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Avvocato Andrea Iaretti a Gattinara

Andrea Iaretti

Avvocato-Dottore commercialista. Ricorsi Antiriciclaggio

Informazioni generali

Sono Andrea Iaretti, Avvocato, Dottore commercialista, Rev. legale, Giornalista. Mi occupo principalmente di consulenze e contenziosi a favore di imprese e lavoratori autonomi; in modo particolare quelli afferenti la normativa ANTIRICICLAGGIO: MEMORIE difensive al MEF, RICORSI avanti Trib. Roma. Tramite e-mail potrai presentarmi il tuo problema, per quanto possibile in modo dettagliato; ove lo ritenessi di mia competenza e nei limiti dei miei impegni professionali, ti risponderò rapidamente e, in seguito, ti farò sapere se posso aiutarti, quali vantaggi potresti trarre dalla mia consulenza ed i relativi costi. Opero in tutta Italia.

Esperienza


Edilizia ed urbanistica

Il comparto edile ha subito, negli ultimi anni, una serie di riforme burocratiche che ne hanno disorientato in modo indiscutibile le abitudini tradizionali di lavoro. Da ultimo, l’introduzione del “Durc di congruità” ha notevolmente aggravato il carico di adempimenti necessari e richiesti anche ad imprese di modeste dimensioni, costrette a dedicarsi con costanza a monitorare il portale di riferimento, Edilconnect, non sempre di semplice interpretazione ove l’impresa non sia dotata di un idoneo ufficio tecnico. La patente a punti, infine, ha ulteriormente complicato l'attività delle imprese edili. Mi occupo di tutti questi problemi.


Antiriciclaggio

Conteziosi e ricorsi sia di carattere amministrativo che dinnanzi al tribunale civile, principalmente a favore di soggetti obbligati ad osservare le norme antiriciclaggio: commercialisti, consulenti del lavoro, notai, contabili, banche, per contestazioni circa violazioni relative al d.lgs. 231/2007; regole tecniche, linee guida, titolarità effettiva, segnalazione operazioni sospette. Rapporto tra norma sanzionatoria antiriciclaggio e L. 689/81. I ricorsi in tali materie hanno tempi stringenti, necessitano di molto studio relativamente al singolo caso per essere affrontati al meglio, essere tempestivi risulta perciò essenziale.


Previdenza

Riqualificazione "collaborazioni" di lavoro non "genuine" in rapporto di lavoro "dipendente", con tutti i notevoli vantaggi conseguenti: co.co.co., partita iva, occasionale, ecc. ecc. a lavoro subordinato, spesso celato in modo approssimativo e non corrispondente alla realtà. Avendo analizzato svariati rapporti di lavoro con tutte le formule contrattuali, sono nella facoltà di comprenderne le peculiarità e le eventuali anomalie. Ho trattato con soddisfazione tali contenziosi, prediligendo la trattativa stragiudiziale, in questi casi più rapida e non meno soddisfacente di quella giudiziale.


Altre categorie

Eredità e successioni, Diritto del lavoro, Fallimento e proc. concorsuali, Diritto commerciale e societario, Risarcimento danni, Diritto assicurativo, Incidenti stradali, Malasanità e responsabilità medica.



Credenziali

Pubblicazione legale

Antiriciclaggio - Dottore Commercialista - Decadenza e prescrizione. Sent. CdA 8319/2021

