Avvocato Francesco Dimundo a Bitonto

Francesco Dimundo

Avvocato civilista

Informazioni generali

Rigore morale, autorevolezza e una approfondita conoscenza della materia contraddistingue l'avvocato Francesco Dimundo, il quale fa della sua inesauribile curiosità e competenza il vero motore dei propri successi professionali. Dalla spontaneità dell’approccio scientifico derivano generosità intellettuale e intransigenza nel perseguire i risultati del proprio impegno. Una buona dose di saggia prudenza e di buon senso completano il sua metodo di lavoro. Ogni questione proposta dal cliente viene sempre scandagliata e approfonditamente analizzata prima di avviare un eventuale contenzioso giudiziario

Esperienza


Diritto di famiglia

Mi sono occupato e mi occupo di separazioni e divorzi e, in generale, di ogni situazione di crisi coniugale; prediligo sempre la conservazione del rapporto ove possibile, soprattutto in presenza di figli minori, il cui superiore interesse è il faro e la priorità assoluta del mio operato.


Eredità e successioni

Sono specializzato nella materia successoria per aver trattato un gran numero di questioni relative ad impugnative di testamenti lesivi di quote di riserva, testamenti poi accertati come falsificati ecc. Tutte le questioni trattate in questo campo si sono concluse con il successo delle pretese dei miei clienti.


Separazione

La profonda conoscenza del diritto di famiglia mi ha consentito di assistere i miei clienti nel migliore dei modi nel corso di un cammino difficile e tortuoso come è quello di una separazione. La mia vicinanza umana ed emotiva è sicuramente la carta vincente che mi consente di trattare il cliente prima di tutto come una "persona" e poi come titolare di diritti, obblighi e doveri.


Altre categorie

Diritto civile, Recupero crediti, Pignoramento, Contratti, Diritto condominiale, Locazioni, Sfratto, Risarcimento danni, Incidenti stradali, Diritto immobiliare, Diritto agrario, Diritto del turismo, Diritto assicurativo, Divorzio, Diritto del lavoro, Sicurezza ed infortuni sul lavoro, Tutela del consumatore, Malasanità e responsabilità medica.



