Avvocato Giacomo Ascione a Napoli

Giacomo Ascione

Avvocato Penalista


Informazioni generali

Sono Giacomo Ascione, esperto di diritto e procedura penale. La mia attività professionale si svolge in tutto il territorio nazionale. Sono solito lavorare sia per privati che per le imprese con ampio margine di flessibilità negli orari e negli spostamenti. Imposto il rapporto professionale sempre sul confronto personale e diretto con i miei clienti; profondo in ogni incarico massimo impegno e cura nella rispetto della persona e dell'impresa, alla luce della concretezza e della consapevolezza delle scelte professionali. NON ADERISCO AL PATROCINIO GRATUITO A SPESE DELLO STATO.

Esperienza


Diritto penale

Dedico da più di 10 anni la mia professionalità al diritto ed alla procedura penale, con risoluzione quotidiana di casi e questioni, unita all'assidua frequentazione delle Istitiuzoni Giudiziarie e delle FFOO


Sostanze stupefacenti

La particolarità del d.P.R. 309/1990 (Testo unico in materia di stupefacenti) e la diffusività delle ipotesi normative ivi contenute, necessitano una specifica cura della vicenda processuale. Chi scrive si confronta ordinariamente con tale disciplina, avendo acquisito particolare dimestichezza.


Violenza

Tutela della persona vittima di reato, nonché di chi ha necessità di assistenza tecnica per il processo a suo carico.


Altre categorie:

Stalking e molestie, Reati contro il patrimonio, Omicidio, Discriminazione, Diritto penitenziario, Tutela dei minori, Fallimento e proc. concorsuali, Edilizia ed urbanistica, Incidenti stradali, Diritto ambientale, Malasanità e responsabilità medica, Mobbing, Immigrazione e cittadinanza, Privacy e GDPR, Diritto militare, Domiciliazioni, Risarcimento danni.


