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Esecuzione penale, penitenziario, penale, immobiliare, successioni, contratti

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Esecuzione penale: cos’è e di cosa si tratta

Scritto da: Luigi Lusi - Pubblicato su IUSTLAB

Pubblicazione legale:

Cosa è l’esecuzione penale? Di cosa si parla nello specifico? 

L’ordinamento italiano (e la riforma Cartabia, da ultimo) consente, a condizioni ben precise (e non per tutti i reati), che il condannato in via definitiva a una pena detentiva sotto i 4 anni sconti la propria pena fuori dal carcere o a mezzo di pene sostitutive: già durante il processo di cognizione possono essere avanzate proposte di pene sostitutive (riforma Cartabia) e, da libero, il condannato in via definitiva può chiedere al Tribunale di Sorveglianza di essere ammesso alle misure alternative alla detenzione.

Descriverei, allora, l’esecuzione penale con due aggettivi; è materia estremamente:

  • delicata, perché sensibilissima; attiene alla libertà personale (con tutte le implicazioni sulle problematiche personali, familiari e lavorative del condannato), alla responsabilità del Magistrato, all’impatto sull’opinione pubblica, agli oneri dello Stato (costi, veri e propri, dell’espiazione e riparazione per l’eventuale ingiusta detenzione);
  • importante: perché l’«esecuzione» incide sull’efficacia special-preventiva della giustizia penale.

L’esecuzione è, quindi, materia di prioritario interesse per la persona interessata.

L’esecutività delle sentenze

L’esecuzione viene promossa sulla base di un titolo esecutivo divenuto irrevocabile.

La nozione di irrevocabilità si ricava dall’art. 648 c.p.p.: Sono irrevocabili le sentenze pronunciate in giudizio contro le quali non è ammessa impugnazione diversa dalla revisione(1°comma).
Se l’impugnazione è ammessa, la sentenza è irrevocabile quando è inutilmente decorso il termine per proporla o quello per impugnare l’ordinanza che la dichiara inammissibile. Se vi è stato ricorso per cassazione, la sentenza è irrevocabile dal giorno in cui è pronunciata l’ordinanza o la sentenza che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso(2°comma).

Il decreto penale è irrevocabile quando è decorso il termine per proporre opposizione o quello per impugnare l’ordinanza che ha dichiarato inammissibile l’opposizione(3°comma).

L’art. 656 c.p.p. rappresenta una transizione procedimentale:

1. – dalla fase cognitiva, conclusa con il passaggio in giudicato della sentenza di condanna,
2. – alla fase esecutiva, nella quale viene messa in esecuzione la condanna e avviata l’espiazione della pena.

Quale organo emette l’ordine di esecuzione?

Il P.M. (Pubblico Ministero) è l’organo che ha il dovere di emettere l’ordine di esecuzione nei confronti del condannato con sentenza passata in giudicato, specificando gli sviluppi del procedimento – a seconda se il condannato sia libero o detenuto – e curando l’esecuzione dei provvedimenti.

Qual è il PM competente?

L’autorità giudiziaria competente è il Procuratore della Repubblica presso il giudice dell’esecuzione, individuato, a mente dell’art. 665 c.p.p., in quello che ha deliberato il provvedimento da eseguire.

L’ordine di esecuzione

Quando parliamo di ordine di esecuzione dobbiamo intendere il provvedimento con il quale il PM competente, determinata l’entità della pena detentiva eseguibile (computando eventuali presofferticondoniamnistie fungibilità – dopo aver accertato che essa superi il limite di 4 anni o che, con pena anche inferiore, sia relativa a reati cd. «ostativi» – dispone la carcerazione del condannato.

I requisiti dell’ordine di esecuzione

L’ordine di esecuzione deve contenere tutti i dati riportati nell’estratto della sentenza:

    1. le generalità del condannato e ogni altro elemento necessario per la sua identificazione,
    2. le imputazioni e il dispositivo del provvedimento,

le disposizioni necessarie all’esecuzione.

I principali casi di sospensione dell’ordine di esecuzione

Ci sono casi in cui l’ordine di esecuzione può essere sospeso. L’esecuzione deve essere sospesa se la pena da espiare, per reati non «ostativi», in concreto non supera i 4 anni (6 nei casi di cui agli artt. 90 e 94 DPR 309/1990).