Credenziali

Pubblicazione legale

Eredità e assicurazione sulla vita

Pubblicato su IUSTLAB

Nell’anno 2015 Tizio decedeva lasciando quali eredi testamentari i suoi due figli Caio e Sempronia ed un patrimonio di euro 150.000,00 in titoli bancari. Nel testamento Tizio aveva disposto l’assegnazione della somma di euro 50.000,00 in favore di Caio e della somma di euro 100.000,00 in favore di Sempronia. Dopo qualche mese Caio scopriva l’esistenza di una polizza assicurativa sulla vita stipulata da suo padre più di quindici anni prima della sua morte e non menzionata nel testamento. Il corrispettivo di tale assicurazione, corrispondente alla somma di euro 30.000,00, veniva liquidato dall’istituto assicurativo in favore di sua sorella Sempronia, a suo tempo indicata dal padre quale terza beneficiaria nella polizza. Fortemente contrariato, Caio invitava Sempronia - già preferita dal padre in testamento - ad annettere la somma ricevuta dall’assicurazione al patrimonio relitto dal proprio genitore, al fine di dividere il tutto tra di loro. Sempronia di contro opponeva il suo secco rifiuto, certa che la somma di euro 30.000,00 fosse di sua esclusiva proprietà. Caio, quindi, si rivolgeva al suo legale al fine di valutare l’opportunità di un eventuale giudizio. *** E’ bene premettere che la legge riserva una determinata quota di eredità ai cosiddetti “legittimari” nel cui novero sono ricompresi il coniuge del defunto, i suoi figli e ascendenti. Nel caso di specie l’art. 537 del codice civile prescrive che quando i figli sono più di uno, ad essi è riservata la quota di due terzi dei beni relitti dal defunto, da dividersi in parti uguali fra di loro (nel nostro caso, quindi, un terzo cadauno). La rimanente parte dell’eredità è detta “quota disponibile” e può essere attribuita liberamente dal testatore in virtù di preferenze personali. Dal momento, pertanto, che il patrimonio di cui Tizio ha disposto in testamento è costituito da titoli bancari aventi un valore totale di euro 150.000,00, la quota di eredità riservata ad ogni coerede è di euro 50.000,00. Di pari importo è la quota disponibile che nel nostro caso è stata rifusa interamente in favore di Sempronia. Se si considerano, dunque, le sole disposizioni contenute nel testamento, si può ben affermare che il de cuius abbia rispettato il dettato normativo pur favorendo una coerede. V’è da chiedersi, però, se la liquidazione della somma di euro 30.000,00 in favore di Sempronia possa rivelarsi idonea ad incidere sulla bontà della spartizione testamentaria operata dal defunto, ponendo così in essere una lesione di legittima a carico di Caio. In tema di reintegrazione della quota riservata ai legittimari, la norma fondamentale è contenuta nell’art. 556 del codice civile, il quale predica che “ per determinare l’ammontare della quota di cui il defunto poteva disporre si forma una massa di tutti i beni che appartenevano al defunto al tempo della morte, detraendone i debiti. Si riuniscono quindi fittiziamente i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione […] e sull’asse così formato si calcola la quota di cui il defunto poteva disporre . ” E’ evidente che la ratio di tale norma risieda nel chiaro intento di prevenire il rischio che le regole dettate in tema di diritti riservati ai legittimari, possano essere facilmente aggirate attraverso attribuzioni patrimoniali a titolo gratuito operate in vita dal testatore. Ma è possibile equiparare ad una vera e propria donazione la semplice indicazione da parte del de cuius di una persona quale beneficiaria della corresponsione del prezzo di una assicurazione sulla vita? Le corti di merito e di legittimità, chiamate negli anni a giudicare su casi analoghi, hanno elaborato la figura giuridica della cosiddetta donazione indiretta , consistente “nell'elargizione di una liberalità attuata, anziché con il negozio tipico descritto nell'art. 769 del codice civile, mediante un negozio oneroso che produce, in concomitanza con l'effetto diretto che gli è proprio ed in collegamento con altro negozio, l'arricchimento animo donandi del destinatario della liberalità medesima” (Cass. Civ. Sez. II del 21/10/2015 n. 21449). Secondo la giurisprudenza, invero, la donazione indiretta può essere fatta nei modi più vari, purchè caratterizzata dal fine di realizzare una liberalità. Tuttavia, affinchè l’attribuzione si possa considerare sorretta da spirito di liberalità, il donatario non deve essere legato da un vincolo di mantenimento con il donante. E’ quanto chiarito dalla Suprema Corte nella sentenza n. 3263 del 19/02/2016 proprio in tema di prodotti assicurativi sulla vita:“nell'assicurazione sulla vita l'indicazione di un terzo come beneficiario di persona non legata al designante da un vincolo di mantenimento o di dipendenza economica, deve presumersi, fino a prova contraria, compiuta a spirito di liberalità, e costituisce una donazione indiretta”. Nella questione che ci occupa, quindi, occorre preliminarmente appurare se effettivamente Sempronia fosse economicamente indipendente da suo padre. In caso affermativo la somma liquidata in suo favore dall’istituto assicurativo andrebbe senz’altro riunita all’asse ereditario secondo le disposizioni normative sopra illustrate. In tal modo si otterrebbe quale valore totale del patrimonio relitto da Tizio un importo pari ad euro 180.000,00 (150.000,00 + 30.000,00) da cui ricavare la quota di riserva spettante ad ogni coerede. Nella specie un terzo di euro 180.000,00 e, cioè, euro 60.000,00. Da tale computo si evince, pertanto, che Caio sarebbe stato leso nella sua quota di eredità riservatagli dalla legge nella misura di euro 10.000,00. Alla luce delle argomentazioni sopra svolte, Caio ben potrebbe promuovere un’azione di riduzione delle disposizioni testamentarie eccedenti la quota di cui il de cuius poteva disporre.

