Avvocato PENALISTA iscritto all’Albo Speciale dei Patrocinanti in CASSAZIONE, con studio in Torino ed in Alessandria. Si è laureato nel 1998 presso l’Università di Bologna ed ha frequentato il Master per Giuristi d’Impresa presso la S.A.A. di Torino Nel 2001 si è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Torino dopo aver superato l’esame di abilitazione presso la Corte d’Appello di Torino e dal 2013 è iscritto nell’apposito Albo degli Avvocati Cassazionisti. Svolge attività di assistenza in tutte le fasi del procedimento penale e per qualsiasi reato.
In diversi modi si può scoprire di essere coinvolti in un procedimento penale: un fermo, una perquisizione, una notifica… Inizia così un tragitto che molte volte si rivelerà lungo e tortuoso, durante il quale sarà necessario agire attentamente per poter chiarire al più presto il proprio eventuale effettivo ruolo nella vicenda oggetto di indagine. L’Avvocato penalista, con il quale deve nascere un rapporto di fiducia, rimane affianco al proprio assistito in tutte le fasi del procedimento penale: indagini preliminari, processo ed esecuzione della pena. Nel rispetto delle regole, per l’Avvocato penalista il cliente è sacro.
Le false denunce di violenza, le ricostruzioni distorte delle vicende, l'esasperazione dei toni e tutte le condotte processuali sleali rischiano di compromettere la tutela delle vere vittime. Giustamente il legislatore prevede pene severe per i reati di violenza ed il difensore deve essere molto preparato e vigile a tutela delle garanzie costituzionali pure a favore di chi è accusato di crimini violenti. E' importante essere assistiti bene fin dall'inizio del procedimento per evitare di fare scelte sbagliate con conseguenze a volte irreparabili. Non sempre chi è accusato di violenza è veramente colpevole
Purtroppo non mancano casi in cui le denunce sono false e "strategiche" a richieste economiche. Non bisogna assolutamente dimenticare chi è oggetto di tali azioni strumentali e condannare chi utilizza in modo scorretto le armi che giustamente lo stato fornisce alle vere persone offese. Non sempre chi deve affrontare questi processi è colpevole. Chi è vittima di un reato deve trovare il coraggio di denunciare, ma chi è ingiustamente accusato deve trovare la forza di difendersi.
Reati contro il patrimonio, Omicidio, Sostanze stupefacenti, Diritto penitenziario, Diritto bancario e finanziario, Usura, Fallimento e proc. concorsuali, Diritto commerciale e societario, Malasanità e responsabilità medica, Incidenti stradali, Cassazione, Gratuito patrocinio, Multe e contravvenzioni.
L'Avvocato Emanuele Crozza assiste il gestore di uno dei locali coinvolti nell'indagine della Procura della Repubblica di Torino sulla movida Torinese
L'Avvocato Emanuele Crozza ha rappresentato i famigliari di una delle vittime nel processo Thyssenkrupp.
