Ho conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione forense presso la Corte d’Appello di Venezia nel settembre 2019 e, negli anni, ho acquisito una vasta esperienza in materia di diritto civile, occupandomi prevalentemente di diritto dei contratti (con particolare riferimento ad appalti, compravendite, rent to buy, mutui e fideiussioni), diritti reali, condominio e locazioni, aste immobiliari, nonché diritto dell’esecuzione forzata. Ho rapporti di consulenza stabile con aziende del territorio e collaboro con primari studi legali italiani fornendo supporto e domiciliazioni. Svolgo attività sia giudiziale che stragiudiziale.
Ho predisposto diversi contratti di locazione ad uso abitativo e commerciale, garantendo la massima soddisfazione del cliente.
Ho seguito numerosi contenzioni in ambito civilistico. In particolare ho prestato assistenza giudiziale ad imprese del territorio per vicende di natura risarcitoria e per problematicahe di natura contrattuale.
Ho seguito numerosi procedimenti di recupero del credito, sia dalla parte del creditore che dalla parte del debitore. Ho grande abilità nel definire le vertenze in via transattiva, con ampia soddisfazione del cliente e con ottimo rapporto costi/benefici.
Pignoramento, Contratti, Aste giudiziarie, Diritto immobiliare, Domiciliazioni, Privacy e GDPR, Incapacità giuridica, Diritto condominiale, Sfratto, Eredità e successioni, Separazione, Divorzio, Matrimonio, Diritto commerciale e societario, Fallimento e proc. concorsuali, Diritto bancario e finanziario, Usura, Edilizia ed urbanistica, Incidenti stradali, Diritto marittimo, Tutela del consumatore, Risarcimento danni, Mediazione, Negoziazione assistita, Diritto internazionale ed europeo, Diritto dell'informatica, Diritto del lavoro.
IL CASO Il proprietario di un immobile, a fronte del(l’asserito) mancato pagamento delle bollette da parte dei conduttori, disattivava il riscaldamento centralizzato a ridosso della stagione invernale e senza alcuna preventiva comunicazione. Uno degli inquilini (padre di famiglia con figli minori d’età) - in regola con tutti i pagamenti contrattualmente previsti –, invocando la tutela di diritti costituzionali (e nello specifico di quello alla salute ex art. 32 Cost) proponeva ricorso ex art. 700 c.p.c. con il quale chiedeva al Tribunale adito di ordinare la riattivazione immediata dell’impianto e servizio di riscaldamento. Il Giudice emetteva, inaudita altera parte , decreto con cui ordinava al proprietario di riattivare immediatamente l’impianto e il servizio di riscaldamento. Tale provvedimento veniva immediatamente attuato dal resistente e il procedimento veniva così estinto per cessata materia del contendere. In ordine alle spese di lite il Giudice, ritenendo che, nella fattispecie, non ci fossero i presupposti per una compensazione, anche solo parziale, condannava il proprietario/locatore al pagamento integrale delle predette, sul presupposto che “… la necessità sorta in capo al ricorrente di rivolgersi al Tribunale per ottenere l’accensione dell’impianto di riscaldamento è correlata al pervicace rifiuto del signor […] , motivato – a quanto consta – da mere ragioni economiche (certamente soccombenti rispetto alla tutela della salute del ricorrente e dei figli minorenni di quest’ultimo)” . L’ORDINANZA (omissis) Con ricorso depositato in data 14.1.2023, il ricorrente adìva il Tribunale di Treviso al fine di ottenere una pronuncia, ai sensi dell’art. 700 cod. proc. civ., di condanna del signor […] all’immediato ripristino del sistema di riscaldamento condominiale. Il ricorrente esponeva di aver stipulato con il signor […] un contratto di locazione ad uso abitativo di un appartamento sito a […] e ubicato nel condominio interamente di proprietà del resistente, al quale erano peraltro intestate tutte le utenze. Nonostante la regolarità nei pagamenti da parte di tutti i condomini e, per quanto di rilievo ai fini della presente decisione, del signor […], il proprietario aveva omesso di avviare l’impianto di riscaldamento condominiale senza fornire idonea spiegazione. Giunto il cuore dell’inverno, con rigide temperature, diveniva insostenibile per il ricorrente e i suoi due figli minorenni permanere presso la loro abitazione non riscaldata e pertanto il signor […] si determinava ad adire il Tribunale al fine di ottenere una tutela cautelare