Avvocato Francesco Guido a Cosenza

Francesco Guido

Avv. penalista e civilista esperto in diritto di famiglia, assicurazioni, successioni

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Pronto Soccorso: ricognizione dei requisiti minimi in campo igienico-sanitario e delle prestazioni sanitarie erogate

Scritto da: Francesco Guido - Pubblicato su IUSTLAB

Pubblicazione legale:

La vexata quaestio dell'adeguatezza dei luoghi adibiti a Pronto Soccorso o, per meglio dire ad Unità Operativa Complessa di Emergenza -Urgenza, sotto il profilo giuridico, può essere definita soltanto in termini di riduzione dei margini di indeterminatezza che la normativa tradizionalmente presenta.

Quanto precede è agevolmente comprensibile se si considera che non esiste una legislazione unitaria di settore utilmente invocabile ai fini dell'individuazione dei requisiti che ciascuna struttura deve possedere sì da risultare conforme e, come tale, sicura per l'utenza e per gli operatori sanitari.

La materia è, invece, contraddistinta da indicazioni normative frammentarie ed estremamente mutevoli e ciò proprio in ragione dell'attribuzione alle Regioni di poteri "rafforzati" in tema di organizzazione dei servizi sanitari, a seguito dell'introduzione del novellato Titolo V della Costituzione.

Prescinde da questa sede la pur rilevante opportunità di svolgere un'indagine approfondita circa l'efficacia di un simile assetto costituzionale, ragion per cui l'analisi che ci occupa è esclusivamente mirata a delineare un quadro didascalico delle più "comuni" norme di settore rappresentanti l'impalcatura più o meno diffusa nelle 20 regioni italiane.

Non desti meraviglia l'utilizzo del termine "comune" che, in verità, generalmente, mal si concilia con il comune sentire circa la necessità della "certezza del diritto" vigente sull'intero territorio nazionale.

Purtroppo, però, l'immensa questione dell'inadeguatezza del sistema sanitario di talune regioni (prima fra tutte la Calabria, oramai da anni ultima nelle classifiche stilate da più enti in ordine ai requisiti qualitativi del servizio sanitario offerto), pone in serio dubbio il sostanziale rispetto delle norme generali che, pur vigenti almeno formalmente, dovrebbero valere ad ogni latitudine dello Stato italiano, mentre sovente sono disattese.

Sorgerebbe dunque spontaneo il quesito in ordine alle ragioni per le quali l'ordinamento giuridico non reagisca con determinazione rispetto alle molteplici violazioni sia di norme generali, sia di leggi speciali poste in essere dalle Aziende Ospedaliere, talora persino palesemente, tanto da trovare ampia narrazione sulla stampa cartacea e telematica.

Anche in questo caso l'approfondimento condurrebbe lontano e, comunque, ben oltre il thema della presente trattazione.

Sia sufficiente considerare che ogni ente regionale, pur nei limiti imposti dalla Costituzione, com'è ovvio, attua pienamente il principio dell'autonomia organizzativa di Aziende Ospedaliere, Aziende Sanitarie, Centri Spoke, Centri Hub e medicina del territorio a vario titolo (ivi compresi i medici di famiglia).

Fatto sta che ciascuno di tali organi assume, a sua volta, funzioni di autogoverno, per lo meno limitatamente alla definizione degli obiettivi e delle linee guida, nonché dei controlli igienico-sanitari.

Se a tali considerazioni si aggiunge che non poche sono le aziende sanitarie ed ospedaliere soggette alle norme speciali previste per il commissariamento, mentre addirittura nel caso della Regione Calabria è in carica un commissario regionale ad acta da oltre 10 anni, ben si comprende come la pretesa di definire un quadro normativo unitario non sia difficile, bensì inutile.

Certamente appare, per altro verso, opportuno annoverare le principali linee guida in tema di organizzazione dei servizi sanitari, avuto riguardo dell'irrinunciabile necessità (soprattutto in tempo di pandemia da Covid-19) di approntare tutte le idonee condizioni igienico-sanitarie ritenute conformi agli orientamenti scientifici prevalenti, soprattutto a beneficio degli ambulatori e dei locali complementari ed annessi ove hanno sede i Pronto Soccorso.

L'itinerario della ricognizione normativa in argomento non può che partire dal principale assetto legislativo in materia di individuazione dei Livelli essenziali di assistenza sanitaria ( i cosiddetti LEA): il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001, e successive modificazioni, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale in data 08 febbraio 2002 al n. 33.

