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Avvocato Giovanna Avallone a Pellezzano

Giovanna Avallone

Esperta in materia assicurativa e previdenziale

Informazioni generali

Ho un ventennale esperienza nel campo dell'infortunistica stradale ma da diversi anni mi occupo anche e con più soddisfazione dei diritti delle donne e dei minori

Esperienza


Contratti

Sono consulente legale dell'UNIONE ITALIANA TABACCAI e predispongo contratti con l'Agenzia Dogane e Monopoli, Lottomatica, Sysal e altri


Diritto civile

Separazioni, divorzi per donne vittime di abusi e tutela dei minori stranieri


Diritto di famiglia

Presidente dell'Associazione Felicita contro la violenza sulle donne e i minori


Altre categorie

Tutela dei minori, Diritto assicurativo, Mobbing, Violenza, Stalking e molestie, Domiciliazioni.



Credenziali

Pubblicazione legale

Art. 13-bis Legge Professionale

Pubblicato su IUSTLAB

Sull’art. 13-bis Legge Professionale Il rapporto intercorso tra una società assicurativa, banca o Ente (cd “committenti forti”) con avvocati definiti “fiduciari” va sì qualificato ai sensi dell’art.2229 c.c., ma non va più regolato ai sensi dell’art. 2233 cc ovvero dagli accordi convenzionali bensì dall’art. 13- bis Legge Professionale che è lex specialis. La norma dell’art. 13-bis (“Equo compenso e clausole vessatorie) , introdotto nella Legge Forense n.172 del 4 dicembre 2017 dall’art. 19-quatordicies, comma 1, d.l.16 ottobre 2017, n.148, si applica agli avvocati iscritti all’albo, nei rapporti professionali regolati da convenzioni aventi ad oggetto lo svolgimento delle attività (di cui all’art. 2, commi 5 e 6, primo periodo) in favore di imprese bancarie e assicurative con riferimento al caso in cui le convenzioni sono unilateralmente predisposte dalle predette imprese . Le c.d. Convenzioni rappresentano contratto-tipo in cui le clausole sono state interamente “predisposte” dall’impresa ed è sostanzialmente uguale per tutti i professionisti. Le clausole non sono state proposte agli avvocati o ma utilizzate dalla società che se ne avvale e le impone alla controparte debole. Detta convenzione, dall’introduzione dell’art. 13-bis si presume unilateralmente predisposta ponendo a carico del committente l’onere di dimostrare la prova contraria ovvero che le clausole non sono state predisposte ma congiuntamente determinate e concordate con l’avvocato. L’ammontare della retribuzione è oggetto di disciplina garantistica sia nella Carta dei Diritti fondamentali, sia nella Costituzione Italiana (art. 36) ed è uno dei principi cardine del diritto del lavoro, sia dipendente che autonomo. L’espressione “equo compenso” ha riguardo all’ammontare del compenso professionale che deve essere non irrisorio, ma satisfattivo e dignitoso e decoroso. Perché sia “equo” il compenso deve rispondere a due requisiti concorrenti, non alternativi, ex c.2 dell’art. 13 bis : deve essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto e al contenuto e alle caratteristiche della prestazione conforme ai parametri del DM n. 55/2014. Se manca anche uno soltanto dei requisiti il compenso non è equo. La non equità del compenso rappresenta soltanto una delle cause da cui può scaturire la vessatorietà delle clausole contenute nella Convenzione 2017. In particolare, l’art. 13-bis prevede che le clausole contenute nelle convenzioni si considerano vessatorie quando “ determinano, anche in ragione della non equità del compenso pattuito, un significativo squilibrio contrattuale a carico dell’avvocato (comma 4)”. Tale squilibrio si verifica quando il rapporto tra le prestazioni non trovava alcuna giustificazione dal punto di vista sinallagmatico ed è collegato alla condotta discrezionale e autoritaria del committente . Il “ significativo squilibrio contrattuale” ha consistito sia nell’imposizione di clausole cd. “capestro” (quali quelle espressamente previste dal legislatore all’art. 13-bis, comma 5 ) sia nella determinazione di un compenso non equo. Quando gli incarichi affidati diventano irrisori tale squilibrio si appalesa fortemente e sembrava, fino al 2018, che da questa gabbia non se ne potesse più uscire. Mettiamo il caso di un fiduciaro che ha “lavorato” per una grossa Compagnia per quasi 20 anni e, progressivamente gli vengono affidati sempre meno incarichi. Cosa può fare? Il comma 5 dell’art. 13-bis considera concretamente vessatorie le clausole che consistono: nella riserva al cliente della facoltà di modificare unilateralmente le condizioni di contratto;” nell’attribuzione al cliente della facoltà di pretendere prestazioni aggiuntive che l’avvocato deve eseguire a titolo gratuito; nell’anticipazione delle spese della controversia a carico dell’avvocato; nella previsione di clausole che impongono all’avvocato la rinuncia al rimborso delle spese direttamente connesse alla prestazione dell’attività professionale oggetto della convenzione L’articolo in esame consente all’avvocato contraente debole che trae pregiudizio dallo squilibrio contrattuale verificatosi, di agire per far dichiarare nulla la convenzione. Tale azione non è soggetta a prescrizione ex art. 1422 c.c . Essa può essere esperita in ogni momento dal professionista giacchè l’art. 1, comma 487, lett d), legge 27 dicembre 2017, n. 205, ha abrogato l’art. 13-bis, comma 9, in forza del quale l’azione diretta alla dichiarazione di nullità di una o più clausole della convenzione doveva essere “proposta, a pena di decadenza, entro ventiquattro mesi dalla data di sottoscrizione delle convenzioni medesime”. La predetta nullità di protezione può, dunque, essere azionata dall’avvocato ex fiduciario per tutte le cause affidate dall’inizio del rapporto fiduciario perché trattasi di contratto di durata ma non a consegne ripartite proprio perché le convenzioni non prevedono che ogni incarico avesse una sua autonomia e, se concluso, era da considerarsi separatamente rispetto alla prosecuzione del rapporto. L’ art. 13-bis, comma 8 , della legge forense dispone che le clausole considerate vessatorie sono nulle, “mentre il contratto rimane valido per il resto”. Siffatta previsione è espressione del principio generale di conservazione del contratto ex art. 1419 c.c.. A tal proposito, l’avvocato che ha rifiutato di sottoscrivere una ulteriore convenzione peggiorativa può dichiarare di volersi avvalere della previsione di cui all’art. 1419, comma 1, cod. civ. secondo cui la nullità delle singole clausole importa la nullità dell’intero contratto perché egli non lo avrebbe concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita da nullità. Una volta dichiarata la nullità della convenzione l’avvocato potrà fatturare parcelle integrative nel rispetto delle tariffe previgenti o dei parametri del DM 55/2014 e potrà chiedere il risarcimento del danno (lucro cessante, perdita di chance, indebito arricchimento,dipendenza economica, ecc…) Per cui, nel ringraziare per il prezioso contributo il prof. Guido Alpa, invito tutti i colleghi a far fronte comune contro i grossi committenti e a non lasciare che questo importantissimo articolo venga ignorato. Avv. Giovanna Avallone

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Pellezzano (SA)