Pubblicazione legale

I patti successori e la loro nullita’

Pubblicato su IUSTLAB

La Corte di Cassazione, sezione II civile, con sentenza 15 luglio 2016, n. 14566, pres. Mazzacane, rel. Scarpa, ha affermato che "configura un patto successorio vietato dall”articolo 458 c.c., l'atto con il quale due soggetti, nella specie, fratello e sorella, si attribuiscano le rispettive quote della proprietà di un immobile oggetto di futura comunione ereditaria. Dopo aver rammentato che, "per stabilire ...se una determinata pattuizione ricada sotto la comminatoria di nullità” di cui all’articolo 458 c.c., occorre accertare: 1) se il vincolo giuridico con essa creato abbia avuto la specifica finalità di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi ad una successione non ancora aperta; 2) se la cosa o i diritti formanti oggetto della convenzione siano stati considerati dai contraenti come entità comprese nella futura successione; 3) se i disponenti abbiano contrattato o stipulato come aventi diritto alla successione stessa; 4) se l’assetto negoziale convenuto debba aver luogo “mortis causa” (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1683 del 16/02/1995; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2619 del 09/07/1976), la Corte di Cassazione, sezione II civile, con sentenza 15 luglio 2016, n. 14566, ha affermato che " configura un patto successorio vietato dall’articolo 458 c.c., l'atto con il quale due soggetti, nella specie, fratello e sorella, si attribuiscano le rispettive quote della proprietà ” di un immobile oggetto di futura comunione ereditaria, con l’intento di disporre dei diritti che ai sottoscrittori potrebbero spettare sulla successione non ancora aperta del loro genitore. Dà parimenti luogo ad un invalido patto successorio dispositivo (avendo, come suo elemento essenziale, l’intenzione delle parti di regolamentare la disponibilità di un bene che esse, allo stato, riconoscono essere altrui e che prevedono diventerà in futuro di loro pertinenza mortis causa) l'accordo stipulato fra gli aspiranti coeredi di rimanere in comunione, ex articolo 1111 c.c., comma 2, in quanto correlato al recupero della piena disponibilità dell’immobile a seguito dell'estinzione dell'usufrutto gravante su di esso. AVVERTENZA PER IL LETTORE: Questo scritto non approfondisce tutti gli aspetti controversi della questione trattata. Quando hai un problema non accontentarti mai della lettura di saggi o articoli sul web anche perché il diritto è in continua evoluzione e il medesimo fatto potrebbe avere una qualificazione giuridica diversa a distanza di anni. Rivolgiti sempre ad un professionista : lui sa come prevenire i rischi ed evitare i numerosi pericoli che si annidano ovunque e conosce la strada migliore per tutelare adeguatamente i tuoi diritti.

Pubblicazione legale

Edificio costruito dai coniugi su suolo del marito. Che fare in caso di separazione?

