto temporanei, la casa farmaceutica risponde. se nel bugiardino non è indicato l’effetto indesiderato o non sono stati rispettati i protocolli nelle sperimentazioni Pertanto, la casa farmaceutica produttrice del vaccino è liberata dall’obbligo di risarcire il danno solo quando dimostri di aver adottato tutte le misure idonee a scongiurare l’effetto avverso o nel caso di effetto collaterale del tutto imprevedibile e le cui cause di insorgenza siano da considerarsi ignote e inimmaginabili. 2. Clausole di esonero di responsabilità per il vaccino anti Covid. Pur considerando quanto sin qui esposto, sembrerebbe, per quanto si apprende dagli organi di informazione, benchè privi di concreti riscontri, che la responsabilità per gli eventuali effetti collaterali, sia gravi che di lieve entità, conseguenti alla somministrazione dei vaccini anti Covid, sia stata disciplinata in modo un po’ differente. Innanzitutto, nel contratto di fornitura dei vaccini, sarebbero presenti alcune clausole che scaricano sul lo Stato italiano (come gli altri Stati europei) la responsabilità condivisa nel caso in cui il vaccino abbia effetti collaterali indesiderati , anche solo temporanei , sollevando le case farmaceutiche produttrici da ogni responsabilità in merito. Inoltre all’atto della somministrazione del vaccino (in particolare quello prodotto da Pfizer-Biontech), sarebbe richiesta la sottoscrizione di moduli che esonerano l'azienda farmaceutica e il personale sanitario che esegue la vaccinazione da qualsiasi responsabilità per eventuali reazioni avverse, danni a lunga distanza ovvero inefficacia della vaccinazione. Le suddette condizioni di esonero di responsabilità sarebbero la diretta conseguenza della impossibilità di produrre e commercializzare vaccini anti Covid osservando le necessarie misure di sicurezza, di cui abbiamo parlato nel precedente paragrafo. La necessità di ottenere i vaccini il più presto possibile, per combattere l’emergenza sanitaria in corso, ha fatto sì che non siano stati sperimentati in più anni, come per prassi, prima dell’utilizzo, ma solo pochi mesi, senza poter, adeguatamente, verificare, conoscere e segnalare eventuali effetti indesiderati, nonostante ricerche, studi ed esami eseguiti. Ciò, per legge, esporrebbe le case farmaceutiche a rispondere di ogni evento dannoso collegato ad effetti collaterali che non hanno potuto, per mancanza di tempo, sperimentare e studiare, né, quindi segnalare sul bugiardino, aggravando, eccessivamente, le loro respnsabilità. Tuttavia, le suddette condizioni di esonero, se effettivamente previste, potrebbero considerarsi nulle in quanto illegittimae, essendo del tutto contrarie ai diritti costituzionalmente garantiti al singolo, in primo luogo, il diritto alla salute, e a quanto stabilito all'art. 1229 del codice civile “ è nullo qualsiasi patto preventivo di esonero o di limitazione di responsabilità per i casi in cui il fatto del debitore e dei suoi ausiliari costituisca violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico ”. San Salvo, 22 aprile 2021. Avv.Vincenzo de Crescenzo

Titolo professionale

Diploma di Master di II livello in “Discipline del lavoro, sindacali e della sicurezza sociale”,

Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” - 3/2010

Master Universitario di specializzazione sul diritto del lavoro e della previdenza, di durata annuale, con frequenza obbligatoria e prova conclusiva scritta e orale.

Pubblicazione legale

Strumenti giuridici a tutela delle condizioni di separazione o divorzio e affidamento dei figli

