Vincenzo De Crescenzo

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Tutela, risarcimento e responsabilitÀ per contagio da covid-19 del personale sanitario

Scritto da: Vincenzo De Crescenzo - Pubblicato su IUSTLAB

Pubblicazione legale:

TUTELA, RISARCIMENTO E RESPONSABILITÀ  PER CONTAGIO DA COVID-19 DEL PERSONALE SANITARIO 
 
A causa dell’emergenza sanitaria dovuta all’epidemia di Covid-19, assume particolare rilievo la tutela della salute dei lavoratori e, in particolare, degli operatori sanitari, più di chiunque esposti al contagio, in quanto impegnati, personalmente, nella lotta contro l'epidemia, prendendosi cura, quotidianamente, delle numerosissime persone infettate.
Il nostro ordinamento prevede, in generale, l’obbligo di ciascun datore di lavoro di adottare le dovute misure di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, secondo quanto prescritto dalla Costituzione (art. 32), dal codice civile (art. 2087 c.c.) e dal D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (T.U. sulla tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di Lavoro). 
In sede penale, inoltre, sono previste a carico del datore di lavoro particolari fattispecie criminose, ai sensi dell’art. 437 c.p., “per rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro”, e dell’art. 451 c.p., “per omissione colposa di cautele o difese contro disastri o infortuni sul lavoro”. Il datore di lavoro, inoltre, dovrà rispondere dei reati di lesioni personali gravi o gravissime, ai sensi dell’art. 590 c.p., se l’inosservanza delle misure antinfortunistiche sia stata causa di infezione-malattia del lavoratore, oppure di omicidio colposo, ai sensi dell’art. 589 c.p., qualora al contagio sia seguita la morte; oltre che dei reati contravvenzionali per omissione di misure di sicurezza previsti dal D.Lgs. 626/94 e successivamente dal citato D.lgs n. 81/2008.
Infine, specifici adempimenti a carico del datore di lavoro sono previsti dalle recenti normative speciali (Decreti e Ordinanze), emanate in via d’urgenza da Governo e Regioni, a tutela dell’incolumità pubblica e della salute della collettività. 
 
1. La tutela INAIL.

Tuttavia, preliminarmente, occorre, soffermarsi, brevemente, sulla tutela INAIL riservata ai lavoratori e, in particolare, agli operatori sanitari, in caso di effettivo contagio da Covid-19.  Con nota del 17 marzo 2020 (riferendosi, in parte, quanto già previsto, in linea generale, dall’art. 42 comma 2 del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020, c.d.“Decreto Cura Italia”), l'INAIL ha chiarito che, così come per le malattie infettive e parassitarie contratte in occasione di lavoro, anche i casi di Covid-19, relativi a medici, infermieri ed altri operatori sanitari in genere, sono da inquadrare come infortuni sul lavoro, “laddove sia accertata l’origine professionale del contagio, avvenuto nell’ambiente di lavoro, oppure per causa determinata dallo svolgimento dell’attività lavorativa”.
Le patologie infettive, infatti, secondo l’indirizzo vigente in materia, sono inquadrate e trattate come infortunio sul lavoro, poichè la causa virulenta viene equiparata alla causa violenta propria dell’infortunio, anche quando i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo.
La nota ha precisato, inoltre, che, nei casi in cui non fosse possibile stabilire né provare in quale occasione sia avvenuto il contagio, si può presumere (quindi senza necessità della
prova) che lo stesso si sia verificato sul posto di lavoro, in considerazione delle mansioni/lavorazioni del dipendente contagiato e di ogni eventuale altro indizio in tal senso.
Tanto vale, nell’attuale situazione pandemica, principalmente per gli operatori sanitari, esposti, certamente, per le loro mansioni specifiche, ad un elevato rischio di contagio (come ribadito anche nella successiva Circolare INAIL n. 13, del 3 aprile 2020). Per tali operatori vige, quindi, la presunzione semplice di origine professionale (ex art. 2729 c.c.),, per cui si può presumere (senza necessità di provarlo) che il contagio del Covid-19 sia avvenuto sul lavoro, considerata appunto la elevatissima probabilità che, per via delle loro specifiche mansioni, essi vengano a contatto, durante ed a causa del proprio lavoro, con il nuovo coronavirus, come chiarito dalla  successiva circolare Inail n. 13/2020. 
L’applicazione dei suddetti principi, consente agli operatori sanitari una tutela rapida ed efficace del diritto leso.
Al contrario, per tutti gli altri lavoratori (salvo alcune eccezioni), la copertura assicurativa è riconosciuta a condizione che possano provare di aver contratto la malattia durante l’attività lavorativa; l’onere della prova, quindi, è posta a carico dell’assicurato.
Ne consegue che gli operatori sanitari che abbiano contratto per lavoro la malattia da Covid19, possono ricevere dall’Inail l’indennizzo del periodo di temporanea assenza conseguente alla malattia (indennizzabile con l’indennità di inabilità temporanea) e dei postumi permanenti di danno biologico (indennizzati in capitale o con rendita in caso di postumi superiori al 16%). Nel caso in cui, invece, la malattia abbia causato il decesso dell’infortunato, i suoi superstiti hanno diritto all’assegno funerario ed alla rendita ai superstiti (art. 85 TU).
L'INAIL, infine, presumendo che il contagio possa avvenire anche nel tragitto lavoro/casa, riconosce, anche in tal caso, l'applicabilità del c.d. infortunio in itinere; chiarisce, inoltre, in conformità con la giurisprudenza prevalente, che la trattazione del contagio da Covid-19  come infortunio sul lavoro non esclude anche la tutela concorrente della malattia professionale, allorché, però, siano provati tutti gli elementi costituitivi della stessa.
 