Referenze

Pubblicazione legale

Spaccio di lieve entità:un reato che ha l'anima di un 'attenuante

Pubblicato su IUSTLAB

Cos'è uno "spaccio da strada?" E' possibile la configurazione del reato di cui al V comma dell'art. 73 d.P.R. 309/1990, allorquanto un soggetto venga arrestato in un quartiere noto alla cronaca giudiziaria per la diffusa attività di spaccio di sostanza stupefacente? e' corretto presumere che ogni attività di spaccio posta in essere in tali ambienti sia "a prescindere" movimentata dai sistemi malavitosi cosa che costituisce un presupposto logico alla qualifica di detenzione /cessione ordinaria? Per vero, è fatto noto che, anche nelle ipotesi di cessione al consumatore finale, in Italia si presuppone un'organizzazione, che dal produttore in paesi esteri, si snoda attraverso venditore, importatore, medio trafficante, sino allo spacciatore “di strada”, salvo le ipotesi di chi coltiva o sintetizza la sostanza stupefacente autonomamente; sarebbe paradossale (oltre che non conforme a Giustizia) che il V comma riguardi solo queste situazioni marginalissime. Questo dato,è stato più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità che ha escluso la qualificazione dei fatti nell’ipotesi del V comma solo se lo spacciatore è accorpato con i trafficanti e ha dato vita a un sistema stabile di approvvigionamento, di distribuzione e di cessione della droga , la condotta finale rimane il fatto autonomo del V comma, ma l’organizzazione predisposta alle spalle dello spacciatore finale costituisce un'associazione per delinquere, anzi proprio l'associazione per delinquere "per commettere i fatti del V comma" prevista dall'articolo 74 comma 6 del testo unico . Al contrario, il Supremo Collegio ha precisato che quando il legislatore parla di “mezzi, modalità e circostanze dell'azione”, non si riferisce al complesso organizzativo che sta a monte dell'azione incriminata, ma all'azione stessa , dello spacciatore/detentore “finale” al consumatore, considerata ex se . Ne consegue, quindi (come nel caso di specie) che quando non è lo spacciatore a predisporre (egli stesso) una complessa struttura servente alla sua condotta di cessione, è la semplice pedina dell'ultima cessione. È la sua attività che viene in rilievo e che va esaminata . In questi casi, infatti, egli si limita a detenere delle dosi di sostanza drogante, e a cederle a terzi; viene pagato a giornata o trattiene per quest’attività una parte del ricavato che è il suo "salario". Oppure egli acquista in conto-vendita una piccola scorta, e col ricavato dello spaccio copre le spese e tiene per se il guadagno destinato quasi integralmente all'acquisto di stupefacenti (in alcuni casi, anche da consumare personalmente). La vicenda appena descritta è quello che si definisce “spaccio da strada”; è un'attività marginale, senza professionalità, largamente fungibile. Infatti l’esperienza giudiziaria insegna che nonostante arresti numericamente rilevanti di spacciatori finali, la vendita è sempre continuata in tutte le piazze di spaccio. Rispetto a questa “figura marginale dello spaccio”, poco rileva che spacci (o detenga) hashish, o cocaina , o eroina . Infatti, sempre nell’esperienza giudiziaria, sempre più spesso lo spacciatore finale cede più o tutte queste sostanze. Ed è a questo tipo di “azione” che si riferisce il legislatore con la riforma del V comma effettuata con la legge 79/2014. ( cfr. Corte di Appello di Venezia sent. 5-4-2016 p.p. 3249 RGCA) Per tutto quanto sopra riferito, appare evidente che il V comma dell’art. 73 d.P.R. 309/1990 non vada inteso come una mera ipotesi tenue del primo comma, ma al contrario, rappresenta delitto autonomo e distinto . Attestazione di quanto appena affermato è l’evoluzione dei parametri valutativi nella giurisprudenza di legittimità: gli stessi erano ancorati all’inizio alla sola “modica quantità” prevista dalla legge del 1975, quantificata dalla giurisprudenza in tre dosi giornaliere (Sez. 6, Sentenza n. 10005 del 23/04/1991) con l’esclusione dell’attenuante - sulla base del dato quantitativo - per quantità di principio attivo inferiori al mezzo grammo (Sez. 4, Sentenza n. 10778 del 27/06/1991) o del lordo di uno o due grammi; invece si è giunti oggi a considerare non ostativa la detenzione di una quantità “ rilevante ma non imponente ” (Sez. 6, Sentenza n. 9723 del 17/01/2013) con riconoscimento dell’attenuante a quantità di 50 o 80 grammi di hashish e marjuana, a 25 gr. di eroina, una decina di 7 cocaina (Sez. 6, Sentenza n. 27809 del 05/03/2013). In particolare una pronuncia ha considerato non ostativa la detenzione di sostanza stupefacente in quantità “ non superiore a dosi conteggiate a "decine " (Sez. 6, Sentenza n. 41090 del 18/07/2013), il che equivale a quantità di principio attivo sino a 15 grammi di cocaina, 2,5 grammi di eroina e Delta9-THC; mentre la giurisprudenza di merito si è allargata ancora di più (registrando ad esempio in questo distretto casi di V comma riconosciuti a 207 grammi lordi di cocaina, con 50 gr di principio attivo, o 147 gr. lordi di eroina con 6,5 gr di principio attivo ). In tema di parametri valutativi, la Suprema Corte (Sez. 4, Sentenza n. 47501 del 2011, in relazione alla “quantificazione” dell’ingente quantità), ha affermato che spetta proprio al giudice di merito l’apprezzamento in concreto perché “vivendo la realtà sociale del comprensorio territoriale nel quale opera, è da ritenersi in grado di apprezzare specificamente la ricorrenza della circostanza”, e indica più volte anche i singoli elementi di tale apprezzamento, quali i parametri concernenti il quantitativo, le ricadute per la salute pubblica, la tipologia dei consumatori, le condizioni in genere del mercato illegale. Tale operazione è certamente altrettanto legittima e dovuta in relazione alla “quantificazione” della (non ingente, ma) modesta quantità della detenzione rientrante nel V comma. Al contrario, chi frequenta quotidianamente le aule di giustizia, assiste ad un radicale ribaltamento della disciplina del V comma dell'art. 73 d.P.R. 309/1990, valutata ancora come "premio" per l'imputato meritevole e sempre meno come autonoma e distinta ipotesi di reato.

