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IL COVID ENTRA IN CARCERE ….. MA STA STRETTO
Pubblicato su IUSTLAB
Come immaginabile e, purtroppo,
temibile, il Coronavirus ha varcato le porte dei penitenziari italiani già atavicamente
alla prese con il problema del sovraffollamento contagiando e mietendo vittime
tra i detenuti e il personale sanitario e di polizia.
È il caso di ricordare, al fine
di rendere più chiara la natura del fenomeno, che la popolazione carceraria
ammonta, da ultime stime, a 57.590 unità - a fronte di un'effettività di posti
non superiore a 48.000 - e che un terzo dei detenuti sono in attesa di
giudizio, pertanto, in regime di custodia cautelare.
Già ha destato scalpore come, a
ridosso dell'esplosione della pandemia nel nostro paese, siano stati effettuati
una serie di trasferimenti di ospiti intra
moenia senza un preventivo screening anti Covid.
L'arrivo della pandemia vera e
propria, pertanto, ha amplificato il citato problema tanto che in data 04
aprile u.s., il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, Giovanni Salvi,
in assenza di disposizioni normative provenienti dal Governo chiaramente e
immediatamente attuabili, aveva invitato i P.G. presso le Corti d'appello
d'Italia, tramite delle linee guida raccolte in 18 pagine di documento, ad
intervenire per ridurre il sovraffollamento carcerario costituente uno dei
primi fattori accelerativi della diffusione del virus stante l'impossibilità, allo
stato, di mantenere nelle anguste celle il previsto “distanziamento sociale” di
almeno un metro.
Allo stesso modo, si
sollecitava la magistratura inquirente, nella richiesta di misure custodiali, a
tenere - nel bilanciamento delle diverse esigenze - in debita considerazione il
principio della tutela della salute pubblica.
Si è, pertanto, maggiormente
sensibilizzata l'applicazione di quel principio normativizzato nel codice di
rito per cui la custodia cautelare in carcere deve rimanere una “extrema
ratio”, dovendosi preferire misure alternative come gli arresti
domiciliari. Andrebbero, inoltre, arginate in questo periodo, da parte dei pubblici
ministeri le richieste di applicazione del carcere preventivo, procrastinando
l’esecuzione delle ordinanze di custodia già emesse.
Principi, questi, che hanno
trovato l'assenso anche del procuratore capo presso la Procura della Repubblica
di Milano, del Dr. Santi Consolo, magistrato già direttore del DAP, del mondo
dell'avvocatura penalistica con le illustri opinioni degli Avv.ti Gian Domenico
Caiazza e Beniamino Migliucci oltre ad essere il monito del Santo Padre nelle ultime
celebrazioni pasquali.
Ma lo stato dell'arte è lungi
dal trovare un'adeguata risposta ai problemi; è stato, purtroppo, necessario
scomodare la CEDU (Corte Europea dei Diritti dell'Uomo) da parte di un detenuto
presso il penitenziario di Vicenza il quale si è rivolto all'organismo
comunitario di tutela dei diritti umani giacchè l'angusto spazio della cella
nella quale è detenuto impedisce, di fatto, l'adeguato distanziamento sociale e
quindi favorisce la diffusione del virus.
Il sovraffollamento delle
carceri italiane, però, è atavico e cronico e la soluzione a tal problema
richiederebbe l'adozione di provvedimenti di scarcerazione - quanto meno in
favore di coloro prossimi al fine pena che lasciando gli istituti potrebbero
far calare il numero dei prigionieri e, di conseguenza, aumentarne gli spazi
vitali - oltre che "coraggiosi" provvedimenti di indulto e di amnistia.
Per tale motivo, la CEDU ha
formalmente chiesto al Governo Italiano, in persona dell'ex dj Bonafede,
attuale ministro alla Giustizia, quali siano le modalità con cui lo Stato
Italiano intenda attuare il distanziamento sociale in carcere misura, questa,
utile per evitare che i penitenziari italiani diventino delle bombe
batteriologiche e sociali.
Non è dato sapere cosa abbia
risposto il ministero di Via Arenula; tuttavia le istituzioni ritengono di
risolvere la vicenda adottando un numero di braccialetti elettronici - cinquemila
- insufficienti a risolvere il problema alla luce del fatto che l'esubero dei
detenuti è pari almeno al doppio.
Fa riflettere la circostanza,
poi, per cui il Parlamento di un paese meno democratico del Nostro, ovvero la
Turchia di Erdogan, abbia provveduto alla messa in libertà di novantamila
detenuti eccezion fatta per quelli condannati per i reati più gravi.
Utile sarebbe stata, a supplire
il vuoto normativo, una maggiore flessibilità da parte dei Tribunali di
Sorveglianza che, spesso, hanno respinto le istanze di sostituzione della
detenzione carceraria con formule di stile ricorrendo alla mai doma
inammissibilità salvo qualche illuminato magistrato meneghino che ha provveduto
anche a scomode "scarcerazioni".
Il timore, pertanto, è che
sconfitto e/o contenuto il virus dei "liberi" si debba affrontare il
dramma dei detenuti con gli inevitabili risvolti batteriologici e sociali se
solo si pensa che i "rivoltosi" di San Vittore sono stati
adeguatamente redarguiti dagli agenti in tenuta antisommossa con modalità
alquanto censurabili.
Il tutto con buona pace dei
principi della CEDU per la cui violazione si intravede una ennesima procedura
sanzionatoria a carico del Nostro paese.