Pubblicato su IUSTLAB

Con una importante recente sentenza, la n.8319/2021, la Corte d'appello di Roma ha acconto in pieno le ragioni di un commercialista pesantemente sanzionato dal MEF per mancata segnalazione operazioni sospette. Senza entrare nel merito della vicenda, qui interessa porre accento sulla dirimente peculiarità colta dalla CdA, posta a fondamento della decisione. Il primo giudice aveva respinto le eccezioni di decadenza e di prescrizione e, nel merito, ritenne che le operazioni non segnalate fossero oggettivamente sospette per l'ingente movimentazione di denaro. Il Tribunale della capitale, tuttavia, ritenne di ridimensionare notevolmente le pretese del Ministero, riqualificando la violazione e stabilendo la sanzione di 3.000,00 euro come previsto dall'art.58 c.1 d.lgs. 231/2007, al posto di quella prevista dal comma secondo dello stesso articolo. Il Ministero proponeva allora appello, domandando l'applicazione del massimo della sanzione pari a 300.000,00 euro; questo in quanto contestava l'elevato grado di responsabilità del presunto colpevole e l'ingente mole dei valori movimentati che confermavano, nel complesso, la gravità della violazione, la quale, pertanto, avrebbe meritato il massimo della sanzione. L'appellato ne ha di conseguenza richiesto il rigetto nel merito per le motivazioni già espresse in primo grado e in via subordinata, con appello incidentale, ha domandato la riforma della sentenza in senso a sé completamente favorevole, ossia la correzione della stessa con annullamento in toto dell’opposto decreto, con condanna del Ministero alle spese relative ai due gradi di giudizio. Il caso è di particolare interesse in quanto si occupa dell'intervenuta decadenza del potere di emettere l'ordinanza ingiunzione motivo, talvolta, foriero di possibili soddisfazioni da parte dei soggetti sanzionati. Il professionista sosteneva che l'accertamento della violazione si fosse perfezionato dalla data della sua escussione a sommarie informazioni e di acquisizione documentale presso il suo studio, od al più nel momento, successivo, nel quale venne acquisita altra documentazione sempre presso il suo studio professionale o, in ultima ipotesi, dalla data di autorizzazione dell'A.G. all'utilizzo a fini amministrativi dei dati e documenti in tal modo acquisiti. Tutti elementi dai quali emergevano con chiarezza le contestazioni poi formalmente mosse al professionista nel processo verbale di contestazione della Guardia di finanza, notificato solo oltre il termine decadenziale di legge di giorni novanta, previsto dall'art.14 L.689/81. Dirimente il fatto che tutti gli accertamenti svolti in epoca successiva riguardarono fatti del tutto diversi da quelli poi a lui contestati. Pertanto, la CdA ha ritenuto che le "verifiche successive non potevano in alcun modo essere qualificate come prodromiche alla contestazione mossa al professionista, avendo avuto ad oggetto fatti e comportamenti diversi dalle condotte illecite ascritte a quest'ultimo, che la controparte ha tentato surrettiziamente di introdurre". "Tutte le successive attività d'indagine ed accertamento concernevano fatti differenti dall'omessa segnalazione delle operazioni sospette ad opera del commercialista". Se è vero che l'obbligo di segnalazione è svincolato dalla consapevolezza dell'illecito ma è connesso al solo sospetto secondo la normale diligenza professionale e a specifici indici, è anche vero che all'accertamento dell'illecito da segnalare sono estranee le attività, avvenute successivamente (oltre il termine dei 90 gg), volte alla repressione di illeciti penali ascrivibili ai soggetti la cui operatività, di per sé, doveva ingenerare quel sospetto e quindi far scattare l'obbligo della segnalazione. La Corte rileva che non era necessaria l'acquisizione di ulteriori atti per avere una visione più completa delle condotte oggetto di contestazione. Il termine di 90 giorni decorreva dalla ricezione del nulla osta dell’autorità giudiziaria all’utilizzo della documentazione già acquisita ai fini del procedimento amministrativo sanzionatorio, è da quella data che andava fatto decorrere il termine di decadenza di 90 giorni, in assenza dell’allegazione di ulteriori attività di accertamento rivolte allo specifico illecito amministrativo dell’omessa segnalazione delle operazioni sospette. Con il nulla osta dell’autorità giudiziaria, viene meno ogni esigenza di segretezza degli atti, quindi pienamente spendibili per la repressione dell’illecito accertato. Per tali motivi, in accoglimento dell’appello incidentale ed in riforma della sentenza impugnata, la CdA dapprima accoglie l’opposizione e per l’effetto annulla il decreto del Ministero, poi condanna lo stesso al risarcimento delle spese dei due gradi di giudizio.

