Avvocato Francesco Caretti a Firenze

Francesco Caretti

Avvocato a Firenze

Informazioni generali

Nel rispetto del Codice deontologico forense l’Avvocato Francesco Caretti fornisce un servizio di consulenza e assistenza legale in tutti i settori del diritto civile anche in gratuito patrocinio. Il servizio professionale di consulenza e assistenza legale può essere fornito in studio o al domicilio, sia in ambito giudiziale che stragiudiziale, grazie all’ausilio di una vasta rete di collaboratori. Il cliente verrà aggiornato in ogni fase della gestione della pratica in maniera costante e puntuale anche e soprattutto attraverso l’ausilio delle nuove tecnologie.

Esperienza


Diritto civile

Ho seguito divorzi di ogni tipo, a partire dalle coppie con figli che non riescono più a convivere, fino ad arrivare ai casi più complessi di tradimento e di violenza familiare. La terminazione del rapporto coniugale comporta punti critici che mi trovo spesso ad affrontare, quali ad esempio l’affidamento e le questioni patrimoniali. Fornisco sia assistenza per il divorzio congiunto che giudiziale, qualora non si riuscisse ad ottenere un accordo condiviso. In quanto padre posso comprendere a fondo le dinamiche familiari non solo da un punto di vista legale ma anche pratico.


Diritto di famiglia

Sono specializzato nel fornire assistenza legale nell’ambito della convivenza coniugale, per quando riguarda diritti e doveri dei coniugi, questioni patrimoniali, adozioni, separazione e divorzio. Durante la mia carriera professionale ho seguito decine di clienti che sono rimasti soddisfatti del mio operato.


Eredità e successioni

Sono specializzato nel fornire assistenza legale nell’ambito successorio materia di specializzazione. Dopo aver conseguito laurea in diritto di famiglia e delle successioni ho svolto Master in materia presso la facoltà di Bologna acquisendo ottima preparazione nelle suddette materie.


Altre categorie

Unioni civili, Separazione, Divorzio, Tutela dei minori, Recupero crediti, Pignoramento, Contratti, Immigrazione e cittadinanza, Diritto immobiliare, Diritto condominiale, Locazioni, Incidenti stradali, Multe e contravvenzioni, Tutela del consumatore, Malasanità e responsabilità medica, Gratuito patrocinio, Sovraindebitamento, Risarcimento danni.



Credenziali

Pubblicazione legale

Diritto di proprietà e diritti accessori: efficacia delle sentenze, prescrizione, usucapione.