Nell'allegato 1 del Decreto, alla lettera G, è prescritto che sull'intero territorio nazionale debbano essere garantite: a) attività sanitaria e sociosanitaria rivolta alle persone con problemi psichiatrici e alle loro famiglie; b) attività riabilitativa sanitaria e sociosanitaria rivolta alle persone con disabilità fisica, psichica e sensoriale; c) attività sanitaria e sociosanitaria rivolta alle persone dipendenti da sostanze stupefacenti o psicotrope o da alcool; d) attività sanitaria e sociosanitaria rivolta a pazienti nella fase terminale; e) attività sanitaria e sociosanitaria rivolta alle persone con infezione da HIV.

Posto che più d'una di tali attività dovrebbero svolgersi regolarmente anche presso gli ambulatori dei Pronto Soccorso, è agevole rilevare come, ad esempio in tema di trattamento delle patologie psichiatriche, non di rado tali reparti siano completamente sprovvisti degli idonei mezzi per la gestione in sicurezza di simili pazienti.

A favore di tale interpretazione - e cioè della necessità che all'interno del Pronto Soccorso dovrebbero normalmente realizzarsi, quantomeno, i primi interventi di messa in sicurezza dei pazienti affetti da patologie psichiatriche - milita un altro argomento.

L'allegato 2C del medesimo decreto, in tema di prestazioni incluse nei LEA che presentano un profilo organizzativo potenzialmente inappropriato, include due sole prestazioni che non possono essere erogate in regime di degenza ordinaria, ossia: nevrosi depressiva (eccetto urgenze) e nevrosi eccetto nevrosi depressiva (eccetto urgenze).

Ne deriva che negli altri casi, al cospetto di patologie psichiatriche, per la realizzazione dei livelli essenziali deve essere garantito un efficace intervento di stabilizzazione di tali degenti. Fermo restando che persino nei due casi summenzionati è obbligatorio un adeguato intervento in condizioni di urgenza. 

Particolarmente interessante appare, poi, il contenuto del Decreto Ministeriale 2 aprile 2015 n. 70, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 04.07.2017 al n. 127, in tema di Regolamento recante la "definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera".

L'art. 1 della norma in argomento, in tema di standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera, al comma 2 prevede che le regioni debbano adottare un provvedimento generale di programmazione in ordine alla dotazione dei posti letto ospedalieri in base alla popolazione residente nei diversi territori, avendo quale limite, certamente non insuperabile né perentorio, i 3,7 posti letto per mille abitanti.

L'allegato 1 del decreto di cui trattasi, all'art. 1, comma 1.2  propone una visione integrata dell'assistenza sanitaria in virtù della quale: "l'ospedale deve assolvere ad una funzione specifica di gestione delle problematiche assistenziali dei soggetti affetti da una patologia (medica o chirurgica) ad insorgenza acuta e con rilevante compromissione funzionale, ovvero di gestione di attività programmabili che richiedono un contesto tecnologicamente ed organizzativamente articolato e complesso, capace di affrontare, in maniera adeguata, peculiari esigenze sanitarie sia acute che post- acute e riabilitative". 

A prescindere dalla mera dichiarazione d'intenti della norma in esame, pur perseguente il lodevole scopo di unificare nazionalmente i livelli essenziali di assistenza, è tangibilmente verificato come in talune realtà regionali i Pronto Soccorso riescano - e non senza inveterate criticità - a gestire a malapena l'ordinaria amministrazione.  

Sempre a mente della medesima norma, in ogni caso, l'ospedale dovrebbe assicurare la gestione del percorso diagnostico terapeutico (PDT) del problema clinico di cui si fa carico, sia all'interno del presidio che all'interno della rete ospedaliera, affinché possa essere assicurata, anche in fase successiva alla prima accettazione, l'allocazione dei pazienti presso i presidi che dispongano di un livello organizzativo coerente con la complessità assistenziale del caso da trattare.

Di fondamentale rilevanza appare, inoltre, richiamare la seguente parte della norma che disciplina il ricovero dei pazienti, secondo il principio della garanzia del poso letto, se ritenuto necessario dai medici del Pronto Soccorso: "la gestione dei posti letto deve avvenire pertanto con la massima flessibilità, al fine di assicurare la maggior dinamicità organizzativa rispetto alla domanda appropriata di ricovero, con specifica rilevanza per le necessità provenienti dal pronto soccorso aventi le caratteristiche dell'urgenza e dell'emergenza. E’ raccomandata anche l'informatizzazione delle disponibilità dei posti letto per aree geografiche".

