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Antiriciclaggio – Banca – Importanza del censimento corretto e del relativo utilizzo del conto corrente cliente. Sent. CdA 6156/2021.

Scritto da: Andrea Iaretti - Pubblicato su IUSTLAB




Pubblicazione legale:

Il caso in disamina pone accento ancora una volta su quello che possa intendersi per periodo di decadenza per la notifica dell’infrazione.

La Corte d’Appello di Roma, in una recente sentenza, ha fornito prima di tutto un importante motivo di riflessione per quanto attiene le modalità del censimento del cliente al quale viene aperto il conto corrente. L’operatore e la Banca in solido venivano sanzionati dal Ministero, con provvedimento poi confermato dal Giudice in primo grado all’esito di ricorso ai sensi art.6 d.lgs 150/2011. La violazione contestata era quella di non aver segnalato tempestivamente all'Unità di Informazione Finanziarla la, ritenuta, anomalia circa l’operatività su conto da parte di un cliente. L’accertamento era stato condotto dagli ispettori dell’Unità di Informazione Finanziaria istituita presso la Banca d’Italia.

Nel corso dell’ispezione, veniva individuato un cliente censito dalla banca nella categoria “famiglie consumatrici”; inoltre, lo stesso cliente risultava delegato ad operare su altri conti presso la stessa filiale intestati a società di capitali. I profili di anomalia erano riscontrati relativamente all’operatività del conto personale, caratterizzati dall’utilizzo di denaro contante reputato eccessivo per un conto di tale categoria, inoltre sullo stesso venivano negoziati numerosi assegni.

L’opposizione si è fondata, in prima istanza, sulla tardività dell’avvenuta contestazione da parte degli accertatori, ai sensi dell’art. 14 della legge 689/1981. La norma di carattere generale di cui art.14 L. 689/81, prevede, al comma 2, un'ipotesi di decadenza che è collegata, in caso di mancata contestazione immediata della trasgressione, alla mancata tempestiva attivazione (mediante notificazione all'interessato) da parte dell'Autorità amministrativa a cui, in forza di altre disposizioni di legge, sia attribuita la potestà sanzionatoria, decadenza che è funzionale ad accelerare l'esercizio di tale potestà, e non l'attività di accertamento da essa presupposta. Per tale motivo, si configura la decadenza solo quando siano trascorsi i novanta giorni dal momento in cui l’Autorità procedente abbia a disposizione tutte le informazioni necessarie per procedere alla contestazione; tale termine è, pertanto, soggetto alla valutazione discrezionale del Giudice e correlato alle informazioni delle quali egli dispone. Nel caso in esame, tale eccezione è stata ritenuta infondata sia dal Tribunale che, successivamente, dalla Corte d’Appello, in quanto il protrarsi del procedimento è stato reputato necessario al fine dell’adozione della contestazione. In altri termini, la legittimità della durata degli accertamenti va valutata in relazione al caso concreto e alla complessità delle indagini, e non anche alla data di commissione della violazione, dalla quale decorre il solo termine iniziale (cinque anni) di prescrizione di cui all'art. 28 della legge 24/11/1981, n. 689. L'attività di accertamento dell'illecito non coincide con il momento in cui viene acquisito il "fatto" nella sua materialità, ma deve essere intesa come comprensiva del tempo necessario alla valutazione dei dati acquisiti e afferenti agli elementi (oggettivi e soggettivi) dell'infrazione e, quindi, della fase finale di deliberazione, correlata alla complessità delle indagini tese a riscontrare la sussistenza dell'infrazione medesima e ad acquisire la piena consapevolezza della condotta.

Per quanto attiene la seconda doglianza, la Corte conferma che le operazioni compiute sul conto corrente personale presentavano sicuramente degli indici di anomalia (caratterizzati soprattutto dall'utilizzo di denaro contante, eccessivo per un conto personale, nonché da un “vorticoso” giro di assegni tratti e versati, senza adeguata documentazione giustificativa), come previste dal così detto Decalogo della Banca d’Italia (recante una casistica esemplificativa), tali da generare l’obbligo di segnalazione di operazioni sospette, indipendentemente dal fatto che l’operazione sia con certezza di natura illecita, essendo necessario solo un giudizio di possibilità in merito alla provenienza delittuosa; questa non è solo quella relativa alla “creazione” di capitali illeciti, ma anche relativa a reati spesso meno evidenti come quelli di carattere fiscale.  

 

Secondo la Corte, il Tribunale non ha tuttavia valorizzato i documenti prodotti degli appellanti in base ai quali il soggetto analizzato, da tempo conosciuto dall’intermediario, operava in settore industriale con consistente fatturato, quale socio unico e amministratore di società con consistente e documentato fatturato, non risultando neppure gravato da eventi pregiudizievoli.

Le movimentazioni su conto personale, ben potevano riferirsi ad un’attività imprenditoriale piuttosto che personale, ma non apparivano sintomatiche di un’attività di usura né, in conseguenza, indice di riciclaggio.    

La movimentazione di assegni, sostanzialmente in equilibrio tra accrediti ed addebiti, era altro indicatore di attività imprenditoriale e non personale, potendo la fattispecie riferirsi ad illeciti di carattere fiscale volti all’evasione e all’elusione di imposte, ma non finalizzate al reimpiego di proventi di attività delittuosa.

Interessante il distinguo operato dalla Corte in questo frangente, tra quelle che possono ritenersi attività illecite perché sottendenti evasione o elusione fiscale, da quelle che debbono considerarsi invece operazioni di “riciclaggio”.

In considerazione di quanto rilevato, la Corte accoglieva pertanto l’appello e annullava il provvedimento sanzionatorio impugnato.



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Andrea Iaretti

Avvocato-Dottore commercialista. Ricorsi Antiriciclaggio