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Avvocato Claudio Baleani a Macerata

Claudio Baleani

Amministrativo (appalti, ambiente, cave, urbanistica e edilizia, ecc) lavoro

Informazioni generali

•Area di specializzazione •Esperienza concreta in tale area (anni, numero e tipologia di casi, risultati – se applicabile) •La tipologia di clienti per cui lavori (persone, imprese, dimensioni, località) Svolgo l'attività professionale da oltre 30 anni. Mi sono occupato di diritto amministrativo per appalti, gestione delle risorse ittiche, discariche e rifiuti, urbanistica ed edilizia (ecc.), ma anche di impiego pubblico e privato oltre che di penale connesso e processi contabili (Corte dei Conti). Ampia esperienza su società partecipate. Assistere il cliente, proteggerlo, anche da sé stesso (è meglio prevenire che curare).

Esperienza


Diritto amministrativo

E' la materia che ho praticato da sempre


Appalti pubblici

Appalti di servizi e lavori.


Edilizia ed urbanistica

Piano Regolatore, edilizia, abusi


Altre categorie

Diritto ambientale, Diritto del lavoro, Ricorso al TAR, Licenziamento, Incidenti stradali, Diritto civile, Recupero crediti, Contratti, Mobbing, Sicurezza ed infortuni sul lavoro, Arbitrato, Cassazione.



Credenziali

Pubblicazione legale

Gli ondeggiamenti della pubblica amministrazione quanto alle dimissioni. Prospettive.

Pubblicato su IUSTLAB

Si propone un breve commento alla sentenza n. 209/2016 del Tribunale di Venezia. Con la pronuncia in questione è stato accolto il ricorso di Vittorio Sgarbi (la cui notizia è di dominio pubblico perché pubblicata sui giornali) col quale è stato impugnato il provvedimento del direttore generale del Ministero Beni Culturali (MIBAC) 12.12.2014 che dichiarava il ricorrente cessato dall'impiego presso la Sopraintendenza ai beni culturali e artistici di Venezia, Padova, Belluno e Treviso per dimissioni. Nella controversia è risultata decisiva l'incertezza quanto alla validità delle dimissioni. Esse sono state presentate al Ministro e rigettate dal superiore del ricorrente per essere successivamente accolte dal direttore generale del Ministero, allorché il primo rigetto avrebbe determinato la necessità di una nuova esternazione di volontà, mai avvenuta. Il punto di interesse della decisione è allorché essa invece rigetta la domanda con la quale si chiedeva la declaratoria di nullità delle dimissioni per contrarietà alla Legge n. 92/2012 detta “Fornero”. La normativa prevede(va) un complesso iter per la formazione delle dimissioni che nel caso di specie non era stato seguito. Il punto in controversia è se la norma fosse applicabile al lavoro all'impiego presso la PA oppure fosse di limitata efficacia al solo impiego privato. La questione agitata nel processo non ha sortito effetti nell'ordinamento perché la legge Fornero, per la parte sulle dimissioni, è stata superata e abrogata da altre leggi. Tuttavia appare significativo il fatto che nei rapporti di lavoro si assiste ad un fenomeno di riviviscenza dell'ordinamento pregresso al DLvo che ha mutato la giurisdizione del pubblico impiego. A fronte di una norma del DLvo 29/93 (poi recepita nel successivi DLvi) che riconduce il rapporto di lavoro presso la PA al giudice ordinario, imponendo anche a quei rapporti le stesse norme del lavoro presso le imprese, continua il legislatore a distinguere, anche in linea di principio, il lavoro presso la PA da quello privato, pur in assenza di ragioni di specialità. A parere dello scrivente si tratta di un caso in cui il passato non vuol passare. A distanza di quasi 30 anni dalla riforma del pubblico impiego potrebbe essere necessario un ripensamento della materia che conduca a soluzioni più chiare. Tenuto conto che gli atti amministrativi denominati di macrorganizzazione, nella costante giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Cassazione, sono restati nella cognizione del giudice amministrativo e tenuto conto che sussistono una serie di casi nei quali vigono norme di salvaguardia per la PA (un caso è l'inapplicabilità alla PA dell'obbligo di assunzione per violazione delle norme sui rapporti di lavoro a termine, salvo un isolato orientamento del Tribunale di Napoli) viene spontaneo chiedersi se non sia il caso di tornare indietro oppure dare un colpo decisivo e sciogliere per sempre l'ambiguità portando alla cognizione del giudice ordinario l'intera materia, con ciò annullando le garanzie per la PA allorché venga in contrasto con le norme che invece valgono solo per le imprese. L’attuale situazione, a mio modesto parere, è caratterizzata da un profluvio di norme di difficile applicazione, da una riforma concepita con riserva mentale e da una finzione giuridica secondo la quale il datore di lavoro pubblico sia uguale a quello privato.