2. La responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c.

Detto della tutela INAIL del lavoratore e, in particolare, del personale sanitario, vittima di contagio da Covid-19, passiamo a considerare l’eventuale responsabilità del datore di lavoro, di cui abbiamo, brevemente, accennato nelle premesse iniziali, facendo riferimento, in particolare, all’art. 2087 c.c. ed al D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81 (T. U. sulla tutela della salute e della Sicurezza sui luoghi di Lavoro).
Gli operatori sanitari (e i dipendenti in genere) contagiati, oltre l’indennizzo INAIL, potrebbero richiedere anche al proprio datore di lavoro un risarcimento (c.d. danno differenziale), allorchè, per la generale impreparazione del paese e, soprattutto, delle strutture sanitarie, si siano trovati a dover affrontare l'emergenza sanitaria del Covid-19 senza la dovuta organizzazione per la tutela della propria salute.
Tuttavia, occorre premettere che, dal riconoscimento del contagio come infortunio sul lavoro, non deriva, automaticamente, una responsabilità del datore di lavoro, che risponde, penalmente e civilmente, delle infezioni di origine professionale dei dipendenti solo se viene accertata la propria responsabilità per dolo o per colpa. Lo precisa l’Inail, in più occasioni e, soprattutto, con la recente circolare  n. 22/2020. Non si possono confondere, infatti, i criteri applicati dall’Inail per il riconoscimento di un indennizzo a un lavoratore infortunato con quelli totalmente diversi che valgono in sede penale e civile, dove l’eventuale responsabilità del datore di lavoro deve essere rigorosamente accertata attraverso la prova del dolo o della colpa nella determinazione dell’infortunio, come il mancato rispetto della normativa a tutela della salute e della sicurezza (che nel caso dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali). La norma basilare per il riconoscimento della responsabilità del datore di lavoro, è l'art. 2087 del Codice Civile, che impone al datore di lavoro, in generale (sia pubblico che privato), di “adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Il datore è, quindi, responsabile per gli infortuni sul lavoro dei propri dipendenti ed è tenuto al risarcimento del danno verificatosi, quando il sinistro sia riconducibile ad un suo comportamento colpevole per aver violato uno specifico obbligo di sicurezza imposto da norme di legge, oppure, desumibile dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento, consistente nel predisporre tutte quelle misure necessarie o quantomeno consigliabili per poter ridurre al minimo il rischio che i dipendenti si ammalino sul posto di lavoro o subiscano incidenti o qualsiasi altro evento che possa mettere a rischio la loro sicurezza..
 
2.1. Il D.lgs. 81/2008 e le misure di sicurezza contro il Covid-19. 

Dall'art. 2087 c.c. trovano giustificazione ed origine le speciali norme del D.lgs. 81/2008 (Testo Unico delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro), che fissa, innanzitutto, le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro che ogni azienda deve rispettare.
In particolare, l'art. 18, comma 1, lett. d) dispone che il datore di lavoro è tenuto a fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale (definiti all’art. 72 del T.U.: "qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonchè ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo”).
L'art. 71 del T.U. prevede l'obbligo del datore di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature “idonee ai fini della salute e sicurezza e adeguate al lavoro da svolgere o adattate a tali scopi, che devono essere utilizzate conformemente alle disposizioni legislative di recepimento delle direttive comunitarie”.
Oltre a fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, le misure sulla sicurezza riguardano, in genere, la programmazione della prevenzione, la valutazione e la corretta informazione su tutti i rischi connessi ad una specifica attività.
Nell’attuale emergenza sanitaria, inoltre, i datori di lavoro sono tenuti al rispetto delle normative speciali (Decreti e Ordinanze) emanate, in via d’urgenza, a tutela dell’incolumità pubblica e della salute della collettività, da Governo e Regioni, che, per contrastare il contagio da Covid-19, prescrivono, ad esempio, le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, di svolgimento di incontri e riunioni, di acesso agli spazi destinati alle mense o il comportamento da adottare in caso di contagi sospetti o confermati, la rilevazione della temperatura, l’igiene e sanificazione dei luoghi di lavoro. Riguardo, in modo specifico, gli operatori sanitari, la Circolare n. 5443, del 22 febbraio 2020, del Ministero della Salute, così dispone: “il personale sanitario in contatto con un caso sospetto o confermato di COVID-19 deve indossare DPI adeguati, consistenti in filtranti respiratori FFP2 (utilizzare sempre FFP3 per le procedure che generano aerosol), protezione facciale, camice impermeabile a maniche lunghe, guanti”. Prosegue, stabilendo che: “le strutture sanitarie sono tenute al rispetto rigoroso e sistematico delle precauzioni standard oltre a quelle previste per via aerea, da droplets e da contatto”.
Di conseguenza, si può, certamente, ritenere il datore di lavoro e, in particolare, la struttura sanitaria responsabile dell’eventuale contagio dei propri dipendenti a causa della mancanza dei dispositivi di protezione individuale (DPI), in quanto specificamente previsti dalle vigenti norme in materia per la sicurezza sui luoghi di lavoro.
In generale, l’inosservanza dei prescritti obblighi di sicurezza, in caso di infotrunio/contagio di alcuni lavoratori/sanitari, può, certamente, comportare, per il datore di lavoro, oltre che una condanna penale (per omicidio colposo o per lesioni), una responsabilità contrattuale per inadempimento dell’obbligo generale di cui all’art. 2087 c.c. (non avendo adottato le misure necessarie a tutelare l'integrità psico-fisica del lavoratore), con eventuale condanna per risarcimento danni al dipendente, pari alla differenza tra il danno complessivamente subito e la quota già indennizzata dall’Inail.
Il lavoratore che abbia già beneficiato della tutela INAIL, può agire, quindi, anche, contro il datore di lavoro che non osserva le norme antinfortunistiche, per otternere il c.d. danno differenziale, allorchè il risarcimento/indennizzo già ottenuto sia inferiore al danno effettivamente subito. 
L’INAIL, infatti, riconosce un indennizzo in maniera automatica, con lo scopo di garantire mezzi adeguati al lavoratore che abbia subito un infortunio, che non sempre è sufficiente a risarcire gli effettivi pregiudizi subiti. Mentre, il danno differenziale a carico del datore di lavoro è regolato dalle norme civilistiche e va a risarcire il lavoratore del pregiudizio subito sotto tutti gli aspetti e, quindi, a titolo di danno patrimoniale, biologico, morale, esistenziale. Per ottenere il riconoscimento in giudizio del cosiddetto danno differenziale, al lavoratore sarà sufficiente fornire la prova dell’infortunio/contagio subito e della violazione da parte del datore di lavoro dei doveri di tutela dell'integrità fisica dei propri dipendenti.
 