Il tema della parità di genere è un tema molto delicato che deve essere affrontato con cautela in qualsiasi ambito soprattutto in questo periodo storico dove purtroppo le notizie di cronaca i titoli di giornale ci ricordano, se ce ne fosse bisogno, che siamo ben lontani dall’avere culturalmente una parità di genere e questo nonostante i proclami, le leggi, tutti i convegni e le manifestazioni il percorso è sicuramente quindi ancora lungo. È giusto continuare ad incontrarsi e confrontarsi, cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica ed è auspicabile che il legislatore produca leggi per prevenire la violazione di determinati diritti. Quando il problema è grave giustamente lo Stato si munisce di armi forti, però le armi forti sono pericolose e vanno usate con molta cautela. Il problema nel problema rischia di essere l’abuso di queste armi forti che giustamente lo stato prevede, e mi riferisco alle denunce paventate o presentate a fini prettamente strumentali. Purtroppo è un fenomeno che esiste e che mette in difficoltà gli operatori. Denunce e richieste di aiuto fondate rischiano di non avere risposte o di non avere risposte in tempi brevi, anche a causa di questo fenomeno. Chi è vittima di false denunce deve trovare la forza di difendersi
BANCAROTTA FRAUDOLENTA E CODICE DELLA CRISI D’IMPRESA La disciplina dell'art. 322 prevista dal Codice della crisi di impresa, D.Lgs. n. 12 gennaio 2019, n. 14, è in vigore dal 1 luglio 2022, per quanto previsto dall'art. 389, comma 1, del medesimo decreto, come modificato dall'art. 42, comma 1, lett. a) del D.L. 30 aprile 2022, n. 36, convertito con modificazioni dalla L. 29 giugno 2022, n. 79. La Corte di Cassazione (Cass. Pen. Sez. V. Sentenza n. 33810/2023) ha ribadito come la nuova disposizione incriminatrice, che reca la medesima rubrica "Bancarotta fraudolenta", replica le stesse condotte già previste nell'art. 216 L. Fall., cosicché l'unico elemento innovativo è di natura lessicale e attiene all'uso dei termini "fallito" e "fallimento", che vengono sostituiti con il riferimento a "l'imprenditore dichiarato in liquidazione giudiziale" e "liquidazione giudiziale", nonché alla modifica della disciplina delle pene accessorie fallimentari, conseguente alla sentenza della Corte Costituzionale, n. 222/2018, che già aveva prodotto i suoi effetti sostanziali. D'altro canto, è stato correttamente osservato in dottrina come il principio di continuità fra le fattispecie criminose, prefissato dall'art. 2, comma 1, lett. a), L. 155 del 2017, è rifluito nella previsione dell'art. 349 del Codice della crisi che stabilisce con norma generale: " 1. Nelle disposizioni normative vigenti i termini "fallimento", "procedura fallimentare", "fallito" nonchè le espressioni dagli stessi termini derivate devono intendersi sostituite, rispettivamente, con le espressioni "liquidazione giudiziale", procedura di liquidazione giudiziale" e "debitore assoggettato a liquidazione giudiziale" e loro derivati, con salvezza della continuità delle fattispecie ". Proprio il riferimento alla "salvezza della continuità delle fattispecie" viene anche declinato attraverso la disciplina dell'art. 390, comma 3, del Codice della crisi, che prevede che in relazione alle procedure a trattarsi con la disciplina della legge fallimentare, " quando...sono commessi i fatti puniti dalle disposizioni penali del titolo sesto del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonchè della sezione terza del capo II della L. 27 gennaio 2012, n. 3, ai medesimi fatti si applicano le predette disposizioni ". In sostanza, il legislatore del Codice della crisi per sgombrare il campo da equivoci, pur a fronte, nel caso in esaminato dalla Cassazione relativo agli artt. 216 L. Fall. e 322 Codice della crisi, di precetti e sanzioni assolutamente identici, comunque prevede che debba, per i fatti anteriori alla vigenza dell'art. 322, continuare ad applicarsi la disciplina dell'art. 216 L. Fall. Va evidenziato come neanche il mutamento quanto al profilo civilistico della disciplina ha rilievo, in quanto la sentenza dichiarativa di fallimento fa stato in sede penale e risulta immutata in assenza di esplicite previsioni normative in senso opposto. Quanto alle ricadute penali delle modifiche in sede civile, va inoltre richiamato l'autorevole intervento che ha consolidato in modo definitivo il principio per cui il giudice penale, investito del giudizio relativo a reati di bancarotta ex artt. 216 e seguenti R.D. 16 marzo 1942, n. 267, non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell'impresa e ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità dell'imprenditore. Il caso era proprio relativo a una modifica della disciplina dei presupposti per la dichiarazione di fallimento, apportata all'art. 