Tutela, risarcimento e responsabilitÀ per contagio da covid-19 del personale sanitario

Scritto da: Vincenzo De Crescenzo - Pubblicato su IUSTLAB




Pubblicazione legale:

TUTELA, RISARCIMENTO E RESPONSABILITÀ  PER CONTAGIO DA COVID-19 DEL PERSONALE SANITARIO 
 
A causa dell’emergenza sanitaria dovuta all’epidemia di Covid-19, assume particolare rilievo la tutela della salute dei lavoratori e, in particolare, degli operatori sanitari, più di chiunque esposti al contagio, in quanto impegnati, personalmente, nella lotta contro l'epidemia, prendendosi cura, quotidianamente, delle numerosissime persone infettate.
Il nostro ordinamento prevede, in generale, l’obbligo di ciascun datore di lavoro di adottare le dovute misure di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, secondo quanto prescritto dalla Costituzione (art. 32), dal codice civile (art. 2087 c.c.) e dal D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (T.U. sulla tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di Lavoro). 
In sede penale, inoltre, sono previste a carico del datore di lavoro particolari fattispecie criminose, ai sensi dell’art. 437 c.p., “per rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro”, e dell’art. 451 c.p., “per omissione colposa di cautele o difese contro disastri o infortuni sul lavoro”. Il datore di lavoro, inoltre, dovrà rispondere dei reati di lesioni personali gravi o gravissime, ai sensi dell’art. 590 c.p., se l’inosservanza delle misure antinfortunistiche sia stata causa di infezione-malattia del lavoratore, oppure di omicidio colposo, ai sensi dell’art. 589 c.p., qualora al contagio sia seguita la morte; oltre che dei reati contravvenzionali per omissione di misure di sicurezza previsti dal D.Lgs. 626/94 e successivamente dal citato D.lgs n. 81/2008.
Infine, specifici adempimenti a carico del datore di lavoro sono previsti dalle recenti normative speciali (Decreti e Ordinanze), emanate in via d’urgenza da Governo e Regioni, a tutela dell’incolumità pubblica e della salute della collettività. 
 
1. La tutela INAIL.

Tuttavia, preliminarmente, occorre, soffermarsi, brevemente, sulla tutela INAIL riservata ai lavoratori e, in particolare, agli operatori sanitari, in caso di effettivo contagio da Covid-19.  Con nota del 17 marzo 2020 (riferendosi, in parte, quanto già previsto, in linea generale, dall’art. 42 comma 2 del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020, c.d.“Decreto Cura Italia”), l'INAIL ha chiarito che, così come per le malattie infettive e parassitarie contratte in occasione di lavoro, anche i casi di Covid-19, relativi a medici, infermieri ed altri operatori sanitari in genere, sono da inquadrare come infortuni sul lavoro, “laddove sia accertata l’origine professionale del contagio, avvenuto nell’ambiente di lavoro, oppure per causa determinata dallo svolgimento dell’attività lavorativa”.
Le patologie infettive, infatti, secondo l’indirizzo vigente in materia, sono inquadrate e trattate come infortunio sul lavoro, poichè la causa virulenta viene equiparata alla causa violenta propria dell’infortunio, anche quando i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo.
La nota ha precisato, inoltre, che, nei casi in cui non fosse possibile stabilire né provare in quale occasione sia avvenuto il contagio, si può presumere (quindi senza necessità della
prova) che lo stesso si sia verificato sul posto di lavoro, in considerazione delle mansioni/lavorazioni del dipendente contagiato e di ogni eventuale altro indizio in tal senso.
Tanto vale, nell’attuale situazione pandemica, principalmente per gli operatori sanitari, esposti, certamente, per le loro mansioni specifiche, ad un elevato rischio di contagio (come ribadito anche nella successiva Circolare INAIL n. 13, del 3 aprile 2020). Per tali operatori vige, quindi, la presunzione semplice di origine professionale (ex art. 2729 c.c.),, per cui si può presumere (senza necessità di provarlo) che il contagio del Covid-19 sia avvenuto sul lavoro, considerata appunto la elevatissima probabilità che, per via delle loro specifiche mansioni, essi vengano a contatto, durante ed a causa del proprio lavoro, con il nuovo coronavirus, come chiarito dalla  successiva circolare Inail n. 13/2020. 
L’applicazione dei suddetti principi, consente agli operatori sanitari una tutela rapida ed efficace del diritto leso.
Al contrario, per tutti gli altri lavoratori (salvo alcune eccezioni), la copertura assicurativa è riconosciuta a condizione che possano provare di aver contratto la malattia durante l’attività lavorativa; l’onere della prova, quindi, è posta a carico dell’assicurato.
Ne consegue che gli operatori sanitari che abbiano contratto per lavoro la malattia da Covid19, possono ricevere dall’Inail l’indennizzo del periodo di temporanea assenza conseguente alla malattia (indennizzabile con l’indennità di inabilità temporanea) e dei postumi permanenti di danno biologico (indennizzati in capitale o con rendita in caso di postumi superiori al 16%). Nel caso in cui, invece, la malattia abbia causato il decesso dell’infortunato, i suoi superstiti hanno diritto all’assegno funerario ed alla rendita ai superstiti (art. 85 TU).
L'INAIL, infine, presumendo che il contagio possa avvenire anche nel tragitto lavoro/casa, riconosce, anche in tal caso, l'applicabilità del c.d. infortunio in itinere; chiarisce, inoltre, in conformità con la giurisprudenza prevalente, che la trattazione del contagio da Covid-19  come infortunio sul lavoro non esclude anche la tutela concorrente della malattia professionale, allorché, però, siano provati tutti gli elementi costituitivi della stessa.
 