d’urgenza. Il Giudice Istruttore concedeva il provvedimento richiesto inaudita altera parte , riservandosi di confermarlo o revocarlo all’esito dell’instaurazione del contraddittorio. Ciò in quanto la tutela della salute del ricorrente e dei di lui figli minorenni risultava in ogni caso prevalente rispetto a qualsivoglia diritto di credito del proprietario. Il signor […] si costituiva in giudizio giustificando il proprio comportamento a fronte di una perdurante morosità di tutti i condomini, anche del signor […] stesso, che egli affermava di aver esposto agli inquilini nel corso di una riunione tenutasi nel mese di novembre 2022. Si rimetteva in merito alla conferma del decreto emesso inaudita altera parte ma chiedeva una compensazione delle spese di lite. All’udienza del 2.2.2023, il procuratore di parte resistente dava atto che il suo assistito aveva immediatamente ripristinato, non appena ricevuta la notifica del decreto inaudita altera parte emesso dal Giudice, l’impianto di riscaldamento condominiale. Ribadiva dunque le conclusioni, anche in punto spese, di cui alla sua comparsa di costituzione. Il procuratore di parte ricorrente confermava la circostanza del riavvio dell’impianto di riscaldamento dopo averla verificata personalmente attraverso i condomini. In ogni caso, insisteva per la conferma del decreto del 18.1.2023 e per l’accoglimento del ricorso, con integrale rifusione delle spese di lite. Il Giudice si riservava. * * * In virtù del fatto che, come espressamente confermato da entrambe le parti, il signor […] ha dato attuazione all’ordine contenuto nel decreto emesso inaudita altera parte il 18.1.2023 accendendo il riscaldamento condominiale, si ritiene cessata la materia del contendere. La cessazione della materia del contendere si verifica quanto sopraggiunge, nel corso del processo, un evento di indole fattuale o processuale che elimina la posizione di contrasto tra le parti facendo venir meno la necessità di una pronuncia giudiziale sull'oggetto originario del processo, la quale diventa, in ragione di tale sopravvenienza, inutile o inattuale. Nel caso di specie, l’unica questione oggetto di contrasto e, soprattutto, delle domande cautelari formulate dal signor […] riguardava l’avvio del sistema di riscaldamento condominiale, avvio che è pacificamente avvenuto prima dell’udienza del 2.2.2023. Il ricorrente ha così già ottenuto piena soddisfazione. La cessazione della materia del contendere, tuttavia, non esclude la necessità di vagliare comunque il merito della questione al fine di decidere sulla regolamentazione delle spese processuali, in virtù del principio della c.d. soccombenza virtuale. Nel caso di specie, la necessità sorta in capo al ricorrente di rivolgersi al Tribunale per ottenere l’accensione dell’impianto di riscaldamento è correlata al pervicace rifiuto del signor […], motivato – a quanto consta – da mere ragioni economiche (certamente soccombenti rispetto alla tutela della salute del ricorrente e dei figli minorenni di quest’ultimo). Per tale ragione, nonostante l’ottemperanza all’ordine del Giudice prima dell’udienza del 2.2.2023 e le ragioni di credito vantate dal signor […] nei confronti dei suoi inquilini, questo Giudice ritiene che non sussistano i presupposti per una compensazione, anche solo parziale, delle spese di lite richiesta da parte resistente. Infatti, la compensazione delle spese di lite può avvenire solo nel caso sussistano particolari condizioni dettate dalla norma o elaborate dalla giurisprudenza, che nel caso di specie non si rinvengono. Pertanto, la regolamentazione delle spese di lite segue la soccombenza (virtuale) del resistente. Le spese di lite sono liquidate come da dispositivo, con applicazione dei parametri di cui al D.M. 147/2022 per i procedimenti cautelari di valore indeterminabile – complessità bassa, valori minimi (considerata la particolare semplicità delle questioni trattate) per le sole fasi di studio e introduttiva (tenuto conto del mancato espletamento di attività istruttoria e deposito di memorie o scritti conclusionali). P.Q.M. ogni altra diversa domanda ed eccezione respinta: - dichiara la cessazione della materia del contendere; - condanna […] a rifondere a […] le spese del procedimento, che liquida d’ufficio in complessivi € 1.014,00 per compensi, oltre rimborso forfetario, c.p.a. e iva se dovuti per legge.
