Avvocato Daniela Russo a Torino

Daniela Russo

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La dichiarazione di successione non comporta accettazione tacita dell'eredità.

Scritto da: Daniela Russo - Pubblicato su IUSTLAB

Pubblicazione legale:

Alla morte di una persona, i soggetti ai quali si devolve l'eredità, per legge o per testamento, sono "chiamati all'eredità". Essi diventeranno "eredi" solo con l’accettazione dell’eredità che può avvenire in maniera espressa (art. 475 c.c. “in un atto pubblico o in una scrittura privata”, il chiamato all’eredità ha dichiarato di accettarla oppure ha assunto il titolo di erede”) oppure in maniera tacita (art. 476 c.c. “quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede”).
L'eredità, una volta accettata - in maniera tacita o in maniera espressa - non può più essere rinunciata.
Accettare l'eredità significa diventare proprietario di tutti i beni e i crediti del defunto ma anche assumere l'obbligazione per tutti i debiti del defunto.

Ecco perchè occorre porre massima attenzione alle ipotesi di accettazione tacita dell’eredità ovvero a tutte quelle ipotesi nelle quali si compiono azioni concludenti incompatibile con la volontà di rinunciare all’eredità e si diventa pertanto, automaticamente, eredi.

Oggi poniamo l'attenzione sulla dichiarazione di successione presentata dai chiamati all'eredità del defunto.

Sul tema si è recentemente pronunciata la Suprema Corte ribadendo che ai fini dell’accettazione tacita dell’eredità è irrilevante la trascrizione della denuncia di successione in assenza di altri atti inequivocabilmente rivolti all’assunzione della qualità di erede (Cass. Civ. n. 4848/2019).

Ciò in quanto la dichiarazione di successione e il relativo pagamento delle imposte sono atti a valenza fiscale e non producono  effetto da un punto di vista puramente civilistico.

Nel caso pertanto vi sia un dubbio circa l'opportunità o meno di accettare l'eredità morendo dismessa da un congiunto, è importante rivolgersi senza ritardo ad un professionista al fine di evitare, in buona fede, di compiere azioni che comportino automaticamente l'acquisizione dello staus di erede.




Avv. Daniela Russo - Avvocato civilista

Avvocato dal 2004, esercito in forma autonoma e la mia attività di consulenza ed assistenza legale giudiziale e stragiudiziale si dipana prevalentemente nel settore del diritto civile nel quale ho maturato una notevole esperienza: diritto di famiglia e minori, separazioni e divorzi, eredità, contrattualistica, recupero crediti, locazione, condominio, appalti. I clienti riconoscono in me competenza e professionalità, unita ad una naturale capacità empatica. Da 6 anni ho esteso i miei interessi anche al mondo della mediazione civile, offrendo al cliente soluzioni delle controversie alternative rispetto al contenzioso giudiziario.




Daniela Russo

Esperienza


Diritto di famiglia

L'Avv. Daniela Russo durante gli anni di professione ha gestito centinaia di fascicoli relativi a questioni di separazioni, divorzi, tutela di minori, tutela di soggetti deboli attraverso procedure di amministrazione di sostegno, interdizione, inabilitazione.


Eredità e successioni

L'Avv. Daniela Russo da quasi 20 anni si occupa di problematiche legate al diritto successorio: dal rintraccio degli eredi legittimi, alla ricostituzione dell'asse ereditario attraverso la sinergia per esempio con l'Agenzia delle Entrate e gli Istituti di Credito, alla verifica della eventuale violazione dei diritti degli eredi legittimari, alla valutazione della legittimità e validità del lascito testamentario e tutto quanto conseguente all'evento morte di un congiunto.


Separazione

L'Avv. Daniela Russo ha acquisito notevole esperienza nella gestione del contenzioso tra coniugi in ipotesi di separazione legale grazie ad ormai 20 anni di esperienza nella materia e la gestione di numerosissime pratiche.


Altre categorie:

Divorzio, Incapacità giuridica, Recupero crediti, Pignoramento, Locazioni, Sfratto, Mediazione, Incidenti stradali, Multe e contravvenzioni, Diritto civile, Matrimonio, Affidamento, Adozione, Tutela dei minori, Diritto commerciale e societario, Contratti, Diritto del lavoro, Licenziamento, Diritto condominiale, Tutela del consumatore, Risarcimento danni, Negoziazione assistita, Gratuito patrocinio, Domiciliazioni.



Referenze

Pubblicazione legale

La dichiarazione di successione non comporta accettazione tacita dell'eredità.