Pubblicato su IUSTLAB

Il caso: A distanza di tre anni dal matrimonio Tizio e Mevia, coniugi in regime di comunione legale, edificavano, ciascuno con il proprio patrimonio proveniente dall’attività lavorativa esercitata da prima del matrimonio, un immobile adibito a casa familiare su un suolo unicamente ereditato da Tizio. Nel febbraio 2013, intervenuta la separazione di fatto tra i due, a seguito della quale Mevia si trasferiva presso la residenza del suo nuovo partner, Tizio conseguiva il possesso esclusivo dell’immobile suddetto. A seguito di ciò, intenzionato ad impedire a Mevia di accedere all’immobile, Tizio provvedeva a cedere in favore di un terzo metà del detto immobile, tramite stipula di regolare contratto preliminare di vendita ritualmente trascritto. Con istanza del 21/09/2013 Mevia invitava in mediazione Tizio affermando il proprio diritto di proprietà sull’immobile de quo a suo dire ricadente in comunione legale nonché l’invalidità del contratto preliminare concluso da Tizio unilateralmente senza il suo preventivo consenso, oltre al rimborso delle somme in parte prelevate dal patrimonio comune in parte corrisposte dalla stessa a titolo personale per la realizzazione di detto edificio. Fallito il tentativo di mediazione Mevia si rivolge al suo legale di fiducia al fine di valutare l’opportunità di un eventuale giudizio. **** La prima questione di diritto che si rivela controversa riguarda la effettiva titolarità dell’immobile, già adibito a casa familiare, edificato dai coniugi Tizio e Mevia, i quali hanno contribuito ognuno con il proprio patrimonio personale, e che sorge su un suolo di esclusiva proprietà di Tizio. Per sciogliere questo nodo occorre indagare sulla diversa rilevanza giuridica, all’interno dell’ordinamento, dei due elementi di diritto in apparente conflitto tra loro: la comune contribuzione alla edificazione dell’immobile e l’esclusività della proprietà del suolo edificatorio. Punto di partenza ottimale dell’analisi è la norma contenuta nell’art. 934 del codice civile che, regolamentando l’istituto dell’accessione legale, dispone letteralmente che “qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo “ . Tale norma non è altro che la diretta promanazione storica del principio espresso dal noto brocardo latino “superficies solo cedit”. La titolarità dell’immobile spetterebbe, così, a Tizio, il quale l’avrebbe acquistata per accessione ai sensi dell’art. 934 del codice civile essendo l’unico proprietario del suolo sul quale è stata realizzata la costruzione. E’ d’uopo a questo punto appurare se il principio normativo appena esposto subisce una qualche deroga nel caso in cui un altro soggetto partecipa alle spese di edificazione. Nell’art. 934 c.c. il legislatore ha inserito delle deroghe espresse tassative, accordando la prevalenza su detta norma alle disposizioni contenute negli artt. 935, 936, 937 e 938 del codice e a quanto è diversamente disposto dal titolo o dalla legge. E’ da escludersi a priori che possano trovare ingresso in questa sede le disposizioni normative di cui ai quattro articoli del codice appena menzionati, poiché essi esprimono un temperamento al principio dell’accessione che si giustifica soltanto se si verificano determinate circostanze di fatto che consistono, ad esempio, nell’impiego di materiale altrui per la costruzione o nella edificazione da parte di un terzo ecc.; circostanze che non ricorrono nel caso di specie. Non è, altresì, da ritenere esistente alcuna deroga convenzionale contenuta nel titolo di proprietà del suolo di Tizio (nulla è stato dedotto circa patti di costituzione di diritti di superficie in favore di terzi o altre convenzioni simili). Si è detto che l’elemento apparentemente in conflitto con l’istituto dell’accessione è rappresentato dalla compartecipazione alle spese di costruzione dell’edificio da parte dei coniugi in regime di comunione legale. L’articolo 177 del codice civile sancisce che, oltre agli altri beni, sono oggetto di comunione legale tra coniugi gli acquisti compiuti dai coniugi durante il matrimonio. Nessun elemento nella lettera della norma, seppure indiziario, disvela l’esistenza di alcuna disposizione idonea a derogare l’applicazione dell’accessione legale. La Suprema Corte è ormai allineata sull’orientamento interpretativo della norma che ammetterebbe l’inderogabilità dell’art. 934 c.c. da parte delle norme sulla comunione legale tra coniugi. Con sentenza n. 20508 del 2010, ha sentenziato che “ il principio generale dell’accessione posto dall’art. 934 c.c. non trova deroga nella disciplina della comunione legale tra in coniugi in quanto l’acquisto della proprietà per accessione avviene a titolo originario senza la necessità di un apposita manifestazione di volontà, mentre gli acquisti ai quali è applicabile l’art. 177, I co., c.c. hanno carattere derivativo, essendone espressamente prevista una natura negoziale, con la conseguenza che la costruzione realizzata in costanza di matrimonio ed in regime di comunione legale da entrambi i coniugi sul