In altri termini la disposizione del ricovero nei reparti di degenza, a beneficio dei pazienti per i quali sussistano idonee indicazioni mediche, qualora venisse rispettata, non solo garantirebbe l'adempimento degli obblighi imposti dalla normativa in esame, ma determinerebbe, senz'altro, il realizzarsi di migliori condizioni igienico-sanitarie dei Pronto Soccorso, i quali non si vedrebbero più sovraffollati e contraddistinti da esecrabili condizioni di promiscuità.

L'art. 6 dell'allegato 1 del Decreto al comma 3° dispone che ogni struttura, tenendo anche conto del suo interfacciamento con la componente impiantistica e con le attrezzature, ha l'obbligo del rispetto, assicurato con controlli periodici, dei contenuti degli atti normativi e delle linee guida nazionali e regionali vigenti in materia di qualità e sicurezza delle strutture con riferimento a:  protezione antisismica; - antincendio; - radioprotezione - sicurezza per i pazienti, degli operatori e soggetti ad essi equiparati; - rispetto della privacy sia per gli aspetti amministrativi che sanitari; - monitoraggio periodico dello stato di efficienza e sicurezza delle attrezzature biomedicali; - graduale sostenibilità energetico-ambientale in termini di riduzione dei consumi energetici; - smaltimento dei rifiuti; - controlli periodici per gli ambienti che ospitano aree di emergenza, sale operatorie, rianimazione e terapie intensive e medicina nucleare; - monitoraggio periodico dello stato di efficienza e sicurezza degli impianti tecnici e delle attrezzature biomedicali; - controllo periodico della rispondenza delle opere edilizie alle normative vigenti.

Norma che se fosse realizzata garantirebbe la sicurezza degli ambulatori ove si erogano le prestazioni sanitarie, sia agli operatori, sia ai pazienti.

Ci si chiede in quale modo possa, invece, dirsi realizzato il sacrosanto diritto alla "privacy" in contesti ambientali ove, sovente, le prestazioni di carattere sociosanitario, ivi incluse le operazioni di igiene dei pazienti non autosufficienti, avvengono al cospetto di tutti gli stazionanti, siano essi degenti o congiunti dei medesimi, nel corso delle ben note ore di attesa che ciascuno sperimenta in Pronto Soccorso.

Infine vale la pena soffermare la riflessione sull'art. 9.2.1 Ospedale sede di Pronto Soccorso che prevede il seguente testuale obbligo: "Deve essere dotato di letti di Osservazione Breve Intensiva (O.B.I.) proporzionali al bacino di utenza e alla media degli accessi".

In altri termini, ai fini del rispetto della norma si renderebbe essenziale la presenza di un O.B.I. a servizio di ciascun Pronto Soccorso avente i requisiti dettati dal Decreto, a maggior ragione nel caso in cui dovesse trattarsi di Ospedale D.E.A. di II Livello (Hub).

Raccogliendo le fila di quanto sin qui argomentato, senza alcuna presunzione di completezza espositiva, si è tentato di offrire un quadro comparativo d'insieme delle carenze più o meno riscontrabili in determinati Pronto Soccorso, avuto riguardo, invece, delle prescrizione di legge per la garanzia dei livelli essenziali di prestazione.


Avv. Francesco Guido - Avv. penalista e civilista esperto in diritto di famiglia, assicurazioni, successioni

Ho esperienza settoriale in materia di diritto penale per colpa medica e reati contro la persona mentre in diritto civile mi occupo di famiglia e minori, volontaria giurisdizione, assicurazioni, successioni e donazioni. Tratto ampia casistica in tema di modifica accordi di separazione e divorzio, nonché separazione tra coniugi e regime di affidamento dei minori. Sono legale di fiducia di un sindacato autonomo in materia di professioni sanitarie. Dopo la laurea presso l'Università di Roma Tor Vergata, ho conseguito la specializzazione ad indirizzo notarile presso l'Università Magna Graecia di Catanzaro.




Francesco Guido

Esperienza


Diritto penale

Mi occupo quotidianamente e con successo di procedimenti penali anche di rilevante complessità ed, in particolare relativi ai reati di: omicidio colposo e lesioni in ambito della colpa medica, spaccio di sostanze stupefacenti, stalking, violenza privata, violenza in famiglia e nei luoghi di cura e/o ricovero, minaccia, diffamazione anche a mezzo stampa, stalking. Garantisco altissimi standard qualitativi in materia di ricorso al Tribunale del Riesame e di Misure di Prevenzione, settori nei quali ho maturato ampia casistica ed esperienza in diverse Corti d'Appello in Italia, tra cui Catanzaro, Milano, Trieste ecc..