Pubblicato su IUSTLAB

Alla morte di una persona, i soggetti ai quali si devolve l'eredità, per legge o per testamento, sono "chiamati all'eredità". Essi diventeranno "eredi" solo con l’accettazione dell’eredità che può avvenire in maniera espressa (art. 475 c.c. “ in un atto pubblico o in una scrittura privata”, il chiamato all’eredità ha dichiarato di accettarla oppure ha assunto il titolo di erede ”) oppure in maniera tacita (art. 476 c.c. “ quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede”). L'eredità, una volta accettata - in maniera tacita o in maniera espressa - non può più essere rinunciata. Accettare l'eredità significa diventare proprietario di tutti i beni e i crediti del defunto ma anche assumere l'obbligazione per tutti i debiti del defunto. Ecco perchè occorre porre massima attenzione alle ipotesi di accettazione tacita dell’eredità ovvero a tutte quelle ipotesi nelle quali si compiono azioni concludenti incompatibile con la volontà di rinunciare all’eredità e si diventa pertanto, automaticamente, eredi. Oggi poniamo l'attenzione sulla dichiarazione di successione presentata dai chiamati all'eredità del defunto. Sul tema si è recentemente pronunciata la Suprema Corte ribadendo che ai fini dell’accettazione tacita dell’eredità è irrilevante la trascrizione della denuncia di successione in assenza di altri atti inequivocabilmente rivolti all’assunzione della qualità di erede (Cass. Civ. n. 4848/2019). Ciò in quanto la dichiarazione di successione e il relativo pagamento delle imposte sono atti a valenza fiscale e non producono effetto da un punto di vista puramente civilistico. Nel caso pertanto vi sia un dubbio circa l'opportunità o meno di accettare l'eredità morendo dismessa da un congiunto, è importante rivolgersi senza ritardo ad un professionista al fine di evitare, in buona fede, di compiere azioni che comportino automaticamente l'acquisizione dello staus di erede.

Pubblicazione legale

Non è dovuto il contributo al mantenimento per il figlio ampiamente maggiorenne anche se affetto da patologia

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Con una recente sentenza, la n. 23113/2023, la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi di un argomento alquanto complesso, richiamando e confermando il principio di diritto secondo il quale “il figlio di genitori divorziati, che abbia ampiamente superato la maggiore età, e non abbia reperito, pur spendendo il conseguito titolo professionale sul mercato del lavoro, una occupazione lavorativa stabile o che, comunque, lo remuneri in misura tale da renderlo economicamente autosufficiente, non può soddisfare l'esigenza ad una vita dignitosa, alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, mediante l’attuazione dell'obbligo di mantenimento del genitore, bensì attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito, ferma restando l’obbligazione alimentare da azionarsi nell’ambito familiare per supplire ad ogni più essenziale esigenza di vita dell’individuo bisognoso” (ex plurimis in senso conforme: Cass. Civ. nn. 29264/2022 e 38366/2021). La Suprema Corte ha precisato che tale principio vige anche nel caso di figlio (ultra)maggiorenne non autosufficiente che risulti affetto da una patologia (nel caso oggetto della sentenza, depressione) inidonea ad integrare la condizione di grave handicap che, sola, comporterebbe automaticamente l’obbligo di mantenimento. Ed infatti solo la condizione di grave handicap può giustificare il diritto al contributo al mantenimento sine die. Nel caso di patologie non integranti handicap grave, infatti, per soddisfare le proprie essenziali esigenze di vita, il figlio ultramaggiorenne “ben può richiedere, ove sussistano i presupposti, un sussidio di ausilio sociale, oppure può proporre l’azione per il riconoscimento degli alimenti, i quali rappresentano un ‘minus’ rispetto all’assegno di mantenimento, con la conseguenza che nella richiesta di un tale assegno può ritenersi compresa anche quella di alimenti”. Occorre pertanto porre massima attenzione alla differenza tra il contributo al mantenimento e il diritto agli alimenti: il primo è dovuto dai genitori a favore dei figli minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti entro un limite di età adeguato entro il quale è corretto aspettarsi che un soggetto adulto sia in grado di autosostenersi economicamente, anche laddove affetto da patologia che non rientrino nell'ambito del "grave handicap". I secondi (gli alimenti) p ossono essere chiesti da chi versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento, sono limitati a quanto necessario per sopravvivere e possono essere richiesti ad una pluralità di soggetti secondo un ordine preciso (coniuge; figli; genitori; generi e nuore; suocero e suocera; i fratelli e le sorelle).

Esperienza di lavoro

Membro della Commissione per il Patronicio a Spese dello Stato - Ordine degli Avvocati di Torino

Dal 1/2021 al 6/2023

Attraverso un tavolo di lavoro è stato possibile giungere alla risoluzione di problematiche interpretative relative alla normativa sul Patrocinio a Spese dello Stato, fornendo al cittadino non abbiente importanti chiarimenti finalizzati alla presentazione della relativa domanda di ammissione al suddetto Patrocinio

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Lo studio

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