1 R.D. n. 267 del 1942 dal D.Lgs. n. 9 gennaio 2006, n. 5 e dal D.Lgs. n. 12 settembre 2007, n. 169, che le Sezioni Unite chiarirono non avere alcuna influenza ai sensi dell'art. 2 c.p. sui procedimenti penali in corso (Sez. U, n. 19601 del 28/02/2008, Niccoli, Rv. 239398 - 01; Sez. 5, n. 21920 del 15/03/2018, Sebastianutti, Rv. 273188 - 01; Sez. 5, n. 9279 del 08/01/2009, Carottini, Rv. 243160 - 01). Pertanto, in tema di bancarotta fraudolenta, sussiste piena continuità normativa fra la previsione dell'art. 216 L. Fall. e l'art. 322 del Codice della crisi e dell'insolvenza di impresa (D.Lgs. n. 12 gennaio 2019, n. 14) in vigore dal 1 luglio 2022, per quanto previsto dall'art. 389, comma 1, del medesimo decreto, come modificato dall'art. 42, comma 1, lett. a) del D.L. 30 aprile 2022, n. 36, convertito con modificazioni dalla L. 29 giugno 2022, n. 79., per l'identità della formulazione delle due norme incriminatrici, al netto di non rilevanti, in sede penale, aggiornamenti lessicali e la disciplina antecedente, da applicarsi ai sensi della disciplina transitoria dell'art. 390, comma 3, Codice della crisi, in ordine a tutti i casi in cui vi sia stata dichiarazione di fallimento, non determina alcun trattamento deteriore, rilevante ai fini dell'art. 2 c.p.. Avv. Emanuele Crozza
Purtroppo siamo ben lontani dall’avere culturalmente una parità di genere. Quando il problema è grave giustamente lo Stato si munisce di armi forti, però le armi forti sono pericolose e vanno usate con molta cautela. Il problema nel problema rischia di essere l’abuso di queste armi, e mi riferisco alle denunce paventate o presentate a fini prettamente strumentali. Denunce e richieste di aiuto fondate rischiano di non avere risposte o di non avere risposte in tempi brevi, anche a causa di questo fenomeno. Non bisogna assolutamente dimenticare chi è vittima di denunce e rivendicazioni strumentali e condannare chi utilizza in modo scorretto le armi che giustamente lo stato fornisce alle vere vittime. Chi è vittima deve trovare il coraggio di denunciare perché solamente uscendo dal silenzio si può combattere la violenza di genere, ma chi è ingiustamente accusato deve trovare la forza di difendersi.
Con il termine codice rosso si intende un pacchetto di norme entrate in vigore nel 2019 in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, pacchetto di norme che prevede un inasprimento delle sanzioni, dei nuovi reati nonché delle modifiche alle procedure per cercare di garantire più tutela alle vittime. Tra i temi che noi avvocati abbiamo dovuto affrontare maggiormente ci sono la sospensione condizionale della pena, l’aggravamento delle sanzioni e la sospensione dell’ordine di carcerazione. Nel mio intervento ho anche affrontato il problema delle c.d. denunce strumentali
MANDATO D’ARRESTO EUROPEO: PER CHI E’ AFFETTO DA HIV E’ NECESSARIO UN PROGRAMMA SANITARIO INDIVIDUALIZZATO Avverso la sentenza con la quale la Corte d’Appello di Torino disponeva la consegna di un cittadino straniero affetto da HIV, l’Avvocato Emanuele Crozza presentava ricorso in Cassazione. La Corte di Cassazione con la sentenza in oggetto (Cass. Sez. VI Pen. n.30997 n. sez. 1394 del 14 Luglio 2023) ha accertato che la Corte d’Appello di Torino non aveva escluso in termini adeguati la sussistenza di un concreto rischio di violazione dei diritti fondamentali della persona, sia riguardo allo spazio minimo individuale, sia riguardo al trattamento sanitario riservato ad un soggetto affetto da HIV. Pertanto la Corte di Cassazione annullava la sentenza della Corte d’appello e rinviava ad altra sezione per un nuovo giudizio. La Corte d’Appello di Torino, seguendo le indicazioni della Suprema Corte e preso atto del mancato invio di informazioni complementari, rigettava la richiesta di consegna e ordinava l’immediata liberazione del detenuto. Avv. Emanuele Crozza
Purtroppo siamo ben lontani dall’avere culturalmente una parità di genere. Quando il problema è grave giustamente lo Stato si munisce di armi forti, però le armi forti sono pericolose e vanno usate con molta cautela. Il problema nel problema rischia di essere l’abuso di queste armi, e mi riferisco alle denunce paventate o presentate a fini prettamente strumentali. Denunce e richieste di aiuto fondate rischiano di non avere risposte o di non avere risposte in tempi brevi, anche a causa di questo fenomeno. Non bisogna assolutamente dimenticare chi è vittima di denunce e rivendicazioni strumentali e condannare chi utilizza in modo scorretto le armi che giustamente lo stato fornisce alle vere vittime. Chi è vittima deve trovare il coraggio di denunciare perché solamente uscendo dal silenzio si può combattere la violenza di genere, ma chi è ingiustamente accusato deve trovare la forza di difendersi.