Stalking e molestie

Nell'ambito penale mi occupo quotidianamente di procedimenti complessi ed impegnativi aventi ad oggetto il reato di stalking, curando ogni aspetto relativo alle problematiche connesse al "codice rosso" ed alle misure di prevenzione collegate a questo tipo di reati. Si garantisce ampia esperienza in tema di misure cautelari, Riesame e Misure di Prevenzione.


Omicidio

Sono tutt'ora il legale di fiducia di numerosi medici coinvolti in inchieste, anche di elevato rilievo mediatico, per omicidio colposo nell'ambito dell'esercizio delle loro funzioni, alias per presunta colpa medica.


Altre categorie:

Sostanze stupefacenti, Diritto civile, Diritto di famiglia, Eredità e successioni, Separazione, Affidamento, Tutela dei minori, Fallimento e proc. concorsuali, Diritto assicurativo, Diritto del lavoro, Incidenti stradali, Risarcimento danni, Divorzio, Matrimonio, Sicurezza ed infortuni sul lavoro, Diritto condominiale, Malasanità e responsabilità medica, Mediazione, Multe e contravvenzioni, Incapacità giuridica, Diritto sindacale, Negoziazione assistita, Tutela del consumatore, Edilizia ed urbanistica, Previdenza, Gratuito patrocinio, Domiciliazioni.


Referenze

Speaker ad evento

Università: luogo di diffusione dei saperi e della legalità - Giornata di riflessione sulla cultura dell'antimafia

Università degli studi di Roma "Tor Vergata" - Facoltà di giurisprudenza - 11/2011

All'iniziativa organizzata e moderata dallo scrivente Avv. Guido, sono intervenuti: - Antonio Turri responsabile regionale di "Libera", la nota associazione nazionale antimafia presieduta da Don Luigi Ciotti, attiva da molto tempo nell'ambito della riutilizzazione a scopi sociali dei beni immobili sequestrati alle mafie; - Serena Sorrentino, Segretario Nazionale del sindacato CGIL; - il compianto Prof. Enzo Musco, luminare del Diritto Penale, nonché coautore della "Bibbia" del diritto penale italiano per tutte le generazioni di studenti universitari negli ultimi 30 anni: il manuale di diritto penale "Fiandaca- Musco". L'iniziativa si è svolta partendo da una ricostruzione storica dell'attuale legislazione antimafia e delle implicanze sul tessuto sociale italiano, nonché sulla lotta alla criminalità organizzata a decorrere dalla legge Rognoni - La Torre e dall'introduzione dell'art. 416 bis del c.p. che punisce il reato (in passato non codificato) di associazione a delinquere di stampo mafioso, Si è poi passati ad argomentare le varie fasi di sviluppo della legislazione, fino ai giorni nostri ed alle "tecniche" investigative in tema di lotta al narcotraffico ed al radicamento delle cosche di 'ndrangheta nel cuore economico dell'Europa. Il riferimento a Peppino Impastato, martire della cultura dell'antimafia, assassinato barbaramente in Sicilia, ha costituito il filo rosso dell'intera trattazione.

