Pubblicazione legale:
Con una
importante recente sentenza, la n.8319/2021, la Corte d'appello di Roma ha
acconto in pieno le ragioni di un commercialista pesantemente sanzionato dal
MEF per mancata segnalazione operazioni sospette.
Senza entrare nel merito della vicenda, qui interessa porre accento sulla dirimente
peculiarità colta dalla CdA, posta a fondamento della decisione.
Il primo
giudice aveva respinto le eccezioni di decadenza e di prescrizione e, nel
merito, ritenne che le operazioni non segnalate fossero oggettivamente sospette
per l'ingente movimentazione di denaro.
Il Tribunale della capitale, tuttavia, ritenne di ridimensionare notevolmente
le pretese del Ministero, riqualificando la violazione e stabilendo la sanzione
di 3.000,00 euro come previsto dall'art.58 c.1 d.lgs. 231/2007, al posto di
quella prevista dal comma secondo dello stesso articolo. Il
Ministero proponeva allora appello, domandando l'applicazione del massimo
della sanzione pari a 300.000,00 euro; questo in quanto contestava
l'elevato grado di responsabilità del presunto colpevole e l'ingente mole dei
valori movimentati che confermavano, nel complesso, la gravità della
violazione, la quale, pertanto, avrebbe meritato il massimo della sanzione.
L'appellato ne
ha di conseguenza richiesto il rigetto nel merito per le motivazioni già
espresse in primo grado e in via subordinata, con appello incidentale, ha
domandato la riforma della sentenza in senso a sé completamente favorevole,
ossia la correzione della stessa con annullamento in toto dell’opposto
decreto, con condanna del Ministero alle spese relative ai due gradi di
giudizio.
Il caso è di particolare interesse in quanto si occupa dell'intervenuta
decadenza del potere di emettere l'ordinanza ingiunzione motivo, talvolta,
foriero di possibili soddisfazioni da parte dei soggetti sanzionati.
Il professionista sosteneva che l'accertamento della violazione si fosse
perfezionato dalla data della sua escussione a sommarie informazioni e di
acquisizione documentale presso il suo studio, od al più nel momento,
successivo, nel quale venne acquisita altra documentazione sempre presso il suo
studio professionale o, in ultima ipotesi, dalla data di autorizzazione
dell'A.G. all'utilizzo a fini amministrativi dei dati e documenti in tal modo acquisiti.
Tutti elementi dai quali emergevano con chiarezza le contestazioni poi
formalmente mosse al professionista nel processo verbale di contestazione della
Guardia di finanza, notificato solo oltre il termine decadenziale di legge di
giorni novanta, previsto dall'art.14 L.689/81.
Dirimente il fatto che tutti gli accertamenti svolti in epoca successiva
riguardarono fatti del tutto diversi da quelli poi a lui contestati.
Pertanto, la
CdA ha ritenuto che le "verifiche successive non potevano in alcun modo
essere qualificate come prodromiche alla contestazione mossa al professionista,
avendo avuto ad oggetto fatti e comportamenti diversi dalle condotte illecite
ascritte a quest'ultimo, che la controparte ha tentato surrettiziamente di
introdurre".
"Tutte le successive attività d'indagine ed accertamento concernevano
fatti differenti dall'omessa segnalazione delle operazioni sospette ad opera
del commercialista".
Se è vero che
l'obbligo di segnalazione è svincolato dalla consapevolezza dell'illecito ma è
connesso al solo sospetto secondo la normale diligenza professionale e a
specifici indici, è anche vero che all'accertamento dell'illecito da segnalare
sono estranee le attività, avvenute successivamente (oltre il termine dei 90 gg),
volte alla repressione di illeciti penali ascrivibili ai soggetti la cui
operatività, di per sé, doveva ingenerare quel sospetto e quindi far scattare
l'obbligo della segnalazione.
La Corte rileva
che non era necessaria l'acquisizione di ulteriori atti per avere una visione
più completa delle condotte oggetto di contestazione.
Il termine di
90 giorni decorreva dalla ricezione del nulla osta dell’autorità
giudiziaria all’utilizzo della documentazione già acquisita ai fini del
procedimento amministrativo sanzionatorio, è da quella data che andava fatto
decorrere il termine di decadenza di 90 giorni, in assenza dell’allegazione di
ulteriori attività di accertamento rivolte allo specifico illecito
amministrativo dell’omessa segnalazione delle operazioni sospette.
Con il nulla osta dell’autorità giudiziaria, viene meno ogni esigenza di
segretezza degli atti, quindi pienamente spendibili per la repressione
dell’illecito accertato.
Per tali
motivi, in accoglimento dell’appello incidentale ed in riforma della sentenza
impugnata, la CdA dapprima accoglie l’opposizione e per l’effetto annulla il
decreto del Ministero, poi condanna lo stesso al risarcimento delle spese
dei due gradi di giudizio.
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