terreno di proprietà personale esclusiva di uno di essi è a sua volta proprietà personale ed esclusiva di quest’ultimo in virtù dei principi generali in materia di accessione.” (si vedano anche Cass. Civ. n. 8662 del 2008; Cass. Civ. n. 4716 del 1999; Cass. S.U. n. 651 del 1996; Cass.Civ n. 6222 del 1992). Per questi motivi, nessun dubbio sussiste in ordine alla titolarità di Tizio dell’immobile oggetto dell’odierna contesa ed essendo egli e solo egli stesso l’unico soggetto giuridico in grado di poter esercitare legittimamente la signoria sulla cosa, deve ritenersi legittimo ogni atto di disposizione su di essa nei limiti delle facoltà riconosciutegli dall’ordinamento. Non esula, evidentemente, da dette legittime facoltà la costituzione in capo a sé dell’obbligo di cedere una porzione di immobile attraverso la stipula di un contratto preliminare con un terzo. Sul terreno dei diritti reali la posizione giuridica di Mevia resta, dunque, irrimediabilmente sprovvista di tutela dal momento che la proprietà dell’edificio non ricade nella comunione legale. Il legislatore, tuttavia, ha predisposto una valida valvola di sfogo che offre una tutela di natura squisitamente obbligatoria, mediante la configurazione dell’istituto del pagamento dell’indebito oggettivo secondo l’articolo 2033 del codice civile. La stessa giurisprudenza di legittimità che ha interpretato il combinato disposto degli artt. 934 e 177 c.c nel senso dell’inderogabilità dell’accessione, è concorde nel ritenere applicabile la norma di cui all’art. 2033 c.c. alle fattispecie di questo tipo: così da un lato il coniuge che non si è giovato dell’accessione ha diritto alla restituzione delle somme di denaro proprie impiegate nella edificazione, dall’altro il coniuge proprietario è gravato dell’obbligo di restituire alla comunione le somme prelevate dal patrimonio comune occorse anch’esse alla costruzione del manufatto. Lo scopo della norma in esame è quello di tutelare chi ha fatto un pagamento non dovuto il quale ha diritto a ripetere ciò che ha pagato. Per pagamento non dovuto deve intendersi ogni pagamento effettuato in forza di un rapporto obbligatorio inesistente (ritenuto, ad esempio, esistente per errore) o divenuto inesistente. La norma di cui all’art. 2033 c.c., in effetti, pur essendo stata formulata con riferimento all’ipotesi di pagamento non dovuto ab origine , è applicabile in via analogica anche a quei casi in cui l’indebito oggettivo è sopravvenuto perchè è venuta meno la causa debendi , per qualsiasi ragione, in un momento successivo al pagamento (si veda, ex plurimis, Cass. Civ. S.U. n.5624 del 2009). Nel caso che ci occupa è lapalissiano che solo e soltanto il legame di convivenza tra i coniugi possa aver determinato, in passato, la comune partecipazione alle spese di costruzione dell’edificio; ed è altrettanto palese che, una volta cessata la convivenza, per la sopravvenuta separazione di fatto dei coniugi, è inevitabilmente cessata anche la causa negoziale di tali pagamenti, ancorché già effettuati. E’, pertanto, configurabile la sussistenza in capo a Mevia del diritto alla restituzione delle somme di denaro effettivamente impiegate, salvo provarle in giudizio. Nella domanda di ripetizione dell’indebito oggettivo, infatti, l’onere della prova grava sul creditore istante, il quale è tenuto a provare i fatti costitutivi della sua pretesa; e, dunque, sia l’avvenuto pagamento, sia la mancanza di una causa che lo giustifichi o il venir meno di questa, sia l’imputazione dei pagamenti a quel rapporto e non ad altri. Punto, quest’ultimo, sul quale non si pone alcun problema probatorio, poiché è una pacifica evidenza che le spese per la costruzione dell’edificio furono finalizzate alla costituzione di una consona vita familiare all’interno di esso; tanto basta per configurare il nesso eziologico tra i pagamenti e la causa debendi (Mevia, altresì, nulla sarebbe tenuta a provare in giudizio circa il venir meno della causa debendi, essendo la circostanza della separazione di fatto già di per sé idonea a provare la sua inesistenza sopravvenuta). Deve, pertanto, concludersi per la proponibilità della domanda giudiziale da parte di Mevia, che abbia esclusivamente ad oggetto la restituzione da parte di Tizio delle somme da essa versate a titolo personale, oltre alla ricostruzione del patrimonio comune con le somme da esso prelevate per la costruzione dell’edificio un tempo adibito a casa coniugale. AVVERTENZA PER IL LETTORE: Questo scritto non approfondisce tutti gli aspetti controversi della questione trattata. Quando hai un problema non accontentarti mai della lettura di saggi o articoli sul web anche perché il diritto è in continua evoluzione e il medesimo fatto potrebbe avere una qualificazione giuridica diversa a distanza di anni. Rivolgiti sempre ad un professionista : lui sa come prevenire i rischi ed evitare i numerosi pericoli che si annidano ovunque e conosce la strada migliore per tutelare adeguatamente i tuoi diritti.

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