Pubblicazione legale

Il trust interno

Pubblicato su IUSTLAB

Nel quotidiano svolgimento dell’attività professionale forense mi sono, non di rado, imbattuto nella controversa tematica del “ diritto di cittadinanza ” nel nostro ordinamento dell’istituto del trust interno , la cui validità è stata fonte di acceso dibattito in dottrina e di pronunce giurisprudenziali contrapposte. Prima di entrare nel merito dell’oggetto del presente articolo è però d’uopo non dare per scontata la nozione di “ trust ” e svolgere quindi, per brevi cenni, alcune considerazioni generali in merito all’istituto. Il riferimento normativo nazionale è la Legge n. 364 del 1989 che introduce il “ trust ” nell’ordinamento italiano, recependolo dal diritto comunitario che all’art. 2 della Convenzione dell’Aja viene testualmente riferito ai: “ rapporti giuridici istituiti da una persona, il disponente – con atto tra vivi o mortis causa – qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato”. Tanto con notazione che i beni destinati al trust restano scissi dai beni di proprietà del trustee che non può, quindi farli propri, né confonderli con il patrimonio personale. Il trustee, in altri termini, è il formale intestatario dei beni ma non anche il proprietario. Ciò non di meno egli ha il potere di amministrarli, gestirli e disporne, sempre in conformità alle disposizioni del trust e secondo le norme civilistiche imposte al trustee dall’ordinamento, con l’obbligo di rendere conto del proprio operato, posto che è responsabile (anche penalmente) delle sorti del compendio dei beni facenti parte del trust. Nello svolgimento della riflessione in esame è, a mio avviso, imprescindibile fare menzione della nota sentenza della Cassazione Penale n. 50672/2014 che, in tema di trust, trustee ed appropriazione indebita, non ha posto in dubbio la validità del trust interno ed anzi ha gettato le basi per una definizione più precisa dell’istituto. A tal fine rileva la S.C. che: “ devono assumere rilevanza preminente, nell’interpretazione del negozio sia il vincolo di destinazione che grava sui beni (che, determinandone la funzione economico-sociale, ne impedisce la commistione con il patrimonio del trustee ) sia l’esistenza di beneficiari del negozio fiduciario, a favore dei quali deve indirizzarsi tutta l’attività di gestione dei beni e rapporti conferiti nel trust, dovendosi attribuire all’intestazione formale del diritto di proprietà al trustee la valenza di una proprietà temporale, sostanziata dal possesso del bene, sicuramente diversa da quella delineata nell’art. 832 cod. civ. e svincolata dal potere di disporre dei beni in misura piena ed esclusiva”. Al di là delle considerazioni che precedono, improntate alla definizione generale dell’istituto del trust, lo specifico oggetto della nostra analisi è la verifica in ordine alla possibile validità o meno della speciale figura del trust interno (o c.d. domestico) nel nostro ordinamento. Per trust interno s’intende quel rapporto giuridico costituito da cittadini residenti in Italia con beni situati nel territorio nazionale, a favore di beneficiari italiani, disciplinato da una legge straniera. In altri termini è definito interno il trust che non presenta elementi di contatto con ordinamenti giuridici stranieri, eccezion fatta per la legge regolatrice che rappresenta l’unico elemento “esterno” rispetto all’ordinamento italiano. I problemi interpretativi intorno all’ammissibilità di un siffatto istituto “ibrido” – con elementi oggettivi e soggettivi italiani e legge regolatrice internazionale - nascono dal conflitto esistente fra la concezione anglosassone di trust e ed i principi dell’ordinamento italiano in tema di rapporti di proprietà, tutela dei terzi e successioni. Prescindendo però da questa sede i pur necessari approfondimenti dottrinari in tema di trust e del rapporto con l’art. 2740 c.c. , conviene, adesso, incentrare l’attenzione su un’altra interessante pronuncia della giurisprudenza di merito che va ben oltre la mera definizione del trust data dalla cennata sentenza della Cassazione Penale, proclamandone, addirittura, in modo espresso la validità. Si fa riferimento al decreto del Tribunale di Milano, 23 febbraio 2005 che, in tema di omologazione degli accordi di separazione personale tra coniugi, aventi ad oggetto il trasferimento di beni immobili, sancisce quanto segue: “ può essere omologato un accordo di separazione consensuale prevedente l’istituzione, da parte di uno tra i coniugi, di un trust interno autodichiarato nel quale il disponente, allo scopo di soddisfare le esigenze abitative della figlia minorenne, conferisce un bene immobile di sua proprietà ”. La pronuncia è parsa, fra altre, quella che più nettamente sancisce il diritto di cittadinanza del trust interno nel nostro ordinamento. Se infatti si considera la tradizionale “ prudenza ” del giudicante italiano in tema di clausole relative agli accordi di separazione consensuale, appare particolarmente “ forte ” il richiamo all’ammissibilità del trust interno come strumento di regolazione di quei peculiari rapporti. Il varrebbe a dire che se ammettessimo il trust interno nella delicata materia dell’omologazione delle clausole di separazione, a maggior ragione non vi è ambito del diritto che ne possa escludere l’utilizzo. Al di là dello specifico, quanto peculiare, caso che precede, sembra opportuno, pertanto, concludere per l’ammissibilità del trust interno nell’ordinamento italiano, non solo e non tanto in virtù dell’ormai costante indirizzo giurisprudenziale, ma, soprattutto in merito al sempre crescente numero di autori che ritengono ammissibile e – quindi – valido l’istituto in quanto l’elemento necessario di estraneità (al fine di considerarlo esterno, alias non domestico) sia costituito dalla scelta della legge straniera quale regolatrice dei rapporti. Bibliografia: P. Perlingieri, V. Rizzo, Negozio fiduciario e Trust in P. Perlingieri, Manuale di diritto Civile, Napoli 2005 M. F. Giorgianni, N. Fibbi, Quid Iuris? in Diritto Notarile, Collana diretta da L. Genghini, ottobre 2016