Il legislatore italiano, adeguandosi alla Direttiva UE 2019/1937, ha recentemente emanato il Decreto Legislativo n. 24/2023, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione e recante disposizioni che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali. Tale norma amplifica gli obblighi in materia di whistleblowing in capo alle imprese, anche medio-piccole, che devono adeguarsi alla nuova normativa e sancisce nuove tutele per i dipendenti pubblici e privati che intendono segnalare tali violazioni, in particolare garantendo la riservatezza del segnalatore e sanzionando le ritorsioni dei datori di lavoro. Le novità in materia di Whistleblowing introdotte dal D.lgs. n. 24/2023 Nel gergo tecnico il termine whistleblowing indica lo strumento di compliance aziendale che permette ai dipendenti e collaboratori di segnalare atti illeciti di cui hanno avuto conoscenza in occasione dell’attività lavorativa. Con l’introduzione del decreto legislativo n. 24/2023 questo strumento è divenuto obbligatorio per la maggior parte delle imprese private e il termine whistleblowing assumerà un significato più ampio per i motivi che seguono. Il decreto legislativo impone ai soggetti sotto indicati di istituire, sentite le rappresentanze e le organizzazioni sindacali, un canale di segnalazione interno. Si tratta in particolare di: · pubbliche amministrazioni e imprese del settore privato che abbiano impiegato nell’ultimo anno la media di almeno cinquanta lavoratori con contratti a tempo indeterminato o determinato; · pubbliche amministrazioni e imprese del settore privato che, indipendentemente dal numero di addetti, operano nei settori dei servizi, prodotti e mercati finanziari e prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, tutela dell’ambiente e sicurezza dei trasporti; · pubbliche amministrazioni e imprese del settore privato che, indipendentemente dal numero di addetti, abbiano adottato un modello organizzativo ai sensi del D.lgs. n. 231/2001. Tale canale di segnalazione interno, ai sensi dell’articolo 4 del decreto, deve garantire la riservatezza dell’identità del segnalante, delle persone coinvolte o comunque menzionate nella segnalazione e del contenuto della segnalazione, che può essere fatta sia per iscritto che oralmente. La gestione del canale può essere affidata sia al personale interno sia ad un soggetto esterno. In entrambi i casi il soggetto incaricato deve essere autonomo e specificamente formato ed ha l’obbligo di attenersi alle procedure di gestione delle segnalazioni dettagliatamente indicate nell’art. 5 del Decreto legislativo 24/2023. In presenza di determinate condizioni previste dal Decreto legislativo n. 24/2023 (art. 6), la persona segnalante può avvalersi anche del canale di segnalazione esterna appositamente istituito dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC). La nuova normativa non è rivolta esclusivamente ai lavoratori dipendenti, ma, ai sensi dell’art. 3 del D.lgs. citato, anche a quelli legati all’azienda con contratti “atipici”, quali volontari e tirocinanti anche non retribuiti o lavoratori autonomi e collaboratori, ovvero liberi professionisti, consulenti, azionisti e persone con funzione di amministrazione, direzione, controllo, vigilanza o rappresentanza, anche qualora tali funzioni siano esercitate in via di mero fatto. Tali soggetti possono rivolgersi ad enti del terzo settore specificamente creati al fine di fornire informazioni sulle modalità di segnalazione, come disposto dall’art. 18. La normativa prevede importanti tutele atte a garantire la riservatezza dell’identità del segnalatore, vietando a chi riceve la segnalazione di rivelare l’identità del segnalatore e di ogni altra informazione da cui questa possa evincersi. Il decreto dispone altresì misure di protezione del lavoratore dalle ritorsioni (demansionamento, licenziamento, discriminazioni ecc.) che possono verificarsi in seguito alle segnalazioni, quali il diritto alla reintegrazione sul posto di lavoro, il risarcimento del danno, l’ordine di cessazione della condotta posta in essere in violazione del divieto di ritorsione e la dichiarazione di nullità degli atti ritorsivi. Infine, fermi restando gli altri profili di responsabilità, l’ANAC può applicare le seguenti sanzioni pecuniarie: · da 10.000 € fino a 50.000 € a carico del responsabile degli atti ritorsivi e/o dei soggetti che abbiano ostacolato il seguito delle segnalazioni può pagare; · da 10.000 € fino a 50.000 € in caso di accertamento dell’omessa adozione dei canali di segnalazione ovvero nel caso di adozione di canali inidonei allo scopo; Termini per adeguarsi alla normativa in tema di Whistleblowing : · tutte le aziende con 250 o più dipendenti entro il 15 luglio 2023. · tutte le aziende con meno di 250 dipendenti , entro il 17 dicembre 2023.