3. La responsabilità medica.

In caso di contagio da Covid-19 dei pazienti in cura presso un’aziende sanitaria, gli operatori sanitari e l’azienda stessa, potrebbero, in determinati casi, esserne ritenuti responsabili. In particolare, la responsabilità medica, è quel tipo di responsabilità che deriva dai danni cagionati ai pazienti da errori od omissioni dei sanitari (medici, infermieri e ogni altro operatore sanitario), in concomitanza o meno con le inefficienze e carenze organizzative della struttura sanitaria, che non tratteremo in questa circostanza.. 
Ricorre, pertanto, quando sussiste un preciso legame, ovvero un nesso causale tra la condotta (errore o omissione) dell'operatore sanitario (che può verificarsi nella fase diagnostica, in quella prognostica o nella fase terapeutica) e la lesione alla salute subita del paziente, per cui si possa ritenere che quest’ultima sia conseguenza diretta della prima.
Il paziente della struttura sanitaria, che ha subito un danno derivante da responsabilità medica, ha la possibilità di chiederne il risarcimento, oltre che al sanitario e all'impresa di assicurazioni, anche alla stessa struttura sanitaria, la quale, oltre che rispondere direttamente dei danni derivanti dalle  proprie carenze organizzative e strutturali, risponde, indirettamente e in solido per il fatto del proprio personale dipendente o ausiliario (medico ed infermieristico). La legge 24 dell'8 marzo 2917 (legge Gelli-Bianco), ha apportato rilevanti modifiche a riguardo, differenziando, soprattutto, la posizione degli operatori sanitari da quella della struttura sanitaria, con evidente vantaggio per i primi, ora più difficilmente aggredibili.
Innanzitutto, in ambito penale, ha eliminato ogni riferimento alla controversa colpa lieve, introdotta dalla precedente Legge Balduzzi, escludendo la responsabilità dei sanitari per i casi di imperizia (art. 590-sexies), laddove dimostrino di essersi attenuti alle linee guida validate e pubblicate online dall'Istituto superiore di sanità. Negligenza e imprudenza, invece, anche in caso di rispetto delle suddette linee guida, determinano, comunque, la punibilità del sanitario. In sede civile, ha introdotto una diversa qualificazione delle responsabilità della struttura sanitaria e del personale sanitario, a favore di quest’ultimo, che dovrà rispondere del proprio operato secondo le regole della responsabilità extracontrattuale, ai sensi dell’art. 2043 c.c., mentre la struttura sanitaria risponderà a titolo contrattuale, ex art. 1218 e 1228 c.c., con tutto ciò che ne consegue riguardo l’onere probatorio e la prescrizione.  Nell’azione promossa per responsabilità contrattuale contro l’azienda il diritto al risarcimento danni si prescrive nel più lungo termine di dieci anni e l'onere della prova ricade sul debitore (l’azienda sanitaria). Il danneggiato dovrà provare, semplicemente, l'esistenza del contratto (ovvero, le fasi del ricovero e del trattamento), l’inadempimento del debitore (rappresentato dell'aggravamento della situazione patologica o dell'insorgenza di nuove patologie) ed il nesso di causalità con l'azione o l'omissione dei sanitari, rimanendo in capo alla struttura sanitaria la prova dell'esatto adempimento ovvero dell'inadempimento non imputabile Al contrario, nell’azione per responsabilità extracontrattuale a carico dei sanitari, il termine di prescrizione è ridotto a soli cinque anni e l’onere della prova è tutto a carico del danneggiato, il quale dovrà provare il fatto illecito commesso dai sanitari, l'esistenza del danno subito, il nesso di causalità con la condotta del sanitario e, soprattutto, l’elemento soggettivo, cioè la colpa (o dolo) dello stesso. Infine, l’art. 9 della riforma Gelli-Bianco stabilisce che, ove l’azienda sanitaria sia chiamata a risarcire, in via giudiziale o stragiudiziale, il danno alla salute provocato dalla condotta o omissione del personale sanitario, ha diritto di rivalersi sugli stessi sanitari colpevoli della somma corrisposta al danneggiato, ma solo in caso di dolo o colpa grave dei sanitari, limitando così il loro pregiudizio ai soli casi più estremi.