Pubblicazione legale

Il retratto successorio: casistica

Pubblicato su IUSTLAB

L’art. 732 c.c. riconosce ai partecipanti ad una comunione ereditaria due distinti diritti: a) lo ius prelationis in base al quale, perdurando il regime di comunione, se uno dei partecipanti ad essa vuole alienare la propria quota a titolo oneroso, deve notificare agli altri la relativa proposta, onde consentire loro di avvalersi della preferenza accordata, sì che non può concludere con i terzi il contratto traslativo prima del decorso del periodo normativamente previsto; b) lo ius retractionis esercitabile dal partecipante nei confronti del terzo acquirente della quota ereditaria, nel caso che sia stato violato il diritto di prelazione o non effettuando la predetta notifica della proposta di alienazione o ignorando l’esercizio positivo di tale diritto (Cass. Civ. Sent. n. 15842/2001; Cass. Civ. Sent. n. 666/1994). Si è osservato che si tratta, in sostanza, di “ diritti collegati ma distinti, aventi contenuto diverso e soggetti passivi differenti, ognuno dei quali da considerarsi terzo rispetto al rapporto cui partecipa, con conseguente esclusione della qualità di litisconsorte necessario dell’alienante nei giudizi di riscatto ” ( S. Merz , Manuale pratico e formulario delle successioni, Cedam, 2011 ). Quanto alla natura giuridica del diritto di prelazione si ritiene che esso, quale diritto di credito, corrisponda ad un’obbligazione ex lege del coerede di preferire gli eredi all’estraneo, in caso di alienazione a titolo oneroso della quota o di parte di essa. Con il riscatto, da comunicarsi al terzo acquirente in caso di mancata notificazione, il coerede ritraente si sostituisce all’estraneo dalla data di conclusione del contratto. Ne deriva che l’utile conclusione del retratto successorio ha efficacia erga omnes comportando la surrogazione legale del retraente nella stessa posizione del retrattato ed altresì efficacia ex tunc , vale a dire dalla data della conclusione del contratto, in modo che il primo sia considerato diretto acquirente rispetto al coerede alienante (Cass. Civ. Sent. n. 4703/1999). L’esercizio predetto, inoltre, fa si che tutte le eventuali successive alienazioni della stessa quota perdano ipso iure la propria efficacia, indipendentemente dalla trascrizione del primo atto dispositivo della quota o dalla priorità dell’eventuale trascrizione dei successivi atti di trasferimento. Quanto agli interessi legali ex art. 1282 c.c. la Suprema Corte ha precisato che il retrattato ha diritto ad ottenerli sebbene il relativo obbligo abbia per oggetto un debito di valuta soggetto al principio nominalistico (Sent. Cass. Civ. n. 4497/2010). L’ambito di applicazione della norma è la comunione ereditaria che si vuole salvaguardare dall’ingresso di terzi acquirenti estranei alla successione. La giurisprudenza si è premurata di chiarire che la predetta finalità del retratto successorio di impedire l’intromissione di estranei nello stato di indivisione, determinato dall’apertura della successione, si applica soltanto alle comunione ereditarie, mentre non può trovare applicazione nella comunione ordinaria tra condividenti creatasi a seguito della divisione, per la congiunta attribuzione ad essi di un medesimo bene. Ciò in quanto l’art. 732 c.c., derogando al principio della libera disponibilità del diritto di proprietà, non può trovare applicazione fuori dai casi espressamente previsti. D’altra parte tenuto conto che in materia di comunione ordinaria vige il principio secondo cui , ai sensi dell’art. 1103 c.c., ciascun partecipante può disporre del suo diritto e cedere ad altri il godimento della cosa nei limiti della sua quota, l’art. 732 c.c. non potrebbe operare in virtù del rinvio di cui all’art. 1116 c.c. che estende alla divisione ordinaria le norme sulla divisione ereditaria, essendo escluse dall’estensione le norme incompatibili con quelle tipiche della comunione ordinaria (Sent. Cass. Civ. n. 4224/2007; Sent. Cass. Civ. n. 6293/2015). Il diritto di prelazione ereditaria non può, inoltre, essere esercitato quando la vendita , effettuata da uno o più dei coeredi non riguardi una o più quote ereditarie, ma abbia ad oggetto quote di un bene determinato, in parte assoggettato alla comunione ereditaria ed in parte costituente un’autonoma divisione ordinaria in quanto, in questa particolare ipotesi, non si verifica il subingresso di un estraneo nella comunione ereditaria, che l’art. 732 c.c. tende ad impedire, ma solo il trasferimento di una res come bene a sé stante (Cass. Civ. Sent. n. 20561/2008). Nell’ipotesi