Mi sono occupato prevelentemente di predisporre gli atti dei giudizi contenziosi in materia di contratti (appalti, prestazioni d'opera, compravendite, locazioni ecc.) e diritti reali (proprietà, usufrutto, servitù, superficie ecc.), partecipando anche alle relative udienze. Ho prestato assistenza per la redazione di Modelli Organizzativi e di Gestione (MOG) e codici etici nell’ambito della normativa D. Lgs 231/2001. Ho svolto attività di formazione aziendale in tema di responsabilità da reato degli enti e in tema di Privacy (GDPR – Reg. UE 2016/679).
IL CASO Le attrici, quali eredi del defunto padre/marito, convenivano in giudizio un istituto di credito deducendone la responsabilità per lo smarrimento di una cassetta di sicurezza di cui era titolare il de cuius . Chiedevano pertanto che la banca fosse condannata a risarcire un danno di € 50.000,00. A dimostrazione della propria qualità di eredi, le attrici producevano una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà nonché lo stato di famiglia. L’istituto di credito si costituiva in giudizio eccependo il difetto di legittimazione attiva delle attrici, ritenendo insufficiente la documentazione prodotta dalle stesse per provare la propria qualità di eredi. LA SOLUZIONE Il Giudice, rilevava l’infondatezza dell’eccezione in parola richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale in forza del quale “… nel caso di azione proposta da un soggetto che si qualifichi erede in virtù di un determinato rapporto parentale o di coniugio, la produzione del certificato dello stato di famiglia è idonea a dimostrare l'allegata relazione familiare e, dunque, la qualità di soggetto che deve ritenersi chiamato all'eredità, ma non anche la qualità di erede, posto che essa deriva dall'accettazione espressa o tacita, non evincibile dal certificato; tuttavia, tale produzione, unitamente alla allegazione della qualità di erede, costituisce una presunzione iuris tantum dell'intervenuta accettazione tacita dell'eredità, atteso che l'esercizio dell'azione giudiziale da parte di un soggetto che si deve considerare chiamato all'eredità, e che si proclami erede, va considerato come atto espressivo di siffatta accettazione e, quindi, idoneo a considerare dimostrata la qualità di erede (Cass. 26/06/2018, n. 16814) ” (cfr. in questo senso Cass 210/2021). In altri termini, la produzione del certificato di stato di famiglia unitamente all'allegazione in giudizio della qualità di erede costituisce una presunzione iuris tantum dell'intervenuta accettazione (tacita) dell'eredità, prova di per sé decisiva.
Abstract La riforma Cartabia ha introdotto nuove norme processuali in materia di persone, minorenni e famiglia, tra le quali la possibilità di cumulo delle domande di separazione e divorzio. I tribunali italiani sono oggi divisi circa l’applicabilità di tale norma anche ai ricorsi congiunti di separazione consensuale e la questione è oggi sul tavolo della Corte di Cassazione affinché si pronunci sulla sua corretta interpretazione. Nel presente contributo si esaminano i due orientamenti emersi nelle prime sentenze di separazione successive alla riforma. Il cumulo delle domande di separazione e di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nei giudizi di separazione consensuale: i vari orientamenti La recente riforma del processo civile ha introdotto, nell’art. 473bis.49, la possibilità di cumulare la domanda di divorzio con quella di separazione personale. Tale norma fa espressamente riferimento solo al procedimento volto ad ottenere la separazione contenziosa e nulla dice circa la sua applicabilità anche al procedimento per separazione consensuale. Per tale ragione oggi è in corso un acceso dibattito che si risolverà solo in seguito alla pronuncia della Corte di Cassazione, alla quale il Tribunale di Treviso ha rimesso la questione con il rinvio pregiudiziale ex art. 363 bis c.p.c. Tale questione giuridica vede contrapposti coloro i quali interpretano restrittivamente l’applicazione del cumulo delle domande, dichiarando quindi improponibile la domanda di divorzio, a chi, al contrario, adotta un’interpretazione estensiva. Tra questi ultimi