2. La responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c.

Detto della tutela INAIL del lavoratore e, in particolare, del personale sanitario, vittima di contagio da Covid-19, passiamo a considerare l’eventuale responsabilità del datore di lavoro, di cui abbiamo, brevemente, accennato nelle premesse iniziali, facendo riferimento, in particolare, all’art. 2087 c.c. ed al D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81 (T. U. sulla tutela della salute e della Sicurezza sui luoghi di Lavoro).
Gli operatori sanitari (e i dipendenti in genere) contagiati, oltre l’indennizzo INAIL, potrebbero richiedere anche al proprio datore di lavoro un risarcimento (c.d. danno differenziale), allorchè, per la generale impreparazione del paese e, soprattutto, delle strutture sanitarie, si siano trovati a dover affrontare l'emergenza sanitaria del Covid-19 senza la dovuta organizzazione per la tutela della propria salute.
Tuttavia, occorre premettere che, dal riconoscimento del contagio come infortunio sul lavoro, non deriva, automaticamente, una responsabilità del datore di lavoro, che risponde, penalmente e civilmente, delle infezioni di origine professionale dei dipendenti solo se viene accertata la propria responsabilità per dolo o per colpa. Lo precisa l’Inail, in più occasioni e, soprattutto, con la recente circolare  n. 22/2020. Non si possono confondere, infatti, i criteri applicati dall’Inail per il riconoscimento di un indennizzo a un lavoratore infortunato con quelli totalmente diversi che valgono in sede penale e civile, dove l’eventuale responsabilità del datore di lavoro deve essere rigorosamente accertata attraverso la prova del dolo o della colpa nella determinazione dell’infortunio, come il mancato rispetto della normativa a tutela della salute e della sicurezza (che nel caso dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali). La norma basilare per il riconoscimento della responsabilità del datore di lavoro, è l'art. 2087 del Codice Civile, che impone al datore di lavoro, in generale (sia pubblico che privato), di “adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Il datore è, quindi, responsabile per gli infortuni sul lavoro dei propri dipendenti ed è tenuto al risarcimento del danno verificatosi, quando il sinistro sia riconducibile ad un suo comportamento colpevole per aver violato uno specifico obbligo di sicurezza imposto da norme di legge, oppure, desumibile dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento, consistente nel predisporre tutte quelle misure necessarie o quantomeno consigliabili per poter ridurre al minimo il rischio che i dipendenti si ammalino sul posto di lavoro o subiscano incidenti o qualsiasi altro evento che possa mettere a rischio la loro sicurezza..
 