Pubblicazione legale

I contratti di "vendita in piedi" e il regime assicurativo INAIL.

Pubblicato su IUSTLAB

La sentenza che si va a commentare riguarda il caso di un agricoltore avente anche la qualifica e la relativa partita IVA di commerciante. Sfortuna e fatalità vollero che durante una operazione di taglio e trasporto di legname, fatta chissà quanto altre volte, il mezzo agricolo del lavoratore si ribaltasse uccidendolo. Il quesito al quale i giudici hanno risposto è se nel caso di specie prevalesse la natura agricola di tale lavoro oppure quella commerciale. Come è noto i lavoratori sono coperti da assicurazione obbligatoria contro gli infortuni INAIL. Non tutti però. In particolare non sono assicurabili i commercianti. Dalla soluzione al quesito derivavano conseguenze: in un caso il sinistro è indennizzabile con reddita INAIL per il coniuge superstite, nell’altro no. E’ invalsa la prassi, come in questo caso, di affidare lavorazioni agricole presso poderi dei privati mediante contratti di “vendita in piedi”. Tale contratto, diversamente da quanto il giudice di primo grado ha ritenuto, non è un contratto di intermediazione commerciale, ma agricolo, alla luce dell’art. 56 L 3 maggio 1982 n. 203. Si tratta della legge che regola i contratti agrari. L’art. 56 in particolare è la norma che dispone una deroga al regime ordinario sulla durata dei contratti agrari ed altri istituti per il caso “di compartecipazione limitata a singole coltivazioni stagionali” o di “concessioni per coltivazioni intercalari” o, ancora per la “vendite di erbe di durata inferiore ad un anno quando si tratta di terreni non destinati a pascolo permanente, ma soggetti a rotazione agraria”. La legge n. 203 disciplina i contratti agricoli ed il fatto che in essa vengano contemplati casi di vendita di prodotti agricoli palesemente non depone nel senso che l’attività principale di tali contratti sia quella commerciale, ma anzi, al contrario, conferma che si tratta di lavorazioni agricole. La vendita della legna sull’albero, infatti, non rende il contratto una mera intermediazione commerciale, essendo oggetto principale del negozio la lavorazione agricola che consiste in operazioni tipicamente afferenti a tale settore come: il taglio, la selezione, la pulizia del sottobosco, il trasporto, ecc.. Peraltro anche l’attività commerciale non è una esclusiva dei commercianti perché anche l’imprenditore agricolo è ammesso all’attività di vendita al dettaglio, senza che questo lo renda un commerciante. Con D.Lvo 18 maggio 2001, n. 228, recante norme sull’“Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell’articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57” si stabilisce l’onere della iscrizione al registro degli imprenditori agricoli e all’art. 4 il principio a tenor del quale “Gli imprenditori agricoli, singoli o associati, iscritti nel registro delle imprese di cui all’art. 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, possono vendere direttamente al dettaglio, in tutto il territorio della Repubblica, i prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende, osservate le disposizioni vigenti in materia di igiene e sanità”. Come si può vedere si tratta di una disposizione che liberalizza la vendita dei prodotti agricoli da parte dell’agricoltore al quale non si può opporre alcuna disciplina relativa al commercio per quanto riguarda le destinazioni di zona (si veda TAR Puglia 11 novembre 2004 n. 5211, secondo cui: “il decreto legislativo n. 228 del 2001 non impone affatto il possesso di requisiti oggettivi (conformità dei locali alle norme regolamentari edilizie ed alle destinazioni d’uso di zona) … ed oblitera ogni vincolo di natura urbanistica di guisa che i locali destinati all’attività di vendita scontano unicamente la verifica di idoneità igienico sanitaria”). L’unico limite all’attività commerciale da parte degli agricoltori è che la merce sia per la maggior parte di provenienza dalla propria azienda.

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Corso Cavour 33
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