San Salvo, 29 maggio 2020.

Avv. Vincenzo de Crescenzo


Avv. Vincenzo De Crescenzo - Avvocato civilista

Mi chiamo Vincenzo de Crescenzo, lavoro come avvocato da oltre dieci anni e mi sono sempre occupato di diritto civile (obbligazioni e contratti, proprietà, famiglia e sucessioni), commerciale, lavoro e previdenza, conseguendo anche vari titoli accademici di specializzazione nel settore. I miei clienti sono sia privati che aziende. Professionalità e trasparenza sono i valori su cui baso un rapporto strettamente fiduciario con i miei assistiti, ricercando sempre soluzioni che garantiscano il miglior risultato, tempi rapidi ed un prezzo equo. Posso assicurare ampia tutela su tutto il territorio nazionale, anche in videochiamata.




Vincenzo De Crescenzo

Esperienza


Diritto di famiglia

Nel corso degli anni, ho maturato una importante esperienza nel diritto di famiglia, che è quel ramo del diritto privato afferente ai rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi, ai rapporti di filiazione, parentela e more uxorio. In particolare, mi occupo di separazione e divorzio, obblighi alimentari e di mantenimento, modifica delle condizioni di separazione o divorzio, decadenza dalla responsabilità genitoriale, interdizione e inabilitazione. Le liti familiari sono, in genere, molto delicate e trovare la soluzione più adatta richiede particolare sensibilità ed attitudine che i miei assistiti spesso mi riconoscono.


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Mi sono sempre occupato di diritto civile, sin dagli anni della formazione e collaborazione presso altri studi legali, trattando pratiche relative al recupero crediti, esecuzioni mobiliari ed immobiliari, sinistri stradali, locazioni, sfratti, proprietà, condominio, e molti altri casi tipici. Il diritto civile e privato, in genere, rappresenta, quindi, il settore in cui ho maggiormente lavorato, maturando una particolare conoscenza ed attitudine.


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Nel 2010 ho conseguito la Specializzazione Universitaria in “Discipline del lavoro, sindacali e della sicurezza sociale” e da vari anni collaboro con alcune organizazioni sindacali. Mi occupo di impiego pubblico e privato, procedimenti disciplinari, licenziamenti, demansionamento e/o mobbing, differenze retributive, trasferimenti e/o mobilità, malattie e infortuni, contratti di appalto e concorsi pubblici.


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Referenze

Pubblicazione legale

Strumenti giuridici a tutela delle condizioni di separazione o divorzio e affidamento dei figli

