Responsabilita medica: non e’ penalmente responsabile il medico che ha agito secondo le linee guida anche se la condotta e’ connotata da imperizia.

Scritto da: Walter Massara - Pubblicato su IUSTLAB




Pubblicazione legale:

In tema di responsabilità penale medica, con una recente sentenza la Corte di Cassazione ha analizzato la portata effettiva della nuova causa di non punibilità introdotta con la legge Gelli (L. 24/2017).
Si ricorda che la legge Balduzzi (L. 189/2012), escludeva la responsabilità penale del medico o esercente la professione sanitaria solo in caso di colpa lieve e a condizione che egli si fosse attenuto alle linee guida o buone pratiche.
La legge n. 24/2017 (cd. “Gelli-Bianco”), riformando la disciplina, ha introdotto l’art. 590-sexies c.p., prevendendo la non punibilità del medico in caso di morte o lesioni dell’assistito qualora il medico si sia attenuto alle raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto, pur in presenza di una condotta imperita. La responsabilità penale residua comunque in caso di condotta imprudente o negligente.
La finalità della norma verte nell’evitare che i medici agiscano con costante “timore” di esser processati per fatti penalmente rilevanti.
Ebbene, la Suprema Corte con la sentenza n. 50078/2017, nell’esaminare la successione normativa ha rilevato innanzitutto che la causa di non punibilità del medico di cui all’art. 590 sexies c.p. sia applicabile anche ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore della legge Gelli e anche ai procedimenti pendenti in Cassazione.
Il caso pratico di cui la Suprema Corte si è dovuta occupare - che merita di essere sia pur in estrema sintesi ricapitolato per poter meglio comprendere poi il principio di diritto affermato - è il seguente: il giudice di primo grado aveva condannato un chirurgo per i danni cagionati alla paziente in seguito ad un intervento di chirurgia estetica, precisamente una operazione di lifting del sopracciglio, individuando la colpa nella imperizia nella concreta esecuzione dell'intervento e non nella scelta dello stesso, imperizia che aveva determinato la lesione del nervo sovra orbitario nel corso della esecuzione.
La sentenza era stata confermata in appello. I giudici di merito in entrambi i gradi di giudizio avevano escluso l’applicabilità della c.d. legge Balduzzi, avendo apprezzato, in modo assorbente, la sussistenza dei profili della colpa grave, che - come è noto - è configurabile nel caso di una deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato, ossia dell’errore inescusabile, che trova origine o nella mancata applicazione delle cognizioni generali e fondamentali attinenti alla professione o nel difetto di quel minimo di abilità e perizia tecnica nell’uso dei mezzi manuali o strumentali adoperati nell’atto operatorio e che il medico deve essere sicuro di poter gestire correttamente o, infine, nella mancanza di prudenza o di diligenza, che non devono mai difettare in chi esercita la professione sanitaria.
La Suprema Corte, pur avendo dichiarato prescritto il reato ed avendo confermato la responsabilità del chirurgo ai soli fini delle statuizioni civili - prendendo spunto dalla circostanza per cui nel caso sottoposto al suo esame il profilo di colpa è stato individuato dai giudici di merito nella imperizia nella concreta esecuzione dell’intervento e non nella scelta dello stesso - ha inteso comunque esaminare lo statuto della colpa medica in seguito alla novella intervenuta con la legge c.d. Gelli-Bianco, (L. 24 dell’8/3/2017).
In particolare, rilevato che si verte in tema di imperizia, ha affrontato il tema dell’applicabilità del novum normativo, se ritenuto più favorevole, delineando la portata della riforma e gli effetti in relazione alla fattispecie portata al suo esame.
Le premesse da cui gli “Ermellini” prendono le mosse sono due:
a) non si pone più un problema di grado della colpa, salvo casi concreti in cui la legge Balduzzi possa configurarsi come disposizione più favorevole per i reati consumatisi sotto la sua vigenza coinvolgenti profili di negligenza ed imprudenza qualificati da colpa lieve (per ultrattività del regime Balduzzi più favorevole sul punto);
b) l’esenzione della responsabilità è limitata alle sole situazioni astrattamente riconducibili alla imperizia, rimanendo escluse dalla previsione normativa le ipotesi di negligenza e di imprudenza.
Rileva altresì la Corte nel suo percorso logico argomentativo che la nuova legge introduce una causa di esclusione della punibilità per la sola imperizia la cui operatività è subordinata alla condizione che dall’esercente la professione sanitaria siano state rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge, ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico assistenziali e che dette raccomandazioni risultino adeguate alla specificità del caso concreto.
Tale risultato è stato perseguito dal legislatore [in tal senso la lettera della norma - a giudizio dei supremi giudici - non ammette equivoci] costruendo una causa di non punibilità, come tale collocata al di fuori dell’area di operatività del principio di colpevolezza: la rinuncia alla pena nei confronti del medico si giustifica nell’ottica di una scelta del legislatore di non mortificare l’iniziativa del professionista con il timore di ingiuste rappresaglie mandandolo esente da punizione per una mera valutazione di opportunità politico criminale, al fine di restituire al medico una serenità operativa così da prevenire il fenomeno della cd. “medicina difensiva”.
In questa prospettiva l’unica ipotesi di permanente rilevanza penale della imperizia sanitaria può essere individuata nell’assecondamento di linee guida che siano inadeguate alla peculiarità del caso concreto (le giudelines che la dottrina qualifica come adempimenti inopportuni); mentre non vi sono dubbi sulla non punibilità del medico che, seguendo linee guida adeguate e pertinenti pur tuttavia sia incorso in una imperita applicazione di queste (quelli che la dottrina qualifica come adempimenti imperfetti), con l’ovvia precisazione che tale imperizia non potrà imputarsi se avvenuta nel momento della scelta della linea guida - giacché non potrebbe dirsi in tal caso di essere in presenza della linea guida adeguata al caso di specie, bensì nella fase esecutiva dell’applicazione.
Ritiene la Suprema Corte che ci si trovi dinnanzi ad una scelta del legislatore - che si presume consapevole - di prevedere in relazione alla colpa per imperizia nell’esercizio della professione sanitaria un trattamento diverso e più favorevole rispetto alla colpa per negligenza o per imprudenza.
A conclusione delle considerazioni sopra sintetizzate, i giudici di legittimità, dunque, giungono ad affermare il seguente principio di diritto: il secondo comma dell'art. 590 sexies c. p., articolo introdotto dalla legge 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. legge Gelli-Bianco), prevede una causa di non punibilità dell’esercente la professione sanitaria operante, ricorrendo le condizioni previste dalla disposizione normativa (rispetto delle linee guida o, in mancanza, delle buone pratiche clinico-assistenziali, adeguate alla specificità del caso), nel solo caso di imperizia, indipendentemente dal grado della colpa, essendo compatibile il rispetto delle linee guide e delle buone pratiche con la condotta imperita nell’applicazione delle stesse.
Avv. Ruggiero Gorgoglione Avv. Walter Massara (Partners)



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Avvocato Walter Massara a Milano
Walter Massara

Avvocato - diritto condominiale , malpractice medica