Se c'è un elemento che ha reso la navigazione web un percorso a ostacoli negli ultimi anni, è l'onnipresente banner dei cookie.
Tuttavia, il 2025 potrebbe segnare la fine di questa "fatica da consenso". La Commissione Europea, attraverso il pacchetto "Digital Omnibus", sta spingendo verso una rivoluzione tecnica che noi professionisti della privacy, specialmente quelli con un background informatico, attendevamo da tempo: il consenso centralizzato a livello di browser.
L'idea è tecnicamente elegante quanto giuridicamente complessa: spostare la scelta dell'utente dal singolo sito alle impostazioni del software di navigazione (Chrome, Firefox, Safari).
Immaginate di settare una volta per tutte la vostra "Privacy Preference" e lasciare che il browser invii automaticamente un segnale (una sorta di evoluzione del vecchio Do Not Track) a ogni server che contattate. Per le aziende, questo significa dover riscrivere l'architettura dei propri siti web per "ascoltare" questi segnali automatizzati anziché bloccare l'utente con pop-up invasivi. Dal punto di vista della compliance, la sfida sarà dimostrare che quel segnale tecnico corrisponda davvero a un consenso "informato e inequivocabile" ex art. 4 GDPR, e non a una spunta messa distrattamente durante l'installazione del browser.
Ma la vera tempesta perfetta del 2025 si gioca su un altro fronte: l'addestramento dell'Intelligenza Artificiale. Le nuove proposte normative sembrano aprire alla possibilità di utilizzare dati personali per il training dei modelli AI basandosi sul "legittimo interesse" anziché sul consenso esplicito.
Questo è un cambio di paradigma radicale che mette noi consulenti privacy di fronte a un dilemma operativo: come si bilancia il legittimo interesse di una Big Tech ad addestrare un LLM (Large Language Model) con il diritto all'oblio dell'utente, se i suoi dati sono ormai "fusi" nei pesi sinaptici di una rete neurale e non sono più estraibili?
Inoltre, il Garante Privacy continua a sanzionare severamente la raccolta di consensi "a strascico" per finalità di marketing eterogenee. La recente giurisprudenza amministrativa conferma che un database costruito con consensi generici è, di fatto, un asset aziendale "tossico", inutilizzabile e passibile di sanzioni milionarie.
In questo scenario, il ruolo del DPO cambia pelle. Non è più il burocrate che aggiorna il registro dei trattamenti, ma diventa un auditor tecnico che deve sedersi al tavolo con gli sviluppatori. Deve capire se l'API che collega il CRM al sito web sta trasferendo dati in chiaro, se il "consenso one-click" è implementato correttamente nel codice JavaScript e se i log di sistema sono a prova di ispezione. La privacy del 2025 non si scriverà più (solo) nelle informative legali, ma direttamente nell'architettura del software.