Pubblicato su IUSTLAB

STRUMENTI GIURIDICI A TUTELA DELLE CONDIZIONI DI SEPARAZIONE O DIVORZIO E AFFIDAMENTO DEI FIGLI Contro la violazione, da parte del proprio coniuge o ex coniuge, delle condizioni stabilite per la separazione personale o il divorzio (cessazione degli effeti civili o scioglimento del matrimonio) , comprese quelle sull’affidamento e mantenimento dei figli, il nostro ordinamento giuridico prevede varie forme di tutela, in sede civile e penale. Le condizioni stabilite in sede giudiziale, quindi, da un provvedimento del giudice (sentenza o decreto di omologa), in seguito alla presentazione di un ricorso in Tribunale, per la separazione o il divorzio o la modifica delle condizioni ivi stabilite, così come anche l’accordo mediante la negoziazione assistita, costituiscono titolo esecutivo , pertanto, in caso di inadempienza, consentono di agire immediatamente in via esecutiva, senza dover ottenere un’ulteriore pronuncia giurisdizionale, o, comunque, di ricorrere a procedimenti particolarmente snelli e rapidi, al fine di ottenere il rispetto delle prescrizioni ivi contenute. In particolare, quando l’obbligo di corrispondere un assegno di mantenimento nei confronti dell’altro coniuge o ex coniuge, è stabilito da un provvedimento giudiziale, qualora l’obbligato non provveda (anche in seguito a formale lettera di diffida e messa in mora), è possibile, in virtù del suddetto titolo esecutivo, notificargli il cosiddetto atto di precetto ed avviare, così, l’esecuzione forzata per il recupero coattivo delle somme arretrate non corrisposte. Trascorsi, infatti, inutilmente, dieci giorni dalla notificazione dell’atto di precetto, è possibile procedere con il pignoramento mobiliare e immobiliare dei beni del debitore. Il pignoramento può riguardare, ad esempio, l’autovettura o un’abitazione, ma, soprattutto, lo stipendio del coniuge o ex coniuge, mediante il pignoramento presso terzi. Si noti, in merito, come, per un recente orientamento giurisprudenziale (Cass. 11316/2011), lo stesso procedimento, previa notifica dell’atto di precetto, sia possibile, in alternativa al ricorso per decreto ingiuntivo, anche per il recupero di quelle spese straordinarie per i figli considerate, comunque, prevedibili, in quanto routinarie (come le spese mediche e scolastiche), rispondendo ad ordinarie e prevedibili esigenze di mantenimento del figlio, a tal punto dall’avere la certezza del loro verificarsi, pur non essendo ricomprese nell’assegno forfettizzato di mantenimento. Inoltre, ai sensi dell'art. 156, comma 5 e 6 del codice civile, il provvedimento di separazione costituisce titolo idoneo pr l’iscrizione di ipoteca giudiziale e consente di chiedere il sequestro ma, soprattutto, l'ordine di pagamento diretto nei confronti del terzo debitore dell'obbligato, come, ad esempio, il datore di lavoro. E’ possibile, cioè, chiedere al giudice, in caso di reiterato inadempimento del coniuge obbligato, di ordinare al suo datore di lavoro di versare direttamente in proprio favore la somma corrispondente all’assegno di mantenimento stabilito, sottraendola dall’importo mensile dello stipendio corrisposto. Lo stesso è previsto, ex art. 8 comma 2, l. n. 898/1970, anche per il provvedimento di divorzio, che consente, addirittura, di chiedere il versamento diretto dell’assegno di mantenimento in via stragiudiziale, rivolgendosi, in caso di inadempimento dell’ex coniuge, anziché al giudice, direttamente al suo creditore o datore di lavoro. Il provvedimento giudiziale costituisce, inoltre, titolo necessario, anche, per presentare ricorso, ai sensi dell’art. 709 ter del codice di procedura civile , per la soluzione di ogni controversia insorta tra i genitori in ordine all’esercizio della potestà genitoriale o delle modalità dell’affidamento. Il Tribunale , in tal caso, accertati gravi inadempienze o atti pregiudizievoli per il minore o contrari alle modalità dell’affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore, oltre che ammonire, sanzionare o condannare al risarimento danni il genitore inadempiente. Quando, invece, le condizioni di separazione o divorzio, soprattutto per una questione di economicità, sono stabilite in via stragiudiziale dalle parti, quindi, mediante la sottoscrizione di una scrittura privata, come può accadere, in particolare, per la modifica delle condizioni economiche già stabilite giudizialmente, l’atto sottoscritto, pur essendo ritenuto valido, purchè non leda diritti ed interessi dei minori, non costituisce titolo esecutivo e non consente di accedere alle forme di tutela giuridica sin qui esaminate. In particolare, se il coniuge o ex coniuge obbligato non provvede al mantenimento, il recupero delle somme, così, evetualmente, concordate, richiede un’attività più complessa e dispendiosa, essendo necessario conseguire, tramite un giudizio civile, il titolo esecutivo mancante, ossia il provvedimento giudiziale, in virtù del quale, poi, sarà possibile procedere con l’esecuzione forzata. È possibile e necessario, in tal caso, presentare in Tribunale un ricorso per decreto ingiuntivo, chiedendo al Giudice di ordinare il pagamento in proprio favore delle somme inevase riportate nell’accordo stragiudiziale. In seguito, ottenuto il decreto, anche se provvisoriamente esecutivo, sarà possibile notificare al debitore l’atto di precetto ed eventualmente quello di pignoramento. Tuttavia, l’eventualità e gli effetti di un accordo stragiudiziale tra le parti, riguarda, soprattutto, la separazione di una coppia di fatto, convivente more uxorio . A riguardo, occorre precisare, infatti, che, a differenza di quanto avviene per i coniugi, la separazione tra una coppia di fatto non necessita di alcun provvedimento. Inoltre, l’ex convivente non ha un obbligo di mantenimento verso l’altro (salvo quello degli alimenti, qualora questi versi in stato di bisogno, ma solo in caso di convivenza regolarizzata), tuttavia, in presenza di figli minori, è tenuto, in ogni caso, a contribuire al loro mantenimento ed occorre, come per i genitori sposati, regolamentarne l’affido, condiviso o meno, e tutto ciò che ne concerne. È possibile, quindi, anche stabilire, semplicemente, tra le parti, accordi verbali o, meglio, scritti. Una scrittura privata, infatti, in quanto prova delle obbligazioni reciprocamente assunte, consente, comunque, una certa tutela, in caso di inadempimento, ma non abbastanza e, comunque, come abbiamo già vsto per i coniugi, non quanto il titolo esecutivo costituito dal provvedimento giudiziale. Anche in questo caso, quindi, contro il mancato versamento dell’assegno di mantenimento concordato, in mancanza di un provvedimento giudiziale, è possibile prsentare in Tribunale un ricorso per decreto ingiuntivo, al fine di ottenere il necessario titolo esecutivo per l’esecuzione forzata. Tuttavia, anche gli ex conviventi di fatto, in alternativa ad un accordo verbale o per scrittura privata, possono, mediante apposito ricorso in Tribunale, stabilire giudizialmente la regolamentazione del regime di affidamento, mantenimento e frequentazione dei propri figli minori, disponendo così di quel provvedimento giudiziale, con valore di titolo esecutivo, necessario per accedere anch’essi a tutte le forme di tutela giuridica sin qui esaminate per gli ex coniugi. Il ricorso può essere presentato da entrambi i genitori, anche congiuntamente se sono d'accordo sulle condizioni da applicare ( ex art . 