Pubblicazione legale
Registrazione delle convivenze di fatto e coppie non coabitanti. Una questione di uguaglianza costituzionale
Pubblicato su IUSTLAB
Per poter procedere alla registrazione della convivenza di fatto nei siti istituzionali dei Comuni italiani risulterebbe per le coppie di fatto necessario dichiarare un indirizzo di comune residenza. Detta circostanza, tuttavia, risulta ostativa al pieno recepimento del dettato normativo di cui alla Legge 76/2016 la quale al comma 36 dell’art. 1, definendo le convivenze di fatto, dichiara che si intendono per «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinita' o adozione, da matrimonio o da un'unione civile, senza alcun riferimento ad una residenza comune. Ai sensi di legge solo per l’accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all’art. 4 (Agli effetti anagrafici per famiglia si intende un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinita',adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune e i miei clienti hanno dimora abituale in un solo appartamento, pur mantenendo la residenza fiscale ed anagrafica a due diversi indirizzi), e all’art. 13 lettera b) (Le dichiarazioni anagrafiche da rendersi dai responsabili di cui all'art. 6 del presente regolamento concernono i seguenti fatti: costituzione di nuova famiglia o di nuova convivenza, ovvero mutamenti intervenuti nella composizione della famiglia o della convivenza) del regolamenti di cui al Decreto del PdR 223/89. In realtà dalla lettura sistematica della Legge. cd. Cirinnà emerge che i conviventi di fatto non siano tenuti, a differenza delle unioni civili, ad esempio, a stabilire una residenza comune: infatti, anche nella parte relativa alla disciplina del contratto di convivenza (che presuppone che la coppia abbia già provveduto alla registrazione presso in Comune di residenza), la legge prevede che in esso ciascuna parte indichi l’indirizzo al quale debbano essere effettuate le comunicazioni inerenti al contratto medesimo (comma 53, art. 1 L.76/2016); Inoltre, nel caso di contratti di convivenza tra cittadini di diversa cittadinanza si applica la legge del luogo “in cui la convivenza é prevalentemente localizzata” (comma 64 art. 1 L. 76/2016), il chè presuppone evidentemente l'assenza di un unico luogo di residenza comune. Alla luce di dette indicazioni normative, si deve anche tenere presente che recentemente la Corte di Cassazione, con la nota sentenza n. 9178/2018, ha sancito che deve prendersi atto del mutato assetto della società, collegato anche alle conseguenze di una prolungata crisi economica, dal quale emerge che ai fini della configurabilità di una convivenza di fatto, il fattore co-abitazione é destinato ad assumere ormai un rilievo recessivo rispetto al passato. La coabitazione non é quindi un elemento imprescindibile la cui mancanza di per sé sia determinabile al fine di escludere la configurabilità della convivenza (in questo senso anche C. Cassazione 7128/2013). Ma la residenza e la coabitazione sono comunque due concetti diversi. E se addirittura la mancanza di coabitazione di per sé non può escludere la convivenza, figuriamoci la sola dichiarazione di residenza. La residenza anagrafica infatti é il solo dato risultante dalla dichiarazione resa al Comune in un determinato momento, e potrebbe non corrispondere alla dimora abituale della persona. Anche da un punto di vista civilistico, il certificato di residenza costituisce una presunzione di legge che può essere superata con gravi e concordanti prove, affinché possa essere opposta a terzi una diversa realtà. Il legislatore, infatti, ha previsto che ai sensi dell’art. 44 c.c. il trasferimento della residenza “non può essere opposto ai terzi di buona fede, se non è stato denunciato nei modi prescritti dalla legge”, ossia mediante dichiarazione all’anagrafe del Comune che si abbandona e a quella del Comune dove si fissa la nuova residenza (art.2 della L. 1228/54). L’iscrizione, tuttavia, vale solo a titolo presuntivo del luogo di residenza civilistica, la quale si trasferisce laddove si sposta la dimora abituale della persona, a prescindere dalla dichiarazione all’anagrafe, per cui in opposizione a detta presunzione potrà sempre essere ammissibile la conoscenza dei terzi della dimora abituale. In particolare, secondo alcuni la residenza abituale è accertabile con qualunque mezzo di prova (così Cass. n.9373/2014). Altra giurisprudenza, pur ammettendo il valore meramente presuntivo delle risultanze anagrafiche, riconosce a queste una particolare resistenza e ritiene che possano essere superate solo con elementi gravi, precisi e concordanti (Cass. n 8554/1996). In tale contesto si valuti la questione anche in relazione alla nozione di “residenza familiare” o “residenza della famiglia” a cui fanno riferimento gli artt. 45 c.c. e 144 e ss. c.c. La prima è stata introdotta al fine di determinare “per relationem” il domicilio del minore, la seconda individua il luogo, scelto di comune accordo dai coniugi, “secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa”. Se la nozione di residenza familiare dell’art. 45 c.c. corrisponde alla residenza come situazione di fatto consistente nella dimora abituale dei coniugi, essa va distinta da quella individuata all’art. 144 che, invece, è il risultato di un accordo e non del mero fatto di dimorare abitualmente in un luogo. A riguardo, alcuni ritengono che la residenza ex art. 45 c.c. e quella ex art. 144 c.c. coincidano: entrambe individuerebbero il luogo in cui coniugi hanno fissato la loro dimora abituale, dimora che deve necessariamente convergere in ragione dell’obbligo di coabitazione che deriverebbe dalla previsione dell' art. 143 c.c. I coniugi potrebbero, al più, scegliere un domicilio autonomo. Secondo altri, la coincidenza delle nozioni non implica che lì si trovi la residenza in senso civilistico di entrambi i coniugi. La residenza familiare, infatti, è un luogo convenzionalmente eletto dalle parti, mentre la residenza del singolo componente, intesa come dimora abituale, è una situazione di fatto non necessariamente coincidente con quella scelta ai fini dell’art. 144 c.c. Accogliendo tale interpretazione, è possibile ammettere che i coniugi mantengano distinti i luoghi di residenza, ad esempio per esigenze di tipo lavorativo. Detta ammissibilità non farebbe certo venire meno alcun diritto alla coppia legata da vincolo matrimoniale. Purtroppo invece i Comuni recepiscono una burocrazia che non tenerndo conto di dette argomentazioni finiscono con lo svilire l'intendo parificatorio della Legge cd. Cirinnà, non consentendo alle coppie di fatto di poter accedere agli stessi strumenti riconosciuti alle coppie legate da vincolo matrimoniale.