Pubblicato su IUSTLAB

Il Tribunale di xxx, il 22.3.1993, condanna, da una parte, la Cooperativa Edilizia Alfa (dante causa del Condominio Beta per quanto attiene una problematica relativa allo scolo delle acque) ad eliminare il terrazzo realizzato in aderenza alla parte tergale del fabbricato dei Sig.ri Rossi; ad eliminare le inferriate e grate poste alle finestre dell’immobile dei Sig.ri Rossi; ad eliminare lo scolo delle acque pluviali sul tetto dell’edificio di proprietà Sig.ri Rossi; Il Tribunale di xxx con la stessa sentenza, condanna i Sig.ri Rossi a demolire la gronda nella parte in cui invade la proprietà del Condominio Beta. Ad oggi, non è stata data esecuzione a nessuna delle suddette decisioni giudiziali contenute nella sentenza del 22.3.1993. Per quanto attiene ciò che compete il Condominio Beta, solo nel 2005, per la prima volta, i Sig.ri Rossi per il tramite del proprio legale, reclamano, tramite lettera raccomandata, l’eliminazione dello scarico delle acque pluviali dal tetto di loro proprietà. Ebbene, la richiesta del legale dei Sig.ri Rossi giunge oltre i dieci anni previsti dalla Legge per far valere un diritto scaturiente da sentenza e dunque viene considerata, ed è da considerarsi, inammissibile. Ed infatti, il legale del Condominio Beta eccepisce l'avvenuta prescrizione del diritto azionato con la sentenza, in quanto, lo si ripete, il termine di prescrizione per i diritti che trovano fondamento in una sentenza è di 10 anni. Tuttavia va considerato che il diritto di proprietà, e tutte le facoltà e i diritti ad esso accessori, sono imprescrittibili in applicazione del principio per cui " in facultativis non datur praescriptio ". Questo significa che, nel caso di specie, i Sig.ri Rossi, se da un lato non possono piu' avvalersi della sentenza del 1993 , potrebbero però agire nuovamente a tutela del proprio diritto, codificato all’art. 908 del Codice Civile, a non vedersi scaricare le acque pluviali sul proprio fondo. E’ vero anche tuttavia che, come afferma l’art. 948 ultimo comma del Codice Civile: “ L’azione di rivendicazione non si prescrive, salvi gli effetti dell’acquisto della proprietà da parte di altri per usucapione ”. Ciò potrebbe significare che i Sig.ri Rossi avrebbero perso la possibilità di ottenere una nuova sentenza che condanni il Condominio ad eliminare lo scolo se e solo se nel frattempo il Condominio, per effetto dell'inerzia dei Sig.ri Rossi e del tempo trascorso, avesse acquisito per usucapione il diritto a mantenere lo scolo, a titolo di servitu'. E’ dunque necessario verificare se in virtù della usucapione possano aprirsi delle possibilità per il Condominio a mantenere la gronda sul tetto dei Sig.ri Rossi. Infatti , l’art.1158 del Codice Civile, che disciplina l’usucapione dei diritti reali immobiliari, potrebbe offrire al Condominio la possibilità di acquistare il diritto di servitù di scolo d’acqua (art. 1094 e segg. C.c.) sul fondo di proprietà dei Sig.ri Rossi: a i fini dell'acquisto per usucapione di un diritto di servitù, l'elemento oggettivo del possesso viene integrato dalla semplice utilizzazione di fatto, da parte del proprietario di un fondo, di un contiguo immobile altrui, a vantaggio del proprio. Il Codice, però, prevede che debba necessariamente decorrere un periodo di possesso continuativo, che ai sensi dell'art. 1159 c.c. può essere decennale (solo nei casi di possesso in buona fede e di un titolo, trascritto, idoneo a trasferire il diritto), o secondo quanto prescrive l'art. 1158 c.c. che deve essere ventennale. Nel caso di specie, però, dalla data della sentenza 22.3.1993, non sono ad oggi ancora trascorsi venti anni di possesso continuato, sul punto precisando che non possono avere valore ai fini di una eventuale interruzione del termine ventennale occorrente al Condominio per l’usucapione le lettere raccomandate inviate medio tempor e dal legale dei Sig.ri Rossi: dottrina e giurisprudenza paiono affermare che per interrompere la durata del possesso necessario ad usucapire bisogna, o iniziare una causa - perché solo con la notifica dell'atto si può interrompere il periodo necessario a far maturare l'usucapione -, oppure occorre il chiaro riconoscimento del diritto dell'altra parte. Una semplice lettera di diffida, nemmeno nella forma della raccomandata, sarebbe dunque sufficiente in casi consimili. Sul punto è consolidata la posizione della giurisprudenza, vedasi, ex multis , Cass. civ., Sez.II, 23/11/2001, n.14917:< In tema di usucapione, il rinvio dell'art. 1165 c.c. alle norme sulla prescrizione in generale, ed, in particolare, a quelle relative alle cause di sospensione ed interruzione, incontra il limite della compatibilità di queste con la natura stessa dell'usucapione, con la conseguenza che non è consentito attribuire efficacia interruttiva del possesso se non ad atti che comportino, per il possessore, la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa oppure ad atti giudiziali, siccome diretti ad ottenere ope iudicis la privazione del possesso nei confronti del possessore usucapiente . Non sono, invece, idonei come atti interruttivi del termine utile per l'usucapione la diffida o la messa in mora in quanto può esercitarsi il possesso anche in aperto contrasto con la volontà del titolare del diritto reale >. Per concludere, se i Sig.ri Rossi, entro il 22.3.2013, promuovessero un’azione per far rimuovere la gronda che è posta sul proprio tetto avrebbero ampie possibilità di vedersi nuovamente riconosciuto quel diritto dal giudice, e in quel caso, nell’ambito del procedimento instaurato dai Sig.ri Rossi, il Condominio Beta potrebbe domandare in via riconvenzionale la demolizione della gronda dei Sig.ri Rossi nella parte in cui invade la proprietà del condominio. Se invece i Sig.ri Rossi lasciassero passare la data del 22.3.2013 senza agire giudizialmente, allora il condominio potrebbe aver acquistato per usucapione il diritto di servitù, ossia il diritto di mantenere sul fondo dei sig.ri Rossi (servente) lo scolo delle acque pluviali.