2.1. Il D.lgs. 81/2008 e le misure di sicurezza contro il Covid-19. 

Dall'art. 2087 c.c. trovano giustificazione ed origine le speciali norme del D.lgs. 81/2008 (Testo Unico delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro), che fissa, innanzitutto, le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro che ogni azienda deve rispettare.
In particolare, l'art. 18, comma 1, lett. d) dispone che il datore di lavoro è tenuto a fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale (definiti all’art. 72 del T.U.: "qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonchè ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo”).
L'art. 71 del T.U. prevede l'obbligo del datore di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature “idonee ai fini della salute e sicurezza e adeguate al lavoro da svolgere o adattate a tali scopi, che devono essere utilizzate conformemente alle disposizioni legislative di recepimento delle direttive comunitarie”.
Oltre a fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, le misure sulla sicurezza riguardano, in genere, la programmazione della prevenzione, la valutazione e la corretta informazione su tutti i rischi connessi ad una specifica attività.
Nell’attuale emergenza sanitaria, inoltre, i datori di lavoro sono tenuti al rispetto delle normative speciali (Decreti e Ordinanze) emanate, in via d’urgenza, a tutela dell’incolumità pubblica e della salute della collettività, da Governo e Regioni, che, per contrastare il contagio da Covid-19, prescrivono, ad esempio, le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, di svolgimento di incontri e riunioni, di acesso agli spazi destinati alle mense o il comportamento da adottare in caso di contagi sospetti o confermati, la rilevazione della temperatura, l’igiene e sanificazione dei luoghi di lavoro. Riguardo, in modo specifico, gli operatori sanitari, la Circolare n. 5443, del 22 febbraio 2020, del Ministero della Salute, così dispone: “il personale sanitario in contatto con un caso sospetto o confermato di COVID-19 deve indossare DPI adeguati, consistenti in filtranti respiratori FFP2 (utilizzare sempre FFP3 per le procedure che generano aerosol), protezione facciale, camice impermeabile a maniche lunghe, guanti”. Prosegue, stabilendo che: “le strutture sanitarie sono tenute al rispetto rigoroso e sistematico delle precauzioni standard oltre a quelle previste per via aerea, da droplets e da contatto”.
Di conseguenza, si può, certamente, ritenere il datore di lavoro e, in particolare, la struttura sanitaria responsabile dell’eventuale contagio dei propri dipendenti a causa della mancanza dei dispositivi di protezione individuale (DPI), in quanto specificamente previsti dalle vigenti norme in materia per la sicurezza sui luoghi di lavoro.
In generale, l’inosservanza dei prescritti obblighi di sicurezza, in caso di infotrunio/contagio di alcuni lavoratori/sanitari, può, certamente, comportare, per il datore di lavoro, oltre che una condanna penale (per omicidio colposo o per lesioni), una responsabilità contrattuale per inadempimento dell’obbligo generale di cui all’art. 2087 c.c. (non avendo adottato le misure necessarie a tutelare l'integrità psico-fisica del lavoratore), con eventuale condanna per risarcimento danni al dipendente, pari alla differenza tra il danno complessivamente subito e la quota già indennizzata dall’Inail.
Il lavoratore che abbia già beneficiato della tutela INAIL, può agire, quindi, anche, contro il datore di lavoro che non osserva le norme antinfortunistiche, per otternere il c.d. danno differenziale, allorchè il risarcimento/indennizzo già ottenuto sia inferiore al danno effettivamente subito. 
L’INAIL, infatti, riconosce un indennizzo in maniera automatica, con lo scopo di garantire mezzi adeguati al lavoratore che abbia subito un infortunio, che non sempre è sufficiente a risarcire gli effettivi pregiudizi subiti. Mentre, il danno differenziale a carico del datore di lavoro è regolato dalle norme civilistiche e va a risarcire il lavoratore del pregiudizio subito sotto tutti gli aspetti e, quindi, a titolo di danno patrimoniale, biologico, morale, esistenziale. Per ottenere il riconoscimento in giudizio del cosiddetto danno differenziale, al lavoratore sarà sufficiente fornire la prova dell’infortunio/contagio subito e della violazione da parte del datore di lavoro dei doveri di tutela dell'integrità fisica dei propri dipendenti.
 