316 e 316 bis c.c .). In tal caso, è possibile anche un accordo in negoziazione assistita con i rispettivi avvocati, del tutto equiparato al provvedimento giudiziale. In ambito penale, per tutelarsi contro il mancato pagamento dell’assegno di mantenimento, innanzitutto, è possibile far riferimento all’art 570, comma 2, c.p., rubricato “violazione degli obblighi di assistenza familiare”, che punisce la mancata somministrazione dei mezzi di sussistenza a discendenti minorenni o inabili al lavoro, oltre che al coniuge e agli ascendenti. In caso di separazione, quindi, il reato si configura solo a carico dei genitori, anche se non coniugati, e solo in caso di un grave inadempimento, tale da aver generato nel minore uno stato di bisogno, privandolo dei necessari mezzi di sussistenza, indispensabili per vivere ( come il vitto, l’abitazione, il vestiario, i medicinali i canoni per le utenze indispensabili e le spese per l’istruzione ). Una maggiore tutela è, invece, garantita dal successivo art. 570 bis c.p. , rubricato “violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio” (introdotto dal Decreto Legislativo 1 marzo 2018 n. 21 e in vigore dal 6 aprile 2018), che ha esteso le pene previste dall’articolo 570 – reclusione fino a 12 mesi o la multa da 103 a 1.032 euro – al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero viola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli. Quest’ultimo periodo implica che il genitore obbligato sia responsabile anche in caso di omesso rimborso delle spese straordinarie. Quindi, diversamente dall’art. 570, comma 2, c.p. , che tutela solo il coniuge non separato ed i figli (anche nati al di fuori del matrimonio), l’art. 570 bis c.p. sanziona anche l’omesso versamento dell’assegno di mantenimento nei confronti del coniuge separato, oltre che dei figli, per giurisprudenza prevalente in materia, anche nati da genitori non sposati, ma non tra i semplici conviventi more uxorio . Prescinde, inoltre, dall’accertamento dello stato di bisogno ed il reato si configura, semplicemente, con l’omesso versamento, anche solo parzialmente, dell’assegno stabilito dal Giudice, senza alcun accertamento in ordine allo stato di bisogno, richiesto, invece, dall’art. 570, comma 2, c.p.. Entrambe le norme sono poste a tutela delle esigenze economiche ed assistenziali dei familiari, in caso di inadempimento del soggetto giuridicamente obbligato. Tuttavia, mentre l’art. 570, comma 2 c.p. tutela il più ampio diritto a ricevere, in caso di bisogno, i necessari mezzi di sussistenza dai propri familiari, pertanto, il reato si configura anche in mancanza di un provvedimento giudiziale di separazione, poichè l’obbligo di contribuire al mantenimento dei figli grava sui genitori anche in caso di separazione di fatto. L’art. 570 bis c.p. , invece, sanziona l’inadempimento dell’obbligo di natura economica stablito dal provvedimento giudiziale, in caso di separazione, divorzio o regolamentazione dell’affido e mantenimento dei figli nati al di fuori del matrimonio, da cui non si può prescindere e senza il quale la norma non consente alcuna tutela. In entrambi i casi, l’obbligato è, comunque, esente da ogni responsabilità, qualora non possa adempiere per comprovate difficoltà economiche per ragioni al medesimo non imputabili. Le norme appena esaminate sanzionano penalmente la violazione degli obblighi di natura economica, a carico dei coniugi o dei genitori, come il mancato versamento dell’assegno di mantenimento, ma non riguardano i rapporti personali del provvedimento emesso in sede di separazione, tutelati, invece, dall’art. 388, comma 2, c.p ., che sanziona quei comportamenti contrari agli interessi relativi alla educazione, alla cura ed alla custodia del minore, punendo, con la reclusione fino a tre anni o la multa da euro 103 a euro 1.032, chi elude l'esecuzione di un provvedimento del giudice civile che concerna l'affidamento di minori o di altre persone incapaci. Tra i comportamenti più ricorrenti che integrano il presente reato, ricordiamo quello consistente nel rifiuto alla consegna del figlio da parte del genitore affidatario, impedendo all’altro di vederlo e tenerlo con sé o, semplicemente, non favorendo i suoi rapporti con il minore e l’esercizio del suo diritto di visita, secondo le modalità stabilite dal giudice, salvo motivi particolarmente gravi. In conclusione : in caso di violazione delle condizioni di separazione o divorzio e affidamento dei minori, stabilite con provvedimento giudiziale, sarà possibile, procedere contro il coniuge, ex coniuge o, comunque, contro l’altro genitore inadempiente, secondo le circostanze, mediante: 1. pignoramento immediato dei suoi beni e, in particolare, dello stipendio, per il recupero degli arretrati dell’assegno di mantenimento (per recente giurisprudenza, anche di quelle spese straordinarie routinarie, certe e prevedibili, destinate ai bisogni ordinari del figlio); 2. iscrizione di ipoteca giudiziale e richiesta di versamento diretto dell’assegno di mantenimento da parte del suo datore di lavoro, ex art. 156, comma 5 e 6, c.c. e art. 8, comma 2, l. n. 898/1970 ; 3. ricorso per decreto ingiuntivo, per il recupero delle spese straordinarie stricto sensu , imprevedibili, imponderabili ed economicamente rilevanti; 4. ricorso ex art. 709 ter c.p.c., per la modifica dei provvedimenti in vigore, la condanna alle previste sanzioni e risarcimento danni, in caso di violazione delle condizioni sia economiche che personali; 5. querela per violazione degli obblighi di assistenza familiare, ex art. 570, comma 2, e 570 bis c.p. o delle modalità di affidamento di minori stabilite dal giudice, ex art. 388, comma 2, c.p.. In mancanza di un provvedimento giudiziale, sarà, comunque, possibile chiedere, mediante ricorso per decreto ingiuntivo, il rimborso degli arretrati dell’assegno di mantenimento concordato, per se o per i minori, nonché sporgere querela per violazione degli obblighi di assistenza familiare, ex art. 570, comma 2, qualora si facciano mancare i necessari mezzi di sussistenza. San Salvo, 24 novembre 2022 Avv.Vincenzo de Crescenzo