Pubblicato su IUSTLAB

STRUMENTI GIURIDICI A TUTELA DELLE CONDIZIONI DI SEPARAZIONE O DIVORZIO E AFFIDAMENTO DEI FIGLI Contro la violazione, da parte del proprio coniuge o ex coniuge, delle condizioni stabilite per la separazione personale o il divorzio (cessazione degli effeti civili o scioglimento del matrimonio) , comprese quelle sull’affidamento e mantenimento dei figli, il nostro ordinamento giuridico prevede varie forme di tutela, in sede civile e penale. Le condizioni stabilite in sede giudiziale, quindi, da un provvedimento del giudice (sentenza o decreto di omologa), in seguito alla presentazione di un ricorso in Tribunale, per la separazione o il divorzio o la modifica delle condizioni ivi stabilite, così come anche l’accordo mediante la negoziazione assistita, costituiscono titolo esecutivo , pertanto, in caso di inadempienza, consentono di agire immediatamente in via esecutiva, senza dover ottenere un’ulteriore pronuncia giurisdizionale, o, comunque, di ricorrere a procedimenti particolarmente snelli e rapidi, al fine di ottenere il rispetto delle prescrizioni ivi contenute. In particolare, quando l’obbligo di corrispondere un assegno di mantenimento nei confronti dell’altro coniuge o ex coniuge, è stabilito da un provvedimento giudiziale, qualora l’obbligato non provveda (anche in seguito a formale lettera di diffida e messa in mora), è possibile, in virtù del suddetto titolo esecutivo, notificargli il cosiddetto atto di precetto ed avviare, così, l’esecuzione forzata per il recupero coattivo delle somme arretrate non corrisposte. Trascorsi, infatti, inutilmente, dieci giorni dalla notificazione dell’atto di precetto, è possibile procedere con il pignoramento mobiliare e immobiliare dei beni del debitore. Il pignoramento può riguardare, ad esempio, l’autovettura o un’abitazione, ma, soprattutto, lo stipendio del coniuge o ex coniuge, mediante il pignoramento presso terzi. Si noti, in merito, come, per un recente orientamento giurisprudenziale (Cass. 11316/2011), lo stesso procedimento, previa notifica dell’atto di precetto, sia possibile, in alternativa al ricorso per decreto ingiuntivo, anche per il recupero di quelle spese straordinarie per i figli considerate, comunque, prevedibili, in quanto routinarie (come le spese mediche e scolastiche), rispondendo ad ordinarie e prevedibili esigenze di mantenimento del figlio, a tal punto dall’avere la certezza del loro verificarsi, pur non essendo ricomprese nell’assegno forfettizzato di mantenimento. Inoltre, ai sensi dell'art. 156, comma 5 e 6 del codice civile, il provvedimento di separazione costituisce titolo idoneo pr l’iscrizione di ipoteca giudiziale e consente di chiedere il sequestro ma, soprattutto, l'ordine di pagamento diretto nei confronti del terzo debitore dell'obbligato, come, ad esempio, il datore di lavoro. E’ possibile, cioè, chiedere al giudice, in caso di reiterato inadempimento del coniuge obbligato, di ordinare al suo datore di lavoro di versare direttamente in proprio favore la somma corrispondente all’assegno di mantenimento stabilito, sottraendola dall’importo mensile dello stipendio corrisposto. Lo stesso è previsto, ex art. 8 comma 2, l. n. 898/1970, anche per il provvedimento di divorzio, che consente, addirittura, di chiedere il versamento diretto dell’assegno di mantenimento in via stragiudiziale, rivolgendosi, in caso di inadempimento dell’ex coniuge, anziché al giudice, direttamente al suo creditore o datore di lavoro. Il provvedimento giudiziale costituisce, inoltre, titolo necessario, anche, per presentare ricorso, ai sensi dell’art. 709 ter del codice di procedura civile , per la soluzione di ogni controversia insorta tra i genitori in ordine all’esercizio della potestà genitoriale o delle modalità dell’affidamento. Il Tribunale , in tal caso, accertati gravi inadempienze o atti pregiudizievoli per il minore o contrari alle modalità dell’affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore, oltre che ammonire, sanzionare o condannare al risarimento danni il genitore inadempiente. Quando, invece, le condizioni di separazione o divorzio, soprattutto per una questione di economicità, sono stabilite in via stragiudiziale dalle parti, quindi, mediante la sottoscrizione di una scrittura privata, come può accadere, in particolare, per la modifica delle condizioni economiche già stabilite giudizialmente, l’atto sottoscritto, pur essendo ritenuto valido, purchè non leda diritti ed interessi dei minori, non costituisce titolo esecutivo e non