Pubblicazione legale

Emissioni rumorose: confini e limiti alla inibizione e al risarcimento del danno

Pubblicato su IUSTLAB

Molte volte capita di ricevere clienti che intendono citare in giudizio il proprietario di un locale, di un bar, vicino al proprio appartamento, sostenendo che i rumori sarebbero intollerabili e fonte di danno. Ebbene, il nostro Ordinamento prevede la tutela contro le emissioni acustiche che superino la normale tollerabilità (844.c.c.), emissioni che nel caso siano accertate da parte del giudice consentono di ottenere una condanna inibitoria nei confronti dell’esercizio commerciale; sempre il codice civile prevede la possibilità di essere risarciti per il danno biologico, morale ed esistenziale che il cittadino riuscirà a dimostrare sia nel quantum che in punto di nesso di causalità con le emissioni acustiche del locale (ai sensi dell’art 32 Cost. e artt. 2043 e 2059 c.c.) Tuttavia è bene avvertire che quando si parla di immissioni intollerabili non si può fare riferimento ad un parametro soggettivo, quanto bensì l’intollerabilità deve essere debitamente provata attraverso una perizia tecnica che certifichi emissioni acustiche oltre determinati standard fissati dalla legislazione di settore vigente sull’inquinamento acustico. Nel nostro Ordinamento, infatti, vige il principio dell’onere della prova, enunciato dall'articolo 2697 del Codice Civile, che può trovare sintetica formulazione nel brocardo onus probandi incumbit ei qui dicit . Chi chiede il giudizio su un diritto di cui "dice" o "afferma" i fatti costitutivi, deve provare ciò che afferma, con la conseguente responsabilità dell'eventuale difetto di prova. Peraltro, l’art. 844 c.c., letto in positivo, afferma che il proprietario di un fondo può impedire i rumori derivanti dal fondo vicino se, e solo se, essi superano la normale tollerabilità. In sostanza la norma in questione postula il diritto soggettivo, ben definito, alle immissioni tollerabili . Ciò puntualizzato, prudenza vorrebbe, prima di agire in giudizio, che l’attore si premunisca di una perizia, da produrre in giudizio, idonea a dimostrare il superamento dei limiti di emissione acustica da parte del locale, al fine di evitare di soccombere in giudizio e magari dover sostenere anche le spese di lite. Non basterebbe, infatti, agire in giudizio e fare istanza per una consulenza tecnica sulle emissioni sonore incaricata dal Tribunale in quanto, in tal caso, la CTU sarebbe meramente esplorativa e per ciò stesso inammissibile. Infatti, la parte attrice processuale non può certo domandare la nomina di un consulente di ufficio al fine di eludere con disinvoltura l’onus probandi : la consulenza tecnica d’ufficio – che, peraltro, è strumento assolutamente dispendioso – consiste in un mezzo di valutazione delle risultanze delle prove già fornite dalle parti : “ In relazione alla finalità propria della consulenza tecnica d'ufficio, di aiutare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze, il suddetto mezzo di indagine non può essere disposto al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume ed è quindi legittimamente negato dal giudice qualora la parte tenda con esso a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerta di prove ovvero a compiere un'attività esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati ” (cfr., ex multis , Cass. civ., sez. III, 07/03/2001, n.3343, in Mass. Giur. It., 2001). Peraltro, è pacifico che in una materia come quella delle emissioni acustiche solo prove c.d. “scientifiche”, ossia fondate su metodologie, tests e analisi tecniche come mezzi di accertamento, possono avere rilevanza al fine del decidere, per cui anche eventuali prove orali articolate da chi agisce in giudizio rischiano di essere considerate del tutto inconferenti in una causa del genere. La giurisprudenza è granitica sul punto, avendo in più occasioni avuto modo di evidenziare come l’interrogatorio o la prova orale rendono un apprezzamento esclusivamente soggettivo e del tutto privo della necessaria rigorosa valutazione oggettiva e, dunque, certamente inidoneo per individuare il parametro di normale tollerabilità in un emissione acustica : “ le persone possono, infatti, riferire soltanto sulla verità di fatti storici oggettivi dei quali abbiano avuto diretta cognizione, mentre irrilevanti sono i loro apprezzamenti in ordine ai fatti stessi, onde le dichiarazioni che rendano circa l'entità di un fenomeno, implicandone una valutazione informata alle loro personali impressioni, si traducono in una valutazione della quale non ne sono consentite né l'acquisizione agli atti né, pur ove acquisita, l'utilizzazione ai fini della decisione (cfr., ex multis , Cass., sez. II, 18.04.2001 n. 5697 in G.I., 2001, 1818).

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