Pubblicazione legale

Antiriciclaggio – Banca – Importanza del censimento corretto e del relativo utilizzo del conto corrente cliente. Sent. CdA 6156/2021.

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Il caso in disamina pone accento ancora una volta su quello che possa intendersi per periodo di decadenza per la notifica dell’infrazione. La Corte d’Appello di Roma, in una recente sentenza, ha fornito prima di tutto un importante motivo di riflessione per quanto attiene le modalità del censimento del cliente al quale viene aperto il conto corrente. L’operatore e la Banca in solido venivano sanzionati dal Ministero, con provvedimento poi confermato dal Giudice in primo grado all’esito di ricorso ai sensi art.6 d.lgs 150/2011. La violazione contestata era quella di non aver s e gn a lato temp e s t i v a mente a l l 'Unità di I n f o r ma z ione Fi nan zi a r la la, ritenuta, anomalia circa l’ope r a t i vi t à su conto da parte di un cliente. L’accertamento era stato condotto dagli ispettori dell’Unità di Informazione Finanziaria istituita presso la Banca d’Italia. Nel corso dell’ispezione, veniva individuato un cliente censito dalla banca nella categoria “ famiglie consumatrici ”; inoltre, lo stesso cliente risultava delegato ad operare su altri conti presso la stessa filiale intestati a società di capitali. I profili di anomalia erano riscontrati relativamente all’operatività del conto personale, caratterizzati dall’utilizzo di denaro contante reputato eccessivo per un conto di tale categoria, inoltre sullo stesso venivano negoziati numerosi assegni. L’opposizione si è fondata, in prima istanza, sulla tardività dell’avvenuta contestazione da parte degli accertatori, ai sensi dell’art. 14 della legge 689/1981. La norma di carattere generale di cui art.14 L. 689/81, prevede, al comma 2, un'ipotesi di decadenza che è collegata, in caso di mancata contestazione immediata della trasgressione, alla mancata tempestiva attivazione (mediante notificazione all'interessato) da parte dell'Autorità amministrativa a cui, in forza di altre disposizioni di legge, sia attribuita la potestà sanzionatoria, decadenza che è funzionale ad accelerare l'esercizio di tale potestà, e non l'attività di accertamento da essa presupposta . Per tale motivo, si configura la decadenza solo quando siano trascorsi i novanta giorni dal momento in cui l’Autorità procedente abbia a disposizione tutte le informazioni necessarie per procedere alla contestazione; tale termine è, pertanto, soggetto alla valutazione discrezionale del Giudice e correlato alle informazioni delle quali egli dispone. Nel caso in esame, tale eccezione è stata ritenuta infondata sia dal Tribunale che, successivamente, dalla Corte d’Appello, in quanto il protrarsi del procedimento è stato reputato necessario al fine dell’adozione della contestazione. In altri termini, la legittimità della durata degli accertamenti va valutata in relazione al caso concreto e alla complessità delle indagini, e non anche alla data di commissione della violazione, dalla quale decorre il solo termine iniziale (cinque anni) di prescrizione di cui all'art. 28 della legge 24/11/1981, n. 689. L'attività di accertamento dell'illecito non coincide con il momento in cui viene acquisito il "fatto" nella sua materialità , ma deve essere intesa come comprensiva del tempo necessario alla valutazione dei dati acquisiti e afferenti agli elementi (oggettivi e soggettivi) dell'infrazione e, quindi, della fase finale di deliberazione, correlata alla complessità delle indagini tese a riscontrare la sussistenza dell'infrazione medesima e ad acquisire la piena consapevolezza della condotta. Per quanto attiene la seconda doglianza, la Corte conferma che le operazioni compiute sul conto corrente personale presentavano sicuramente degli indici di anomalia (caratterizzati soprattutto dall'utilizzo di denaro contante, eccessivo per un conto personale, nonché da un “vorticoso” giro di assegni tratti e versati, senza adeguata documentazione giustificativa), come previste dal così detto Decalogo della Banca d’Italia (recante una casistica esemplificativa), tali da generare l’obbligo di segnalazione di operazioni sospette, indipendentemente dal fatto che l’operazione sia con certezza di natura illecita, essendo necessario solo un giudizio di possibilità in merito alla provenienza delittuosa; questa non è solo quella relativa alla “creazione” di capitali illeciti, ma anche relativa a reati spesso meno evidenti come quelli di carattere fiscale. Secondo la Corte, il Tribunale non ha tuttavia valorizzato i documenti prodotti degli appellanti in base ai quali il soggetto analizzato, da tempo conosciuto dall’intermediario, operava in settore industriale con consistente fatturato, quale socio unico e amministratore di società con consistente e documentato fatturato, non risultando neppure gravato da eventi pregiudizievoli. Le movimentazioni su conto personale, ben potevano riferirsi ad un’attività imprenditoriale piuttosto che personale, ma non apparivano sintomatiche di un’attività di usura né, in conseguenza, indice di riciclaggio. La movimentazione di assegni, sostanzialmente in equilibrio tra accrediti ed addebiti, era altro indicatore di attività imprenditoriale e non personale, potendo la fattispecie riferirsi ad illeciti di carattere fiscale volti all’evasione e all’elusione di imposte, ma non finalizzate al reimpiego di proventi di attività delittuosa. Interessante il distinguo operato dalla Corte in questo frangente, tra quelle che possono ritenersi attività illecite perché sottendenti evasione o elusione fiscale, da quelle che debbono considerarsi invece operazioni di “riciclaggio”. In considerazione di quanto rilevato, la Corte accoglieva pertanto l’appello e annullava il provvedimento sanzionatorio impugnato.