di assegnazione da parte del testatore di beni determinati occorre accertare, in base al concreto atteggiarsi della volontà del de cuius , se trattasi di attribuzione in rebus certis direttamente effettuata dal testatore con efficacia reale o debba, invece, riconoscersi alla stessa efficacia obbligatoria. Nella prima ipotesi non si applica il diritto di cui all’art. 732 c.c. in quanto, in virtù dell’effetto traslativo, il bene è acquistato immediatamente dall’istituito, mentre, nel secondo caso si realizza, nei riguardi dei beni assegnati, il sorgere della comunione ereditaria e la conseguente ammissibilità del retratto successorio (Cass. Civ. n. 4777/1983). Spetta, dunque, al giudice del merito accertare se l’attribuzione di un medesimo bene in comunione, da parte del de cuius ad un gruppo di discendenti, postuli o meno un atto dispositivo/attributivo con effetti reali (Cass. Civ. n. 21491/2007: la Suprema Corte ha confermato la sentenza della corte territoriale per cui era infondata la tesi del retrattato che, per negare i presupposti del retratto, alias la sussistenza della comunione ereditaria, sosteneva ricorrere l’ipotesi della divisione fatta dal testatore , laddove costui aveva attribuito parte dei beni ad uno dei figli disponendo altresì che “ la restante mia proprietà dovrà essere divisa in parti uguali tra i miei altri figli ”). Parimenti non è soggetta a retratto l’alienazione di quota effettuata, non dal coerede, compartecipe della comunione ereditaria, bensì dal suo successore a titolo universale potendo ritenersi soggetta a retratto la sola alienazione a titolo oneroso che il coerede faccia della quota di comunione che ha acquistato quale erede del de cuius (Cass. Civ. Sent. n. 5374/1993). Si è ulteriormente chiarito che il diritto di prelazione non può circolare per successione mortis causa e non spetta, pertanto, all’erede del coerede (Cass. Civ. Sent. n. 4277/2012). Tuttavia, il suesposto principio di intrasmissibilità del diritto di prelazione fra eredi non impedisce che, una volta esercitato il riscatto, con instaurazione del relativo giudizio, la domanda conservi i propri effetti, nonostante la sopravvenuta morte del retraente, la quale implica la successione nel processo dei suoi eredi, ai sensi dell’art. 110 c.p.c. (Cass. Civ. Sent. n. 17673/2012). Di particolare interesse è la verifica delle modalità secondo le quali il retratto successorio si atteggia a seconda della fattispecie di alienazione che pone in essere il condividente. Si è sostenuto che la prelazione ereditaria, come ogni altro diritto di prelazione, non trova applicazione quando gli atti di alienazione non sono riconducibili ad una libera determinazione del proprietario: non si applica, pertanto, in sede di vendita fallimentare (Cass. Civ. Sent. n. 7057/1999); né relativamente alla vendita all’asta (Cass. Civ. Sent. n. 596/1986). Il contratto di vendita di un quota della società di capitali caduta in successione mortis causa, concluso da alcuni coeredi sull’assunto dell’attuale piena titolarità dei diritti di partecipazione sociale, la quale poteva, invece, essere loro riconosciuta soltanto all’esito del pendente giudizio di divisione, non avendo ad oggetto la quota di eredità spettante agli stessi cedenti, non è volto a far subentrare l’acquirente nella comunione ereditaria e rimane, pertanto, inopponibile ad altro coerede rimasto estraneo all’alienazione, neppure rilevando, rispetto a tale alienazione, l’esercizio della prelazione di cui all’art. 732 c.c.; né l’opponibilità di detta cessione nei confronti del comproprietario non partecipe al negozio può essere affermata ricostruendo l’accordo come vendita di quota indivisa dei soli diritti sociali, ai sensi dell’art. 1103 c.c. , in quanto anche un tale atto di disposizione riveste un’efficacia meramente obbligatoria, condizionata all’attribuzione del bene, in sede di divisione, ai coeredi alienanti (Cass. Civ. Sent. n. 9801/2013). Per quanto concerne i casi di alienazione nulla per simulazione assoluta con sentenza passata in giudicato, deve escludersi l’esercizio del retratto successorio successivo alla sentenza, in quanto tale pronuncia, negando la sussistenza di un trasferimento tra coerede cedente e terzo cessionario, implica il venir meno del presupposto per il diritto di riscatto. Inoltre il coerede retraente, esercitando un diritto direttamente conferito dalla legge, il quale implica una sostituzione con effetti ex tunc nella posizione del retrattato, non è qualificabile come avente causa di quest’ultimo e quindi non può invocare