Pubblicazione legale

Reati ostativi e permessi premio

Pubblicato su IUSTLAB

REATI OSTATIVI: LA MANCATA COLLABORAZIONE CON LA GIUSTIZIA NON IMPEDISCE I PERMESSI PREMIO PURCHE’ CI SIANO ELEMENTI CHE ESCLUDONO COLLEGAMENTI CON LA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA La Corte costituzionale si è riunita oggi in camera di consiglio per esaminare le questioni sollevate dalla Corte di cassazione e dal Tribunale di sorveglianza di Perugia sulla legittimità dell’articolo 4 bis, comma 1, dell’Ordinamento penitenziario là dove impedisce che per i reati in esso indicati siano concessi permessi premio ai condannati che non collaborano con la giustizia. In entrambi i casi, si trattava di due persone condannate all’ergastolo per delitti di mafia. In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio stampa della Corte fa sapere che a conclusione della discussione le questioni sono state accolte nei seguenti termini. La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4 bis, comma 1, dell’Ordinamento penitenziario nella parte in cui non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, anche se sono stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità della partecipazione all’associazione criminale sia, più in generale, il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata. Sempre che, ovviamente, il condannato abbia dato piena prova di partecipazione al percorso rieducativo. In questo caso, la Corte - pronunciandosi nei limiti della richiesta dei giudici rimettenti - ha quindi sottratto la concessione del solo permesso premio alla generale applicazione del meccanismo “ostativo” (secondo cui i condannati per i reati previsti dall’articolo 4 bis che dopo la condanna non collaborano con la giustizia non possono accedere ai benefici previsti dall’Ordinamento penitenziario per la generalità dei detenuti). In virtù della pronuncia della Corte, la presunzione di “pericolosità sociale” del detenuto non collaborante non è più assoluta ma diventa relativa e quindi può essere superata dal magistrato di sorveglianza, la cui valutazione caso per caso deve basarsi sulle relazioni del Carcere nonché sulle informazioni e i pareri di varie autorità, dalla Procura antimafia o antiterrorismo al competente Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica. Roma, 23 ottobre 2019

Pubblicazione legale

Case popolari

Pubblicato su IUSTLAB

Case popolari. La Corte dei Conti ha condotto una massiccia indagine su alcuni comuni del napoletano per verificare la regolarità nella gestione dei quartieri di edilizia popolare. Oggi si "scopre" che in questi quartieri v'è un elevato tasso di criminalità ed una notevole quantità di occupanti abusivi. L'indagine condotta dalla Corte dei Conti, è divenuta irrimediabilmente un'indagine penale, finalizzata alla repressione delle collusioni tra Stato e malavita. Si cerca di met tere la toppa solo quando il danno è fatto. Per ragioni di lavoro, visito spesso i quartieri più poveri e più popolari. Sono quelli in cui le persone vivono abbandonate a sé stesse. Quanto poi alle occupazioni abusive, i vari processi che ho curato sul punto, dimostrano che queste persone hanno provato più e più volte a chiedere una casa (sempre disponibile), hanno provato più volte a regolarizzare la loro posizione, ma uno Stato sordo non li ha ascoltati. Anche sulla strada della legalizzazione, queste persone non sanno che fare e a chi rivolgersi, fagocitate da una macchina elettorale intricata e mediocre. Mi sento di dire a queste persone che la soluzione c'è. Non è facile, ma c'è. Mai Mollare!!! Sempre legalità!!

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Lo studio

Giacomo Ascione
Corso Umberto I N. 381
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