L’art. 187 C.d.S. punisce il soggetto che si mette alla guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, prevedendo tra l’altro la revoca della patente nel caso in cui lo stesso soggetto abbia causato un incidente. Se le indagini tossicologiche (esami del sangue/urine) risultano NON NEGATIVE, gli operatori inviano alla compente Procura della Repubblica la notizia di reato. Solitamente il PM richiede ed ottiene un Decreto Penale di condanna al quale, se si ritiene di non essersi messi alla guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, è possibile fare opposizione entro 15 giorni dalla notifica. Se, invece, il PM procede con la notifica dell’avviso ex art 415 bis cpp, è possibile chiedere di essere sentiti entro 20 giorni dalla notifica, sempre se si ritiene di non essersi messi alla guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti Infatti la Corte di Cassazione IV sezione penale con la sentenza n.7199 del 2024 ribadito il principio secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art 187 C.d.S., non è sufficiente che l'agente si sia posto alla guida del veicolo subito dopo aver assunto droghe, ma è necessario che egli abbia guidato in stato di alterazione causato da tale assunzione (Sez. 4, n. 41376 del 18/7/2018, Basso, Rv. 274712-01; n. 15078 del 17/1/2020, Gentilini, Rv. 279140, in cui, in motivazione la Corte ha chiarito che, diversamente dall'ipotesi di guida sotto l'effetto di alcool, la mera alterazione non è punibile, se non derivante dall'uso di sostanza, né è punibile il semplice uso non accompagnato da alterazione). In altri termini la condotta tipica della contravvenzione di cui all’art 187 C.d.S. non è quella di chi guida dopo avere assunto sostanze stupefacenti, bensì quella di colui che guida "in stato di alterazione psicofisica" determinato da tale assunzione e, pertanto, perché possa affermarsi la responsabilità dell'agente non è sufficiente provare che, precedentemente al momento in cui lo stesso si è posto alla guida, egli abbia assunto stupefacenti, ma altresì che egli guidava in stato di alterazione causato da tale assunzione. Ciò richiede, quindi, non soltanto l'accertamento del dato storico dell'avvenuto uso di sostanze stupefacenti, ma anche quello dell'influenza sulle condizioni psico-fisiche dell'assuntore durante il tempo della guida del veicolo. Tale ultimo accertamento può essere dimostrato attraverso gli esami biologici dimostrativi della avvenuta precedente assunzione dello stupefacente in associazione ai dati sintomatici rilevati al momento del fatto (con la valorizzazione delle deposizioni raccolte e del contesto in cui il fatto si è verificato), senza che sia però necessario espletare una specifica analisi medica (nella specie, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di condanna, sul rilievo che il giudice di merito non aveva spiegato specifica motivazione a supporto della necessaria alterazione attraverso puntuale valorizzazione del contesto) (Sez. 4, n. 12409 dei 06/03/2019, non mass.). Nel caso preso in esame il giudice aveva totalmente omesso di argomentare a riguardo di questo essenziale elemento della fattispecie illecita, avendo in realtà omesso in radice di rendere motivazione circa la relazione ravvisata tra i dati di fatto così come esposti e la previsione legale. Del tutto assente, quindi, l'esplicitazione del percorso logico-giuridico che è a monte della pronuncia di condanna. E se la presentazione delle circostanze rilevanti (presenza di cannabinoidi nel sangue, coinvolgimento in uri incidente stradale senza interessamento di altri veicoli, condizione di conducente di tale veicolo) può valere, per significatività di esse, quale implicita esplicazione del giudizio di ricorrenza di alcuni elementi di fattispecie, altrettanto non può dirsi per l'esistenza di alterazione psico-fisica durante le fasi della guida del veicolo.