Nel computo vanno considerate anche:
1. – l’eventuale liberazione anticipata (art. 54 O.P.)
2. – la carcerazione fungibile (art. 657 c.p.p.)
3. – se l’eventuale presofferto “copra” (o meno) la pena irrogata per le ipotesi ostative (co.9) (che affronteremo tra poco): secondo una corretta applicazione ispirata al favor rei, non si sospenderà la pena solo nel caso non sia stata interamente espiata la pena relativa al reato cd. ostativo.

A questo punto, il PM emette sia un ordine di esecuzione sia un decreto, contestuale all’ordine di esecuzione, da notificare al condannato e al difensore, con il quale (decreto) è disposta la sospensione dell’esecuzione della pena.

Il decreto deve contenere l’avviso che sarà disposta la carcerazione qualora il condannato, entro 30 giorni dalla notifica, non depositi istanza di applicazione di una delle misure alternative alla detenzione.

Fondamentale presentare istanza nei tempi dovuti

E’ decisivo presentare/depositare l’istanza di misura alternativa nei tempi dovuti: aspetto da non sottovalutare perché il termine è perentorio (una volta scaduto, l’istanza di ammissione alle misure alternative chieste diviene, secondo legge, inammissibile). Se l’istanza viene, invece, presentata nei termini, l’ordine di esecuzione rimane SOSPESO fino alla decisione della Magistratura di Sorveglianza.

Se l’istanza NON viene presentata nei termini, ne consegue la revoca di diritto del decreto di sospensione e il pieno vigore dell’Ordine di Esecuzione (idem se l’istanza ex art. 90 DPR 309/90 è inammissibile, nelle more della decisione del Tribunale di Sorveglianza e se il programma ex art. 94 DPR 309/90 non è iniziato nei 5 gg.).

Il divieto di sospensione, cos’è?

Rilevante e complessa la disciplina del co. 9 dell’art. 656 c.p.p.: La sospensione dell’esecuzione di cui al comma 5… non può essere disposta in 2 casi, facenti riferimento a indici di ritenuta gravità, considerati meritevoli di una esecuzione sicuramente detentiva almeno in una prima fase. E ciò in base:

– a un parametro oggettivo (titolo del reato della condanna): è il caso della lett. a);
– alla posizione cautelare del condannato (lett. b).

L’esecuzione non può essere sospesa…

nei casi di condanna per i delitti di cui all’art. 4 bis O.P.; fra questi (non esaustivamente) (co. 9, lett. a):

1. associazione a delinquere di stampo mafioso o finalizzata al traffico di stupefacenti;
2. sequestro di persona a scopo di estorsione;
3. delitti commessi per finalità di terrorismo o eversione dell’ordine costituzionale;
4. omicidio, rapina aggravata, produzione e traffico di stupefacenti aggravati;
5. violenza sessuale.

L’elenco è tassativo: l’ostatività NON si estende alle fattispecie tentate.

Ci sono ulteriori casi previsti dalla Legge in cui l’esecuzione non può essere sospesa:
– se il condannato è detenuto in carcere [comma 9, lett. b); (mentre è da sospendere se si trovi agli arresti domiciliari (co. 10), qualora la residua pena da eseguire sia inferiore ad anni 4],
– per (divieto di) doppia sospensione su una stessa condanna, seppur per misure alternative diverse o diversamente motivate (co. 7),
– se il condannato non presenta istanza di misura alternativa o la presenta fuori termine.

Quali sono i casi di rinvio dell’esecuzione?

I casi di rinvio dell’esecuzione si possono suddividere in due modalità: obbligatorio e facoltativo.

I principali casi di rinvio obbligatorio sono:

    • se deve aver luogo nei confronti di una donna incinta;

nei confronti di una donna che ha partorito da meno di 6 mesi;

se deve aver luogo nei confronti di persone affette da H.I.V. nei casi di incompatibilità con lo stato di detenzione.

I principali casi di rinvio facoltativo sono:

  • se viene presentata domanda di grazia: in questo caso il rinvio non può essere superiore a 6 mesi;
  • se la pena detentiva deve essere eseguita nei confronti di persona che si trovi in condizioni di grave infermità fisica;
  • se la pena detentiva deve essere eseguita nei confronti di una donna che ha partorito da più di 6 mesi ma da meno di 1 anno e non vi è la possibilità di affidare il bambino ad altra persona.