vi è Trib. Milano, sent. 3542 del 5 maggio 2023 che, dichiarando la separazione delle persone, rimette la causa al Giudice Relatore affinché questi, trascorsi sei mesi, provveda ad acquisire la dichiarazione delle parti di non volersi riconciliare e qualora queste confermassero le condizioni già formulate in sede di separazione accoglierà la domanda di divorzio. L’orientamento più restrittivo esclude l’applicazione del cumulo delle domande anche al ricorso per la separazione consensuale in quanto la norma che regola il ricorso congiunto è contenuta nell’art. 473 bis .51, che non contiene alcun rinvio alla disciplina del ricorso per la separazione contenziosa. A sostegno di ciò adducono anche alla mancata previsione all’interno della legge delega alla riforma Cartabia di un’indicazione sul cumulo delle domande, esplicitando invece la necessità di prevedere due procedimenti distinti. Da ultimo, ritengono che applicare il cumulo delle domande sia contrario al principio di indisponibilità in materia matrimoniale. Tra questi troviamo, tra tutti, il Tribunale di Firenze con la sentenza 4458 del 15 maggio 2023. Coloro i quali interpretano più estensivamente sostengono che, dal punto di vista letterale, è lo stesso art. 473 bis .51 a prevedere che il procedimento su domanda congiunta sia introdotto da ricorso che può chiedere relativamente a tutti i procedimenti di cui all’art. 473 bis .47, tra cui rientrano sicuramente sia la separazione personale che il divorzio. Tale esteso rinvio consentirebbe di ritenere che nel ricorso congiunto sono cumulabili tutte le domande di cui al predetto art. 473bis. 47, per cui la proposizione del cumulo delle domande rappresenterebbe la regola, mentre nel ricorso per la separazione contenziosa sarebbe un’eccezione (cfr. Trib. Verona, Sez. I, 20.06.2023). Secondo la tesi restrittiva il cumulo delle domande determinerebbe un allungamento del procedimento di separazione consensuale in quanto questo non si chiuderebbe con la sentenza di omologa, bensì rimarrebbe sospeso in attesa della maturazione dei sei mesi previsti per il divorzio. Secondo la predetta pronuncia del Tribunale di Verona tale argomento è fuorviante in quanto non considera che si eviterebbe l’instaurazione di un nuovo procedimento. In conseguenza di ciò, il cumulo delle domande consentirebbe un notevole risparmio di energie processuali, ben conciliandosi con la ratio dell’intera recente riforma del processo civile: l’economia processuale. I due orientamenti sono però concordi su un aspetto della questione: se si riconoscesse l’applicabilità del cumulo delle domande si derogherebbe all’indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale. Chi conclude per l’applicazione del cumulo alla separazione consensuale, per quanto esposto sopra, osserva che tale deroga è ammessa dalla legge stessa e sarebbe dunque lecita. Il Tribunale di Verona, infatti, ricorda che il legislatore con l’introduzione della negoziazione assistita volontaria in materia matrimoniale ha messo in discussione per la prima volta tale inderogabilità, iniziando un graduale ma incessante superamento del principio di indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale. Il Tribunale di Treviso, con ordinanza del 1 giugno 2023, viste le predette difficoltà interpretative di tale questione necessaria alla definizione del giudizio, è ricorso al rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione, introdotto anch’esso dalla recente riforma del processo civile. Solo dopo la pronuncia della Corte vi sarà un maggiore grado di certezza sull’ammissibilità del cumulo delle domande di separazione consensuale e divorzio, ad oggi ammessa solo in taluni ed esclusa da altri, tra i quali figura anche il Tribunale di Padova con la comunicazione del Presidente del Tribunale del 7 aprile 2023. Aggiornamento: La decisione della Cassazione La Suprema Corte di Cassazione , Sez I, sent. (data ud. 06/10/2023) 16/10/2023, n. 28727, ha ritenuto ammissibile, nell'ambito del procedimento di cui all'art. 473-bis.51 c.p.c., il ricorso dei coniugi proposto con domanda congiunta r cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio.