L'Avvocato Emanuele Crozza è stato invitato a parlare dell'eventuali responsabilità penali dell'amministratore di condominio nelle pratiche del c.d. superbonus
L'Avvocato Emanuele Crozza ha partecipato alla convegno organizzato dal Consiglio dell'Ordine di Torino - Commissione Pari Opportunità "Il bambino conteso dinamiche famigliari e processuali", affrontando il delicato tema della c.d alienazione parentale e della sua possibile rilevanza penale
Il piano programmatico della città per contrastare la Movida viene annunciato in procura davanti a esercenti e magistrati. È il sindaco Stefano Lo Russo a sedersi, ieri pomeriggio, alla tavola rotonda voluta dal pm Gianfranco Colace , per trovare una soluzione: garantire il riposo ai residenti e lasciare il giusto spazio ai giovani «per divertirsi». Schiamazzi, notti insonni, risse, casse acustiche abusive e degrado: più volte i titolari (alcuni assistititi dall'Avv. Emanuele Crozza) hanno chiesto aiuto alle forze dell’ordine. «Servono più vigili e poliziotti, da soli non ce la facciamo». Una richiesta che il Comune per ora non può soddisfare, ma che Palazzo civico ha già ribadito più volte nei tavoli in prefettura. I locali dovranno essere presidiati da steward e ci sarà l’obbligo di rilevare il proprio “rumore” nei dehor e non più solo all’interno. Dovranno esporre cartelli che indicano il numero massimo di avventori ai tavoli esterni. E sarà introdotto il divieto di aperture per esercizi con spazi inferiori ai 75 metri quadrati (prima il limite era 50). Per il sindaco Lo Russo sono questi i quattro obiettivi, quelli che gli esercenti devono soddisfare entro la fine di settembre: sono 14 i locali di Vanchiglia (tutelati dagli avvocati Emanuele Crozza, Anna Maria Paglia, Laura Martinelli e Antonio Vallone), finiti nel mirino della procura
SOTTRAZIONE FRAUDELENTA AL PAGAMENTO DELLE IMPOSTE E CARTELLE ESATTORIALI Il D. Lgs. n. 74 del 2000, art. 11 ("sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte") sanziona, nell'ipotesi di cui al comma 1, la condotta di chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte, di ammontare complessivo superiore a Euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva, applicandosi una pena edittale più elevata laddove l'ammontare delle imposte, degli interessi e delle sanzioni, sia superiore a Euro duecentomila. La giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, n. 17071 del 04/04/2006, De Nicolo, Rv. 234322; Sez. 3, n. 14720 del 06/03/2008, Ghiglia, Rv. 239971; Sez. 3, n. 39079 del 09/04/2013, Barei, Rv. 256376; Sez. 3, n. 13233 del 24/02/2016, Pass., Rv. 266771), ha chiarito che al fine della configurabilità del reato non è più necessario l'effettivo avvio di un qualsiasi accertamento fiscale , essendo ora sufficiente che l'azione sia idonea a rendere inefficace l'esecuzione esattoriale, configurandosi dunque l'illecito penale in termini di reato di pericolo concreto (sul punto cfr. Sez. 3, n. 13233 del 24/02/2006, Pass., Rv. 266771" cit.), integrato dal compimento di atti simulati o fraudolenti volti a occultare i propri o altrui beni, idonei - secondo un giudizio ex ante che valuti la sufficienza della consistenza patrimoniale del contribuente rispetto alla pretesa dell'Erario - a pregiudicare l'attività recuperatoria dell'amministrazione finanziaria (Sez. 3, n. 46975 del 24/05/2018, F., Rv. 274066). Con riguardo, in particolare, alla nozione di " atti fraudolenti ", deve evidenziarsi che devono ritenersi tali tutti quei comportamenti che, quand'anche formalmente leciti , siano tuttavia connotati da elementi di inganno o di artificio, dovendosi cioè ravvisare l'esistenza di uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all'esecuzione (Sez. 3, n. 29636 del 02/03/2018, 02/07/2018, Auci, Rv. 273493; Sez. 3, n. 25677 del 16/05/2012, Rv. 252996). Per "atto fraudolento" deve perciò intendersi qualsiasi atto, connotato da una componente di artificio, inganno o menzogna, che