3. La responsabilità medica.

In caso di contagio da Covid-19 dei pazienti in cura presso un’aziende sanitaria, gli operatori sanitari e l’azienda stessa, potrebbero, in determinati casi, esserne ritenuti responsabili. In particolare, la responsabilità medica, è quel tipo di responsabilità che deriva dai danni cagionati ai pazienti da errori od omissioni dei sanitari (medici, infermieri e ogni altro operatore sanitario), in concomitanza o meno con le inefficienze e carenze organizzative della struttura sanitaria, che non tratteremo in questa circostanza.. 
Ricorre, pertanto, quando sussiste un preciso legame, ovvero un nesso causale tra la condotta (errore o omissione) dell'operatore sanitario (che può verificarsi nella fase diagnostica, in quella prognostica o nella fase terapeutica) e la lesione alla salute subita del paziente, per cui si possa ritenere che quest’ultima sia conseguenza diretta della prima.
Il paziente della struttura sanitaria, che ha subito un danno derivante da responsabilità medica, ha la possibilità di chiederne il risarcimento, oltre che al sanitario e all'impresa di assicurazioni, anche alla stessa struttura sanitaria, la quale, oltre che rispondere direttamente dei danni derivanti dalle  proprie carenze organizzative e strutturali, risponde, indirettamente e in solido per il fatto del proprio personale dipendente o ausiliario (medico ed infermieristico). La legge 24 dell'8 marzo 2917 (legge Gelli-Bianco), ha apportato rilevanti modifiche a riguardo, differenziando, soprattutto, la posizione degli operatori sanitari da quella della struttura sanitaria, con evidente vantaggio per i primi, ora più difficilmente aggredibili.
Innanzitutto, in ambito penale, ha eliminato ogni riferimento alla controversa colpa lieve, introdotta dalla precedente Legge Balduzzi, escludendo la responsabilità dei sanitari per i casi di imperizia (art. 590-sexies), laddove dimostrino di essersi attenuti alle linee guida validate e pubblicate online dall'Istituto superiore di sanità. Negligenza e imprudenza, invece, anche in caso di rispetto delle suddette linee guida, determinano, comunque, la punibilità del sanitario. In sede civile, ha introdotto una diversa qualificazione delle responsabilità della struttura sanitaria e del personale sanitario, a favore di quest’ultimo, che dovrà rispondere del proprio operato secondo le regole della responsabilità extracontrattuale, ai sensi dell’art. 2043 c.c., mentre la struttura sanitaria risponderà a titolo contrattuale, ex art. 1218 e 1228 c.c., con tutto ciò che ne consegue riguardo l’onere probatorio e la prescrizione.  Nell’azione promossa per responsabilità contrattuale contro l’azienda il diritto al risarcimento danni si prescrive nel più lungo termine di dieci anni e l'onere della prova ricade sul debitore (l’azienda sanitaria). Il danneggiato dovrà provare, semplicemente, l'esistenza del contratto (ovvero, le fasi del ricovero e del trattamento), l’inadempimento del debitore (rappresentato dell'aggravamento della situazione patologica o dell'insorgenza di nuove patologie) ed il nesso di causalità con l'azione o l'omissione dei sanitari, rimanendo in capo alla struttura sanitaria la prova dell'esatto adempimento ovvero dell'inadempimento non imputabile Al contrario, nell’azione per responsabilità extracontrattuale a carico dei sanitari, il termine di prescrizione è ridotto a soli cinque anni e l’onere della prova è tutto a carico del danneggiato, il quale dovrà provare il fatto illecito commesso dai sanitari, l'esistenza del danno subito, il nesso di causalità con la condotta del sanitario e, soprattutto, l’elemento soggettivo, cioè la colpa (o dolo) dello stesso. Infine, l’art. 9 della riforma Gelli-Bianco stabilisce che, ove l’azienda sanitaria sia chiamata a risarcire, in via giudiziale o stragiudiziale, il danno alla salute provocato dalla condotta o omissione del personale sanitario, ha diritto di rivalersi sugli stessi sanitari colpevoli della somma corrisposta al danneggiato, ma solo in caso di dolo o colpa grave dei sanitari, limitando così il loro pregiudizio ai soli casi più estremi.

San Salvo, 29 maggio 2020.

Avv. Vincenzo de Crescenzo



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Vincenzo De Crescenzo

Avvocato civilista