IL CASO Il sig. […] commissionava ad un’impresa edile l’esecuzione di alcuni lavori presso la propria abitazione e consegnava alla stessa, a garanzia dei futuri pagamenti, un assegno bancario di € 11.000,00 privo di data e di luogo di emissione. Non ricevendo il pagamento delle somme dovute, l’impresa edile, previo riempimento del luogo e della data di emissione, poneva all’incasso l’assegno, che si rivelava privo di provvista. Il committente proponeva ricorso ex art. 670 c.p.c. chiedendo al Tribunale di Padova di concedere il sequestro giudiziario del titolo. Il Giudice rigettava il ricorso sul presupposto che “[…] la circostanza che l’assegno bancario sia stato consegnato all’istituto di credito e posto all’incasso configura un fatto che inibisca in radice l’emissione del richiesto sequestro, facendo venir meno la necessità/opportunità della custodia del titolo” . L’ORDINANZA (omissis) La norma invocata dal ricorrente prevede che il giudice possa “ autorizzare il sequestro giudiziario di beni mobili […] quando ne è controversa la proprietà o il possesso, ed è opportuno provvedere alla loro custodia o alla loro gestione temporanea ” (art. 670 co. 1 c.p.c.). Quanto all’oggetto del sequestro, in generale, nulla osta il fatto che questo riguardi una assegno bancario in quanto “ deve ritenersi ammissibile il sequestro giudiziario delle cambiali e dei titoli di credito in genere – potendo essi essere oggetto di proprietà e di possesso - qualora la controversia riguardi la titolarità del credito sotteso alla cambiale ” (Tribunale Latina, 27/10/2009). Va però considerato che nel caso in esame l’assegno bancario non è più nella disponibilità della […], in quanto è stato negoziato. Il Tribunale richiama un risalente principio di diritto esposto dalla Cassazione in tema di cambiali, per poi formulare alcune considerazioni relative alla controversia in epigrafe: “ Non è ammissibile il sequestro giudiziario di cambiali che, a seguito di una serie continua di girate, siano in possesso di persona diversa dal contraente diretto di chi richiede il sequestro, in quanto, ai sensi dell'art. 1994 cod. civ. il terzo portatore di un titolo di credito in conformità delle norme che ne disciplinano la circolazione non è soggetto a rivendicazione, onde nei suoi confronti non può essere invocato quello jus ad rem, che riposa soltanto su un rapporto diretto sottostante all'emissione o al trasferimento e che costituisce il presupposto della misura cautelare, fondata sulla possibilità di una controversia sulla proprietà o sul possesso ” (Cass. Civ. sez. 1, Sentenza n. 106 del 17/01/1985). Orbene, questo giudice reputa che la circostanza che l’assegno bancario sia stato consegnato all’istituto di credito e posto all’incasso configura un fatto che inibisca, in radice l’emissione del richiesto sequestro, facendo venire meno la necessità/opportunità della custodia del titolo. Ciò per le seguenti considerazioni: - l’assegno bancario già negoziato e portato all’incasso ha perso la prima e tipica funzione di titolo di credito, avendo già realizzato la propria finalità; - l’assegno bancario difatti è un mero strumento di pagamento a servizio di un soggetto che ha provvista in banca: contiene l’ordine incondizionato, rivolto dal traente alla sua banca, di pagare una somma determinata; - nel caso in esame l’ “ordine” del ricorrente […] è già giunto alla banca […] e la stessa lo ha preso in carico, rilevando la mancanza di fondi per pagare gli importi ivi indicati; - la circolazione del medesimo titolo è ormai inibita, trovandosi in banca e risultando non pagato (oltre al fatto che lo stesso era stato emesso come “non trasferibile”). In altre parole il Tribunale ritiene che lo strumento cautelare invocato dal ricorrente mal si attagli alla presente fattispecie, non rinvenendosi nel caso specifico alcuna necessità di provvedere alla conservazione e alla custodia dei beni sui quali deve eseguirsi la misura cautelare. Il concetto di “opportunità” di cui al primo comma dell’art. 670 c.p.c., necessario per la concessione della misura in esame, sussiste quando lo stato di fatto esistente in pendenza del giudizio comporta la possibilità che si determinino situazioni tali da pregiudicare l'attuazione del diritto controverso. Nel caso in esame invece l’assegno bancario di cui si discute è già stato portato all’incasso in banca; la banca ha già rilevato la mancanza di fondi e, per l’ipotesi in cui il ricorrente volesse evitare le conseguenze sfavorevoli derivati da tale situazione (protesto, segnalazione presso la CAI) si dovrebbero attivare altri e più calzanti rimedi cautelari. Per inciso si ricorda che l’assegno ad oggi non è nemmeno protestato, sicchè nemmeno sarebbe possibile affermare che tale titolo sta rientrando in possesso del creditore […] (che in tesi potrebbe usare l’assegno protestato per procedere con l’esecuzione). Il ricorso va rigettato. Il ricorrente va condannato alle spese di lite che si quantificano come da d.m. 55/2014, scaglione di valore individuato in base all’importo dell’assegno, fasi studio, introduttiva ai medi di tariffa e decisoria ai minimi attesa la discussione solo orale e la mancanza di note scritte. P.Q.M. Il Tribunale di Padova: rigetta il ricorso per sequestro in epigrafe; condanna […] al pagamento, in favore della […] delle spese di lite, che liquida in € 1.887,50 per compenso, oltre 15 % rimborso forfettario, i.v.a. e c.p.a. come per legge. Si comunichi. Padova 02/03/2022
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