sia idoneo a rappresentare ai terzi una realtà (la riduzione del patrimonio del debitore) non corrispondente al vero, mettendo a repentaglio - o comunque rendendo più difficoltosa - l'azione di recupero del bene in tal modo sottratto alle ragioni dell'Erario. (Sez. 3, n. 35983 del 17/09/2020, dep. 2020, Colanzi, Rv. 280372; Sez. 3, n. 10763 del 12/02/2021, Huang, Rv. 281099; v. anche, a proposito della nozione dli atto fraudolento, Sez. U, n. 12213 del 21/12/2017, dep. 2018, Zucchi, Rv. 272171). Poiché il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte è reato di pericolo, per il quale non rileva l'avvenuta emissione, in tutto o in parte, di cartelle esattoriali , per la sua configurabilità è richiesta soltanto l'esistenza di un credito erariale relativo, per capitale, interessi e sanzioni, a imposte sui redditi o sul valore aggiunto, suscettibile di essere azionato coattivamente (Sez. 3, n. 37178 del 30/09/2020, Pisciottano, Rv. 280449; Sez. 3, n. 10763 del 12/02/2021, Filip, Rv. 281329, secondo cui è "sufficiente, quale presupposto del reato, l'esistenza, al momento della condotta illecita, di un debito verso l'Amministrazione finanziaria, sebbene non ancora precisamente determinato, ed eventualmente nemmeno oggetto di procedure di accertamento, purché per un ammontare complessivo stimabile in una somma superiore a Euro cinquantamila). Secondo la Cassazione rappresenta condotta fraudolenta il compimento di atti negoziali privi di reale giustificazione (la costituzione in fondo patrimoniale dei beni immobili e la successiva donazione al figlio dell'immobile) se non quella di sottrarre i beni che ne hanno costituito l'oggetto al soddisfacimento delle ragioni erariali, salvaguardando il patrimonio familiare, prima apponendovi un vincolo di destinazione e poi trasferendone a titolo gratuito una parte, senza alcuna giustificazione, al figlio, allo scopo di tutelare gli interessi del proprio figlio e volte a sottrarre i beni al soddisfacimento delle ragioni erariali, o, comunque, a renderle più difficoltose. (CASS. PEN. SEZ. III Sent. N.19603 del 2023) Avv. Emanuele Crozza
Le Sezioni Unite penali hanno affermato che le omesse o false indicazioni di informazioni contenute nell’autodichiarazione finalizzata a conseguire il reddito di cittadinanza integrano il delitto di cui all’art. 7 d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, solo se funzionali ad ottenere un beneficio non spettante ovvero spettante in misura superiore a quella di legge.
La Convenzione del Consiglio d'Europa sul crimine informatico sottoscritta a Budapest nell'anno 2001 si riferisce ai reati commessi a mezzo di sistemi informatici ovvero a dati in questo contenuti o trasmessi anche attraverso reti informatiche. In tale specifico contesto sono stati indicati gli strumenti ritenuti idonei a tutelare l'efficacia delle indagini e a garantire il diritto di difesa. Con la legge n. 48 dell'anno 2008 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla criminalità informatica, fatta a Budapest il 23 novembre 2001, e norme di adeguamento dell'ordinamento interno), per quanto in questa sede di rilievo, il legislatore ha inserito il comma 1 bis nell'art.247 cod. proc. pen., art 254 bis cod. proc. pen., il comma 1 bis nell'art.352 cod. proc. pen. e ha modificato il comma 2 dell’art 254 cpp. Le norme citate fanno riferimento alle attività (perquisizione, sequestro e acquisizione) relative a "dati informatici", a "informazioni e programmi informatici" e a "sistemi informatici". A fronte di tali specifiche indicazioni il regime di acquisizione dei documenti, anche se contenuti in un file memorizzato su di un supporto informatico, quale è un'immagine o una videoripresa riversata su di una c.d. chiavetta usb, un cd, un dvd o anche trasmesso a mezzo mail, non è mutato . L’art 234 cpp, d'altro canto, prevede che "è consentita l'acquisizione di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia e qualsiasi