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Passaggio in giudicato della sentenza di divorzio

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PASSAGGIO IN GIUDICATO DELLA SENTENZA DI DIVORZIO La sentenza di divorzio scioglie ogni vincolo matrimoniale tra le parti ed ha efficacia, agli effetti civili, solo dopo la sua trascrizione nei registri dello stato civile del Comune dove i coniugi si sono sposati, che avviene in seguito al suo passaggio in giudicato. In genere, ogni sentenza passa in giudicato (cioè diventa definitiva) quando non è più possibile impugnarla, o perché sono stati utilizzati tutti i mezzi di impugnazione consentiti o perche sono trascorsi i termini utili per proporre l’impugnazione (trenta o sessanta giorni dalla notifica della sentenza o sei mesi dalla sua pubblicazione). Detto ciò, precisiamo che l’impugnazione di una qualsiasi sentenza è riservata alla parte soccombente (anche parzialmente soccombente), pertanto chi ha vinto la causa, vedendosi accolte tutte le richieste avanzate, non ha alcun interesse e diritto ad impugnare la sentenza. In caso di divorzio giudiziale, dove le parti sono contrapposte e formulano richieste diverse e contrastanti, essendo possibile, per la parte che risulterà soccombente, impugnare la sentenza, questa potrà essere trascritta solo in seguito al suo passaggio in giudicato. Al contrario, in caso di divorzio su ricorso congiunto delle parti, che non sono contrapposte ma concordano su ogni aspetto e condizione del divorzio, secondo l’orientamento prevalente da alcuni anni, la sentenza di accoglimento deve considerarsi già passata in giudicato subito dopo la sua pubblicazione (cioè il deposito nella cancelleria del Tribunale), senza la necessaria decorrenza dei termini, brevi o lunghi, per l’impugnazione, in quanto nessuna delle due parti può avere interesse e diritto all’impugnazione di una sentenza che ha soddisatto integralmente le richieste di entrambe. Ai fini della trascrizione di una sentenza su ricorso congiunto di divorzio dovrebbe, quindi, essere sufficiente la sua pubblicazione, senza dover attendere che sia passata in giudicato, non essendo possibile impugnarla. Per l’orientamento contrario, che ritiene il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio sempre necessario prima della sua trascrizione nei registri dello stato civile, nelle more, la sopravvenuta morte del coniuge, in ogni caso, determina la cessazione della materia del contendere, con riferimento al rapporto di coniugio e a tutti i profili economici connessi, onde l’evento della morte sortisce l’effetto di travolgere ogni pronuncia in precedenza emessa e non ancora passata in giudicato ( Cass.azione Civile, Ordinanza n. 31358/2019 ) Il divorzio sarebbe, quindi, inefficace ed il coniuge superstite risulterebbe ancora separato coservando, così, i diritti successori sul patrimonio dell’altro coniuge scomparso, quale erede legittimario. San Salvo, 01/07/2021. Avv.Vincenzo de Crescenzo

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Spese straordinarie per i figli - prescuola, doposcula e baby sitter