l’inopponibilità della simulazione prevista dall’art. 1415, comma 1 c.c. nei confronti di chi abbia in buona fede acquistato dal titolare apparente (Cass. Civ. Sent. n. 1809/1984). E’ però necessario segnalare anche un avviso giurisprudenziale di segno opposto, secondo cui, in tema di retratto successorio, la simulazione della vendita della quota ereditaria non può essere opposta ai sensi dell’art. 1415 c.c. ai retraenti, essendo costoro terzi rispetto al contratto stesso (Cass. Civ. Sent. n. 5181/1992). Nei rapporti tra la prelazione ereditaria e la prelazione agraria , la Suprema Corte ha stabilito che, per il caso in cui uno dei coeredi sia affittuario di un fondo rustico oggetto di comproprietà indivisa, deve riconoscersi a detto comproprietario, a fronte dell’alienazione della quota da parte degli altri, il diritto di prelazione e riscatto secondo la disciplina fissata dall’art. 8, legge n. 590 del 1965 ( prelazione agraria ) senza che possa profilarsi, per il caso di comunione ereditaria, un’interferenza con la disciplina della prelazione fra coeredi per l’ipotesi della vendita della quota ereditaria, dato che la suddetta prelazione in favore del comproprietario affittuario non verrebbe comunque ad implicare il subingresso di un estraneo nella comunione ereditaria (Cass. Civ. Sent. n. 4602/1984). Il diritto di prelazione ereditaria prevale invece sul diritto di prelazione del coltivatore diretto, mezzadro, colono o compartecipante , ex art. 8, legge n. 590 del 1965, qualora sia venduta la quota di un fondo indiviso facente parte di una comunione ereditaria, indipendentemente dal fatto che l’asse ereditario sia costituito soltanto da quel fondo o anche da altri cespiti (Cass. Civ. Sent. n. 4345/2009). In tema di locazione di immobili urbani ad uso non abitativo il diritto di prelazione spettante al conduttore, a norma dell’art. 38, legge 27 luglio 1978, n. 392, non trova applicazione nel caso previsto dall’art. 732 c.c. in quanto il retratto successorio può essere esercitato dal quotista “ finché dura lo stato di comunione ereditaria, mentre il conduttore può esercitare il diritto di riscatto entro il termine di sei mesi ” (Cass. Civ. Sent. n. 13838/2010). Non è mancato chi abbia fatto notare (Merz, Manuale pratico e formulario delle successioni, Cedam, 2011) che l’esercizio del riscatto ex art. 732 c.c. non debba essere confuso con il riscatto convenzionale ex art. 1500 c.c. (“ patto di riscatto ” o di “retrovendita”) , ferma restando l’analogia ( ergo l’applicabilità al riscatto successorio) dell’art. 1502, comma 1, c.c. che impone al riscattante il rimborso all’acquirente del prezzo e delle spese d’acquisto, di manutenzione, di miglioramento dei beni compresi nella quota riscattata. L’acquisto da parte di uno dei coniugi in regime di comunione legale di una quota ereditaria in violazione del diritto di prelazione spettante ai coeredi, si estende ipso iure all’altro coniuge e, conseguentemente, l’azione di riscatto, comportando il trasferimento della quota dal retrattato al retraente, deve essere proposta nei confronti di entrambi i coniugi, sussistendo tra questi litisconsorzio necessario ex art. 102 c.p.c. (Cass. Civ. Sent. n. 7404/2003). Sempre in tema di comunione legale (in senso contrario alla precedente pronuncia), è stato rilevato che la prevalente e cogente normativa di cui all'art. 177 c.c. , esula dalle previsioni dell'art. 732 c.c., ne deriva che non può esercitarsi il retratto successorio nell'ipotesi in cui un erede abbia venduto la propria quota ereditaria ad un coerede e la metà di tale quota sia, pertanto, passata ex lege al coniuge del compratore per effetto del regime di comunione legale dei beni vigente tra i coniugi (Trib. Verona, 26.09.1983, D. fam. 85, 948). In tema di cessione dell’azienda familiare , l’art. 230-bis, comma 5, c.c. rinvia alla disposizione dell’art. 732 c.c. nel seguente modo: “ in caso di divisione ereditaria o di trasferimento dell’azienda i partecipi di cui al primo comma hanno diritto di prelazione sull’azienda. Si applica, nei limii in cui è compatibile, la disposizione dell’art. 732 ”. Pertanto se il familiare vuole alienare a terzi la propria quota della società, deve notificare la proposta agli altri coeredi, che hanno diritto di prelazione, mentre, i partecipi dell’impresa familiare, in caso di trasferimento d’azienda, sono titolari del diritto di riscatto (Cass. Civ. sez. lav. Sent. n. 27475/2008). Bibliografia S. Merz , Manuale pratico e formulario delle successioni, Cedam, 2011

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