consente di accedere alle forme di tutela giuridica sin qui esaminate. In particolare, se il coniuge o ex coniuge obbligato non provvede al mantenimento, il recupero delle somme, così, evetualmente, concordate, richiede un’attività più complessa e dispendiosa, essendo necessario conseguire, tramite un giudizio civile, il titolo esecutivo mancante, ossia il provvedimento giudiziale, in virtù del quale, poi, sarà possibile procedere con l’esecuzione forzata. È possibile e necessario, in tal caso, presentare in Tribunale un ricorso per decreto ingiuntivo, chiedendo al Giudice di ordinare il pagamento in proprio favore delle somme inevase riportate nell’accordo stragiudiziale. In seguito, ottenuto il decreto, anche se provvisoriamente esecutivo, sarà possibile notificare al debitore l’atto di precetto ed eventualmente quello di pignoramento. Tuttavia, l’eventualità e gli effetti di un accordo stragiudiziale tra le parti, riguarda, soprattutto, la separazione di una coppia di fatto, convivente more uxorio . A riguardo, occorre precisare, infatti, che, a differenza di quanto avviene per i coniugi, la separazione tra una coppia di fatto non necessita di alcun provvedimento. Inoltre, l’ex convivente non ha un obbligo di mantenimento verso l’altro (salvo quello degli alimenti, qualora questi versi in stato di bisogno, ma solo in caso di convivenza regolarizzata), tuttavia, in presenza di figli minori, è tenuto, in ogni caso, a contribuire al loro mantenimento ed occorre, come per i genitori sposati, regolamentarne l’affido, condiviso o meno, e tutto ciò che ne concerne. È possibile, quindi, anche stabilire, semplicemente, tra le parti, accordi verbali o, meglio, scritti. Una scrittura privata, infatti, in quanto prova delle obbligazioni reciprocamente assunte, consente, comunque, una certa tutela, in caso di inadempimento, ma non abbastanza e, comunque, come abbiamo già vsto per i coniugi, non quanto il titolo esecutivo costituito dal provvedimento giudiziale. Anche in questo caso, quindi, contro il mancato versamento dell’assegno di mantenimento concordato, in mancanza di un provvedimento giudiziale, è possibile prsentare in Tribunale un ricorso per decreto ingiuntivo, al fine di ottenere il necessario titolo esecutivo per l’esecuzione forzata. Tuttavia, anche gli ex conviventi di fatto, in alternativa ad un accordo verbale o per scrittura privata, possono, mediante apposito ricorso in Tribunale, stabilire giudizialmente la regolamentazione del regime di affidamento, mantenimento e frequentazione dei propri figli minori, disponendo così di quel provvedimento giudiziale, con valore di titolo esecutivo, necessario per accedere anch’essi a tutte le forme di tutela giuridica sin qui esaminate per gli ex coniugi. Il ricorso può essere presentato da entrambi i genitori, anche congiuntamente se sono d'accordo sulle condizioni da applicare ( ex art . 316 e 316 bis c.c .). In tal caso, è possibile anche un accordo in negoziazione assistita con i rispettivi avvocati, del tutto equiparato al provvedimento giudiziale. In ambito penale, per tutelarsi contro il mancato pagamento dell’assegno di mantenimento, innanzitutto, è possibile far riferimento all’art 570, comma 2, c.p., rubricato “violazione degli obblighi di assistenza familiare”, che punisce la mancata somministrazione dei mezzi di sussistenza a discendenti minorenni o inabili al lavoro, oltre che al coniuge e agli ascendenti. In caso di separazione, quindi, il reato si configura solo a carico dei genitori, anche se non coniugati, e solo in caso di un grave inadempimento, tale da aver generato nel minore uno stato di bisogno, privandolo dei necessari mezzi di sussistenza, indispensabili per vivere ( come il vitto, l’abitazione, il vestiario, i medicinali i canoni per le utenze indispensabili e le spese per l’istruzione ). Una maggiore tutela è, invece, garantita dal successivo art. 570 bis c.p. , rubricato “violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio” (introdotto dal Decreto Legislativo 1 marzo 2018 n. 21 e in vigore dal 6 aprile 2018), che ha esteso le pene previste dall’articolo 570 – reclusione fino a 12 mesi o la multa da 103 a 1.032 euro – al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero viola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli. Quest’ultimo periodo implica che il genitore obbligato sia responsabile anche in caso di omesso rimborso delle spese straordinarie. Quindi, diversamente dall’art. 570, comma 2, c.p. , che tutela solo il coniuge non separato ed