altro mezzo" e ciò impone di ritenere che, ai fini dell'utilizzazione, non abbiano alcun rilievo la natura del supporto e la modalità, analogica ovvero digitale, che garantiscono la conservazione e la visione del documento. La norma, infatti, per mezzo dell'enunciazione di cosa debba intendersi per documento, non si interessa della concreta modalità di conservazione dello stesso, indicandone esclusivamente le caratteristiche oggettive ("documenti che rappresentano fatti, persone o cose"). Ragione questa per cui il fatto che l'evoluzione tecnologica consente ora, grazie al processo di digitalizzazione, la minimizzazione fisica del supporto su cui le immagini possono essere conservate e la facilitazione delle modalità di archiviazione e successiva estrapolazione, non autorizza a ritenere mutata la natura di documento del file, certamente conforme a quanto previsto dall'art. 234 cod. proc. pen. quanto a disciplina delle acquisizioni documentali (sul punto Sez. 6, n. 15838 del 20/12/2018 dep. 2019, Viviano, Rv. 275541 - 01; con specifico riferimento alla natura di documento da riconoscersi alle videoriprese Sez. U, n. 26795 del 28/03/2006, Prisco, Rv. 234267 - 01; Sez. 1, n. 27850 del 02/12/2020, dep. 2021, Caramia, Rv. 281638 - 01). L'unica differenza che allo stato appare possibile evidenziare in ordine a tale peculiare categoria di documenti è, come di recente indicato, che la copia estratta da un documento informatico ha la medesima valenza probatoria del dato originariamente acquisito, salvo che se ne deduca e dimostri la manipolazione poiché il riversamento su file, ovvero l'estrapolazione di fotogrammi, non altera, di per sé, il medesimo documento contenuto nel server e, pertanto, le copie così ottenute corrispondono a quanto originariamente acquisito (Sez. 6, n. 12975 del 06/02/2020, Ceriani, Rv. 278808 - 03; Sez. 6, n. 15838 del 20/12/2018 dep. 2019, Viviano, Rv. 275541 - 01). Cassazione penale Sez. I n 10378 del 2024
L'intervento dell'avvocato Emanuele Crozza si è incentrato sulla responsabilità penale nell'ambito del diritto alimentare ed in particolare con riferimento alla tracciabilità e la rintracciabilità dei prodotti
L'intervento dell'Avvocato Emanuele Crozza ha ad oggetto l'indennità ed il compenso per il Curatore Speciale e l'Amministratore di Sostegno, tema delicato ed oggetto diverse letture da parte dei Tribunali e dell'Agenzia dell'Entrate
L'Avvocato Emanuele Crozza si è laureato nel 1998 presso l’Università di Bologna ed ha frequentato il Master per Giuristi d’Impresa presso la S.A.A. di Torino ove ha approfondito gli aspetti penali e civili del diritto d’impresa.
"USURA BANCARIA, UN CONVEGNO A TORINO SPIEGA COME DIFENDERSI" Argomento cardine in scaletta sono i comportamenti da adottare per essere realmente consumatori consapevoli “in caso di usura e anatocismo bancario, truffe contrattuali, fideiussioni eccessivamente onerose, atti impositivi e anomalie finanziarie: tutte azioni scorrette che costituiscono un pericolo per i risparmi e i patrimoni dei cittadini”, spiega l'Avvocato Emanuele Crozza. “E' fondamentale portare all'attenzione dei consumatori ogni qualsivoglia azione tesa a generare sana informazione consapevole su argomenti di estrema e bruciante attività, sui quali i media stessi forniscono contenuti spesso superficiali e per nulla esaustivi. E' opportuno ricordare alle persone che sono sempre più numerose e frequenti le sentenze emesse dai tribunali di tutta Italia a favore dei correntisti
L'avvocato Emanuele Crozza è stato uno dei primi avvocati ad interessarsi del problema dei c.d. "tangobond". Moltissimi investitori avevano investito in titoli di Stato argentini, diventati poco più di carta straccia dopo la crisi economica del Paese sudamericano. L'avv. Emanuele Crozza rappresentò diversi di questi "risparmiatori traditi", aiutandoli a far valere i propri diritti nei confronti delle banche.
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