Sentenza giudiziaria:
La vicenda processuale traeva origine dal provvedimento di diniego della protezione internazionale, adottato dalla competente Commissione territoriale. Provvedimento, questo, con cui era stato negato all’appellante il riconoscimento della protezione internazionale, nonché il diritto ad ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. La decisione della Commissione era stata, poi, confermata dal Tribunale di Palermo.
Il cittadino straniero, quindi, ha promosso appello contro l’ordinanza emessa dal Tribunale di Palermo innanzi alla Corte di Appello di Palermo, dimostrando tra le altre cose, il percorso di integrazione compiuto nel tessuto sociale italiano, anche grazie all’attività lavorativa intrapresa.
Il Collegio ha riconosciuto come l’inserimento lavorativo dell’appellante fosse “rivelativo di una alacre attività diretta a migliorare la condizione soggettiva e oggettiva, dovuta all’impulso che lo aveva già spinto a lasciare il suo Paese ed affrontare notevoli rischi, al fine di poter soddisfare ineliminabili primari bisogni umani”.
L’appellante, si legge nella sentenza, “ha dimostrato di essersi utilmente attivato per una effettiva integrazione nel nostro Paese e di esserci in definitiva riuscito”.
Il Collegio ha, a tal proposito, ricordato l’orientamento, secondo il quale, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui all'art. 5 comma 6 del D.lgs. n. 286 del 1998, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d'origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell'esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d'integrazione raggiunta nel Paese d'accoglienza (Cass. n. 17072 del 28/06/2018 e n. 4455 del 23/02/2018).
“È innegabile – ha sottolineato il Collegio - che, in caso di rimpatrio forzato, il richiedente vedrebbe vanificati gli sforzi già effettuati di soddisfare quei diritti umani negati e compromessi nel Paese di provenienza, circostanza che ne conclama la vulnerabilità”.
Da qui il riconoscimento dell’appellante del diritto ad ottenere un permesso di soggiorno per motivi umanitari.