i figli (anche nati al di fuori del matrimonio), l’art. 570 bis c.p. sanziona anche l’omesso versamento dell’assegno di mantenimento nei confronti del coniuge separato, oltre che dei figli, per giurisprudenza prevalente in materia, anche nati da genitori non sposati, ma non tra i semplici conviventi more uxorio . Prescinde, inoltre, dall’accertamento dello stato di bisogno ed il reato si configura, semplicemente, con l’omesso versamento, anche solo parzialmente, dell’assegno stabilito dal Giudice, senza alcun accertamento in ordine allo stato di bisogno, richiesto, invece, dall’art. 570, comma 2, c.p.. Entrambe le norme sono poste a tutela delle esigenze economiche ed assistenziali dei familiari, in caso di inadempimento del soggetto giuridicamente obbligato. Tuttavia, mentre l’art. 570, comma 2 c.p. tutela il più ampio diritto a ricevere, in caso di bisogno, i necessari mezzi di sussistenza dai propri familiari, pertanto, il reato si configura anche in mancanza di un provvedimento giudiziale di separazione, poichè l’obbligo di contribuire al mantenimento dei figli grava sui genitori anche in caso di separazione di fatto. L’art. 570 bis c.p. , invece, sanziona l’inadempimento dell’obbligo di natura economica stablito dal provvedimento giudiziale, in caso di separazione, divorzio o regolamentazione dell’affido e mantenimento dei figli nati al di fuori del matrimonio, da cui non si può prescindere e senza il quale la norma non consente alcuna tutela. In entrambi i casi, l’obbligato è, comunque, esente da ogni responsabilità, qualora non possa adempiere per comprovate difficoltà economiche per ragioni al medesimo non imputabili. Le norme appena esaminate sanzionano penalmente la violazione degli obblighi di natura economica, a carico dei coniugi o dei genitori, come il mancato versamento dell’assegno di mantenimento, ma non riguardano i rapporti personali del provvedimento emesso in sede di separazione, tutelati, invece, dall’art. 388, comma 2, c.p ., che sanziona quei comportamenti contrari agli interessi relativi alla educazione, alla cura ed alla custodia del minore, punendo, con la reclusione fino a tre anni o la multa da euro 103 a euro 1.032, chi elude l'esecuzione di un provvedimento del giudice civile che concerna l'affidamento di minori o di altre persone incapaci. Tra i comportamenti più ricorrenti che integrano il presente reato, ricordiamo quello consistente nel rifiuto alla consegna del figlio da parte del genitore affidatario, impedendo all’altro di vederlo e tenerlo con sé o, semplicemente, non favorendo i suoi rapporti con il minore e l’esercizio del suo diritto di visita, secondo le modalità stabilite dal giudice, salvo motivi particolarmente gravi. In conclusione : in caso di violazione delle condizioni di separazione o divorzio e affidamento dei minori, stabilite con provvedimento giudiziale, sarà possibile, procedere contro il coniuge, ex coniuge o, comunque, contro l’altro genitore inadempiente, secondo le circostanze, mediante: 1. pignoramento immediato dei suoi beni e, in particolare, dello stipendio, per il recupero degli arretrati dell’assegno di mantenimento (per recente giurisprudenza, anche di quelle spese straordinarie routinarie, certe e prevedibili, destinate ai bisogni ordinari del figlio); 2. iscrizione di ipoteca giudiziale e richiesta di versamento diretto dell’assegno di mantenimento da parte del suo datore di lavoro, ex art. 156, comma 5 e 6, c.c. e art. 8, comma 2, l. n. 898/1970 ; 3. ricorso per decreto ingiuntivo, per il recupero delle spese straordinarie stricto sensu , imprevedibili, imponderabili ed economicamente rilevanti; 4. ricorso ex art. 709 ter c.p.c., per la modifica dei provvedimenti in vigore, la condanna alle previste sanzioni e risarcimento danni, in caso di violazione delle condizioni sia economiche che personali; 5. querela per violazione degli obblighi di assistenza familiare, ex art. 570, comma 2, e 570 bis c.p. o delle modalità di affidamento di minori stabilite dal giudice, ex art. 388, comma 2, c.p.. In mancanza di un provvedimento giudiziale, sarà, comunque, possibile chiedere, mediante ricorso per decreto ingiuntivo, il rimborso degli arretrati dell’assegno di mantenimento concordato, per se o per i minori, nonché sporgere querela per violazione degli obblighi di assistenza familiare, ex art. 570, comma 2, qualora si facciano mancare i necessari mezzi di sussistenza. San Salvo, 24 novembre 2022 Avv.Vincenzo de Crescenzo

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