Pubblicazione legale

Antiriciclaggio - Dottore commercialista- irregolarità nella tenuta della contabilità - segnalazione operazione sospetta. Sent. Trib. 20416/2018.

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Il Tribunale della capitale si è espresso con Sent. 20416/2018 nei confronti di un decreto sanzionatorio emesso nei confronti di un Dottore commercialista, sanzionato per omessa segnalazione di operazione sospetta. L'accertamento, eseguito come al solito per questa categoria di professionisti dalla Guardia di Finanza - Nucleo di Polizia Tributaria (attivato dall’UIF) presso il suo studio, era finalizzato alla verifica della corretta e puntuale osservanza degli obblighi e dei divieti sanciti dal d.lgs. 231/2007, in modo particolare nello svolgimento del servizio di tenuta delle scritture contabili ad aziende della sua zona, tra le quali ne era stata individuata una in modo specifico, da probabili indagini svolte in precedenza dai militari. L'analisi della documentazione contabile di tale società evidenziava che il professionista, nell'espletare il suo servizio relativo alla tenuta dei libri contabili, con conseguente registrazione sugli stessi degli accadimenti aziendali, contabilizzava nel conto di mastro denominato "cassa", tra l’altro, una serie di operazioni che gli operanti giudicavano palesemente anomale rispetto ad una corretta e usuale contabilità. In modo particolare gli operanti verbalizzavano che, ovviamente, non era nella natura del conto "cassa" registrare saldi negativi, mentre nel caso in disamina esso esponeva saldi negativi persistenti nel tempo e di importo rilevante. Inoltre, erano contabilizzati ingenti incassi da clienti e pagamenti di fornitori tutti concentrati nelle stesse date. In altro periodo di osservazione, il conto incassi presentava contabilizzazioni giornaliere con una notevole, anomala, media di registrazioni per pagina di giornale. Erano presenti altresì operazioni riferibili ai medesimi interlocutori, annotate in pari data e con modalità la cui evidenza era quella di voler occultare pagamenti in denaro contante di importo superiore alla soglia prevista dalla normativa antiriciclaggio. Il professionista giustificava le anomalie in quanto dovute a giroconti tra le partite di cassa e banca; giustificava inoltre la superficialità del suo operato con il fatto che il cliente si era dimostrato spesso restio a fornire la documentazione necessaria alle registrazioni contabili, e proprio per tale motivo era stato costretto ad inviare diversi, documentati, solleciti scritti. I militari, ritenendo la vicenda meritevole di SOS, procedevano alla contestazione di tale infrazione nel PVC, al quale faceva ovviamente seguito il relativo decreto sanzionatorio emesso dal Ministero. Nel successivo ricorso, il commercialista sollevò una serie di eccezioni, in sintesi: intervenuta prescrizione (non oggetto della presente analisi, in quanto poi eccezione non accolta dal Tribunale); errata applicazione di norme, infondatezza delle contestazioni ed indeterminatezza delle stesse in ordine alla presunta violazione dell’obbligo di SOS; esistenza di vizi del provvedimento sanzionatorio; il ricorso proseguiva con l'eccezione che la formulazione del decreto ministeriale si limitava a ripetere le contestazioni della Guardia di finanza che non coglievano nel