Fine pena, significato

Dal momento che la persona condannata inizia ad espiare la pena, in qualsivoglia modalità, il PM competente (Ufficio Esecuzione Penale presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale circondariale o quello della Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello distrettuale) determina la data del fine pena: l’ultimo giorno, mese e anno nel quale cessa l’espiazione della pena.

Quella data del fine pena è riportata all’interno di un provvedimento denominato ordine di scarcerazione (se il condannato era detenuto al momento dell’emissione dell’ordine di esecuzione, questo è già previsto nell’ultimo Ordine di Esecuzione notificatogli) emesso dal medesimo PM competente.


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Referenze

Pubblicazione legale

Su separazione e divorzio consensuale

Pubblicato su IUSTLAB

Su separazione e divorzio consensuale ci sono delle novità introdotte con la cosiddetta “Riforma Cartabia” . Si tratta di un procedimento unitario per i giudizi contenziosi in materia di persone, minorenni e famiglie (fatte salve specifiche eccezioni). Tra le nuove regole spicca la possibilità di proporre, già negli atti introduttivi della separazione giudiziale, domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio (art. 473-bis.49 c.p.c.). Cosa prevede la legge contenuta nella Riforma Cartabia? La legge contenuta nella Riforma Cartabia su separazione e divorzio consensuale prevede un modello processuale unitario per la domanda congiunta di separazione, divorzio, scioglimento dell’unione civile e regolamentazione della responsabilità genitoriale per i figli di genitori non coniugati (art. 473-bis.51 c.p.c.). L’art. 3, comma 33, D.Lgs. n. 149/2022 ha inserito l’intero nuovo comparto del rito unitario, tra le cui norme figura anche l’art. 473-bis.51 c.p.c., rubricato “procedimento su domanda congiunta”. In questa maniera si evidenzia una specifica disciplina relativa a tutti i procedimenti di cui all’art. 473-bis.47 c.p.c. (e dunque separazione, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, scioglimento dell’unione civile e regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, nonché di modifica delle relative condizioni), laddove presentati in forma congiunta. Snellire separazione e divorzio consensuale Con questa riforma non si è fatto altro che arrivare al giusto e naturale compromesso tra le peculiarità della separazione, fondata sulla finale omologazione, e quella del divorzio congiunto, da sempre attuato con sentenza, immaginando e introducendo una sentenza con la quale è possibile – sempre, beninteso, nel rispetto della funzione dichiarativa propria della giurisdizione in materia matrimoniale e di status – tanto omologare l’accordo (ad esempio di separazione) quanto prendere atto degli ulteriori accordi intervenuti tra le parti. Separazione consensuale, cosa ci dice la Legge Nel regime introdotto dall’art. 473-bis.49 c.p.c. è sicuramente possibile che il ricorrente o il resistente proponga domanda di divorzio nel contesto del giudizio di separazione giudiziale e che in tale sede le parti trovino poi un accordo sulle condizioni di entrambi gli istituti. In questo caso il tribunale pronuncerà la sentenza di separazione su accordo tra le parti e rinvierà la causa dopo il termine necessario di sei mesi per il recepimento anche degli accordi delle parti sul divorzio, essendo la domanda di divorzio già pendente nel processo e non potendo quindi certamente la stessa essere stralciata soltanto sul presupposto che sia stato raggiunto un accordo di separazione. Non è irrilevante considerare che, nella maggior parte dei casi, l’accordo raggiunto tra le parti riguarderà verosimilmente le condizioni tanto della separazione quanto del divorzio. È pur vero che in astratto non è escluso che le parti raggiungano un accordo solo sulla separazione e non già anche sul divorzio (altamente improbabile), in quanto proprio l’assenza del raggiungimento di un accordo integrale su tutte le condizioni farà sì che ci sarà sempre una parte che avrà interesse a resistere – anche solo in funzione dilatoria – rispetto ai temi relativi al divorzio. Ciò significa, in ogni caso, che nel giudizio contenzioso di fatto è possibile la risoluzione di tutte le domande e questioni relative a entrambi gli istituti in forma congiunta. Cosa si potrà fare da oggi con la Riforma Cartabia? Con il nuovo ordinamento sarà possibile riunire i giudizi di separazione e divorzio pure, in ipotesi, separatamente instaurati, applicando l’art. 40 c.p.c. ovvero l’art. 274 c.p.c., a seconda che i procedimenti pendano davanti a giudici diversi ovvero allo stesso giudice. Attenzione però! Bisogna comunque confrontarsi con la persistente procedibilità della domanda di divorzio al solo ricorrere dei presupposti di legge di cui all’art. 3 l. div. In questa prospettiva, si dovrà immaginare che nel ricorso congiunto i coniugi indichino simultaneamente le condizioni tanto della separazione quanto del futuro divorzio, destinate a operare in due successivi momenti. L’iter in tribunale L’iter da seguire in questi casi è abbastanza lineare; a seguito del deposito infatti si metterà in moto la scansione prevista dall’art. 479-bis.51 c.p.c., che prevede che il presidente fissi l’udienza per la comparizione delle parti davanti al giudice relatore e disponga la trasmissione degli atti al pubblico ministero. Quest’ultimo è chiamato a esprimere il proprio parere entro tre giorni prima della data dell’udienza. All’udienza il giudice sentirà le parti e preso atto della loro volontà di non riconciliarsi, rimette la causa in decisione. Arrivati a questo punto l’iter giudiziario proseguirà con il tribunale che, in composizione collegiale emanerà la sentenza (non definitiva) con la quale dichiarerà la separazione. In seguito, la omologherà prendendo atto degli ulteriori accordi intervenuti tra le parti e con la stessa fisserà un’ ulteriore udienza dopo il termine di sei mesi. Questo, al fine di consentire la procedibilità della domanda di divorzio. Alla nuova udienza si ripeterà il meccanismo previsto dalla norma, pur se questa volta volto all’emanazione della finale sentenza di divorzio.