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SPESE STRAORDINARIE PER I FIGLI Prescuola, doposcula e baby sitter Uno degli argomenti pià dibattuti tra gli ex coniugi è, senz’altro, quello delle spese per i figli e in particolare di quelle straordinarie. Queste sono così denominate perché non prevedibili (o perché di importo eccessivo rispetto al reddito) e non rientrano tra quelle comprese nell’assegno mensile per alimenti, definite ordinarie, che sono quelle più ricorrenti, necessarie, in genere, per le sigenze principali e quotidiane dei figli (vitto, abbigliamento, cotributo per spese dell’abitazione, medicinali da banco ec. ecc.). Le innumerevoli controversie e contraddizioni che si sono avute a riguardo nel corso degli anni, in mancanza di una normativa che indicasse esattamente la dovuta ripartizione delle spese, ha indotto, negli ultimi anni, i vari Tribunali ad adottare, protocolli d’intesa con gli Ordini degli avvocati, dove vengono riportate, distintamente, in un elenco, piuttosto completo, le spese per i figli considerate ordinarie, quindi comprese nell’assegno mensile di mantenimento, e quelle considerate straordinarie, che devono, invece, essere rimborsate pro quota, di volta in volta, al genitore che le ha sostenute. I protocolli spese adottati dai Tribunali, pur prevenendo parte del contenzioso in materia, non sono sempre esattamente uguali tra loro, ma, in alcuni casi, presentano alcune differenze che possono ancora creare un po’ di confusione e, soprattutto, un’ingiusta differenza di trattamento in giudizio, in base al Giudice territorialmente competente, di casi tra loro simili. Tuttavia, il protocollo spese stilato dal CNF (Consiglio nazionale forense) è tra quelli più diffusi nei Tribunali e garantisce, quindi, la giusta identità di trattamento dei vari casi su gran parte del territorio nazionale. Le spese straordinarie indicate dal suddetto protocollo sono suddivise tra quelle obbligatorie, per cui non è richiesto il preventivo accordo dell’altro genitore (tenuto a rimborsarle pro quota), e quelle, invece, subordinate a tale accordo (benchè la giurisprudenza in materia, per lo più, ritenga legittime anche le spese eseguite senza consenso, laddove risultino, comunque, utili e necessarie per i figli). Tra le prime ricordiamo i libri scolastici, le spese sanitarie urgenti, l’acquisto di farmaci con presrizione medica e gli interventi chirurgici indifferibili. Le seconde, subordinate al consenso di entrambi i genitori, sono, a loro volta, suddivise in spese scolastiche , di natura ludica o parascolastica, sportive, medico sanitarie e per l’organizzazione di ricevimenti e festeggiamenti dedicati ai figli. Tra quelle scolastiche, in particolare, vogliamo ricordare le spese per il prescuola, doposcuola ed il servizio di baby sitting. Queste spese rientrano, secondo i casi, tra quelle ordinarie, comprese nell’assegno di mantenimento, o quelle straordinarie, extra assegno. Le spese per il prescuola ed il doposcuola sono comprese nell’assegno di mantenimento, in quanto ordinarie, allorchè siano già presenti nell’organizzazione familiare prima della separazione o conseguenti al nuovo assetto determinato dalla cessazione della convivenza, ma, in quest’ultimo caso, a condizione che si tratti di spesa sostenibile. Le spese per la baby sitter rientrano anch’esse tra le ordinarie quando erano già esistenti nell’organizzazione familiare prima della separazione. Sono considerate, invece, straordinarie laddove l’esigenza nasca con la separazione e debba coprire l’orario di lavoro del genitore che utilizza il servizio. Si evince, pertanto, come, in entrambi i casi, l’elemento discriminante, per cui ricomprendere le suddette spese tra quelle ordinarie o straordinarie, sia la circostanza che facessero già parte delle spese affrontate (anche occasionalmente, come può essere quella della baby sitter) durante la convivenza dei due genitori, ovvero, che non siano divenute necessarie a causa della separazione e del mancato contributo dell’altro genitore che, durante la convivenza, invece, avrebbe potuto evitare la spesa, occupandosi prsonalmente dei figli. Occorre, in pratica, fare un salto indietro nel tempo al periodo della convivenza dei genitori e chidersi se anche allora, nella stessa circostanza di oggi, sarebbe stato necessario ricorrere alla baby sitter o al prescuola o doposcuola per l’impossibilità dei genitori (per motivi, per lo più, di lavoro o salute) di occuparsi personalmente dei figli. In caso di risposta positiva, le relative spese saranno da considerarsi ordinarie (comprese nell’assegno di mantenimento), in quanto non potrebbero dirsi causate dalla separazione, essendo già necessarie durante la convivenza. In caso contrario, le spese dovranno, invece, considerarsi straordinarie (da rimborsarsi, pro quota, di volta in volta al coniuge che le ha eseguite), in quanto causate dalla separazione, considerato che in caso di convivenza non sarebbero state necessarie. Volendo fare un esempio pratico, se entrambi i genitori lavorano durante le medesime ore della giornata, è evidente che, sia prima che dopo la separazione, durante il loro normale orario di lavoro, possano avere la necessità, in mancanza di valide alternative, di affidare i figli ad un servizio di prescuola, doposcuola o alla baby sitter, non potendo tenerli con sé, perché entrambi impegnati. In tal caso, le spese non possono, certo, ritenersi straordinarie, ovvero causate dalla separazione, per la mancanza del sostegno da parte dell’altro genitore, che non avrebbe potuto dare comunque, neanche durante la convivenza. Essendo, quindi, spese già presenti e necessarie durante e nonostante la convivenza, sono da considearsi ordinarie e comprese, pertanto, nell’assegno di mantenimento. Se, invece, le stesse spese, si rendessero necessarie perché, ad esempio, uno dei genitori ha seri problemi di salute o deve rimanere a lavoro oltre l’orario normale, mentre l’altro, benchè libero da impegni lavorativi o altri impedimenti oggettivi (perché in ferie o ha già terminato il suo orario di lavoro), non vuole occuparsi personalmente dei figli (o non può comunque, perché, ad esempio, risiede in una città troppo distante), nè può indicare un’alternativa valida (come quella dei nonni o altri parenti disponibili), tali spese devono considerarsi straordinarie, in quanto causate dalla separazione. Infatti, se i genitori fossero ancora conviventi, quello libero tra i due, avrebbe potuto e dovuto occuparsi personalmente dei figli, essendo presente in casa. In tal caso, le spese non sono comprese nell’assegno di mantenimento, ma (debitamente documentate) devono essere rimborsate, pro quota, all’altro genitore che le ha sostenute. Gli altri due criteri di distinzione, ovvero, che si tratti di spesa sostenibile, nel primo caso, e che debba coprire l’orario di lavoro del genitore che lo utilizza, nel secondo, sono, certamente, secondari, Riguardo le spese per il prescuola ed il doposcuola, si vuole evitare che il genitore collocatario (convivente coni figli) debba accollarsi spese eccessive rispetto alle proprie possibilità economiche, certamente ridotte a seguito della separazione. Pertanto, in tal caso, tali spese sarebbero ritenute, comunque, straordinarie (per l’importo eccessivo, che impedisce di ricomprenderle nella somma dell’assegno di mantenimento). Riguardo le spese per la baby siter (che, a parere dello scrivente, sarebbero anch’esse da considerare, in ogni caso, straordinarie, laddove risultasero particolarmente alte), si vuole evitare il ricorso eccessivo a figure esterne ed estranee, nonchè ad una spesa ingiustificata, limitandola ai soli casi ritenuti limite, ovvero quando il genitore per motivi di lavoro (come di salute) non può stare con i figli ed occuparsene personalmente. In ogni altro caso, il genitore, che sia o meno il collocatario, dovrà occuparsi personalmente dei figli o ricorrere a proprie spese alla baby siter. Naturalmente, quando le spese in oggetto sono da ritenersi ordinarie, l’assegno menisile di mantenimento dovrà essere, comunque, adeguato per comprendere anch’esse nell’importo dovuto. San Salvo, 22 ottobre 2020 Avv.Vincenzo de Crescenzo

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