segno, non evidenziando in modo sufficiente le ragioni per le quali il ricorrente avrebbe dovuto sospettare il sussistere di quale si volesse fenomeno di riciclaggio, limitandosi a riportare in modo acritico e generico la presunta mera ricorrenza di taluni indicatori di anomalia, di per sé non sufficienti per individuare e segnalare operazioni presunte sospette. Il Tribunale coglieva l’essenza della questione nel fatto che le annotazioni contabili, seppure non eseguite con precisione ma alquanto superficialmente, non potevano qualificare come "operatività sospetta” quella della quale il commercialista aveva l’incarico di elaborazione; i militari avrebbero preteso di fornire una motivazione priva di logica: la supposta giustificazione del sospetto in seguito a contabilità non tenuta a regola d’arte, diventava essa stessa operazione sospetta di riciclaggio; prendeva quindi sostanza, a parere del Giudice, l’impossibilità di comprendere il nesso di causalità esistente tra ciò che doveva venire segnalato e i motivi per cui tali accadimenti sarebbero dovuti essere stati segnalati; l’insussistenza dei “motivi ragionevoli per sospettare”, in quanto una tenuta non regolare della contabilità non poteva generare il sospetto di fenomeni di riciclaggio, ma solo l'esistenza di illeciti amministrativi non concernenti la normativa antiriciclaggio. Il riferimento dei militari, effettivamente, per sostanziare l'asserita omessa segnalazione, faceva esclusivo riferimento a irregolari "annotazioni contabili" e non all’operazione o alle operazioni eventualmente oggetto della prestazione professionale ritenute sospette (queste, si, che avrebbero dovuto essere oggetto dell’obbligo di adeguata verifica da parte del professionista). Le registrazioni, più o meno corrette, erano “rappresentazioni” in un linguaggio economico aziendale dei flussi economici e finanziari dell’azienda. Il Tribunale non condivise la tesi dell'opposizione ministeriale, in quanto il carattere ampio della formulazione della norma impone di ritenere che il legislatore abbia inteso prevedere l'obbligo di effettuare la SOS all’unica condizione che i destinatari del precetto siano venuti a conoscenza dell’operazione in virtù del proprio lavoro, senza precisare e distinguere se le operazioni sospette siano quelle che essi hanno cooperato a porre in essere (o abbiano posto in essere direttamente per conto del cliente) da quelle in cui essi siano comunque venuti a conoscenza in conseguenza dell’espletamento del loro mandato. Il commercialista ha l’obbligo di segnalare operazioni sospette a prescindere da ogni indagine circa l’effettiva consistenza dei sospetti. Il Tribunale, in definitiva, nell’esercizio del suo potere discrezionale collegato alla scelta dalla sanzione tra minimo e massimo, dedotto: 1- considerando la ridotta offensività della condotta connessa alla contestata omissione dalla SOS, la cui eventuale necessità sarebbe stata identificabile ove le scritture contabili fossero state tenute correttamente; 2- la non provata partecipazione psichica del professionista; 3- il mancato emergere di contestazioni criminose di riciclaggio anche nei confronti del cliente; In parziale accoglimento del ricorso, ha ritenuto di ridimensionare la sanzione originariamente applicata dal Ministero.

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