Pubblicazione legale:
L’art. 2948
c.c. dispone che: «Si prescrivono in cinque anni: […] 4) gli
interessi e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o
in termini più brevi; […]».
Circostanza,
evidentemente, che ricomprende i più importanti tributi dell’ordinamento - in
specie l’IRPEF, ai sensi dell'art. 1 del D.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 7
del D.P.R. n. 917 del 1986; l’IRAP che richiama ex art. 4 del D.Lgs. n.
471 del 1997 la disciplina dell’imposta sui redditi; l’IVA, i cui versamenti
sono regolati dall’art. 1 del D.P.R. n. 100 del 1998 e dell’art. 7 del D.P.R.
n. 542 del 1999.
Ma, come
spesso accade, seppure ad una lettura delle disposizioni di legge parrebbe
tutto chiaro e lineare, la giurisprudenza dissente sull’applicabilità del
termine di prescrizione quinquennale.
Anzi, negli
ultimi anni, la Corte di legittimità ha a più riprese (Cass., Ord., n. 6997 del
2020, Cass., Sent. n. 24322 del 2014; Cass., Sent. n. 2941 del 2007) escluso l’applicabilità
dell’art. 2948 c.c. – ovvero il termine
di prescrizione quinquennale – con riferimento ai citati tributi.
L’argomentazione
della Suprema Corte è sostanzialmente la seguente – il tributo – per
semplificare si pensi all’IRPEF – per quanto dovuto ogni anno solare non può
dirsi periodico non essendo mai previamente determinato nel suo quantum.
Ora, tale
argomentazione non convince.
Pare infatti
alquanto discutibile poter definire un’obbligazione periodica solo se è
previamente determinata anche sotto il profilo quantitativo.
Non resta –
in attesa di auspicabili chiarimenti della Suprema Corte – convincere (come ai
noi è più volte fortunatamente capitato) le Corti Tributarie di merito della
validità delle proprie argomentazioni, dovendosi applicare a tali tributi il
termine di prescrizione di cinque anni.