Sentenza giudiziaria

Riconoscimento sentenza straniera di nullità del testamento olografo del defunto

Sentenza Corte d'Appello palermo, Sez. I civile, RG 47/2016, 4.10.2016, n. 3553/2016

Il testamento (nullo), prodotto dolosamente in Italia, veniva annullato da una Corte del Canade e la sentenza di nullità, riconosciuta in Italia dalla Corte d'Appello di Palermo, veniva positivamente utilizzata nel Tribunale di merito

Pubblicazione legale

L’accettazione dell’eredità

Pubblicato su IUSTLAB

L’ accettazione dell’eredità da parte del soggetto chiamato comporta che egli acquisisca il diritto all’eredità con effetto decorrente dal giorno dell’apertura della successione. Con l’accettazione dell’eredità il “delato”, in forma espressa o tacita, assume la qualità di “erede” con effetto dal giorno dell’apertura della successione, subentrando nella titolarità dei beni e dei rapporti compresi nell’asse ereditario senza la facoltà di poter preferire determinate posizioni per escluderne altre. Egli può, eventualmente, soltanto decidere di rinunciare all’eredità ovvero accettarla con beneficio di inventario, non essendo invece ammessa un’accettazione parziale, condizionata o a termine. L’accettazione dell’eredità è irrevocabile o no? L’accettazione è irrevocabile e non ripetibile: è da compiersi entro dieci anni dall’apertura della successione o dall’avveramento della condizione nel caso sia stata posta. C’è però un’eccezione riguardante le ipotesi di accettazione con beneficio d’inventario: in questi casi, l’art. 485 c.c. indica, per il chiamato possessore dei beni ereditari, il termine di quaranta giorni dalla redazione dell’inventario, a sua volta da effettuarsi entro tre mesi dall’apertura della successione; trascorso detto termine senza che il chiamato abbia deliberato, lo stesso è considerato erede puro e semplice. L’accettazione può essere manifestata in forma espressa o tacita. L’alternativa è riferibile alla sola accettazione pura e semplice, non essendo estensibile per ovvie ragioni a quella con beneficio d’inventario. L’accettazione in forma espressa avviene tramite aditio . In tal caso, l’accettazione si realizza mediante una dichiarazione esplicita di volontà – che può essere contenuta in un atto pubblico o in una scrittura privata – con cui il chiamato all’eredità dichiara espressamente di accettarla assumendo così la qualità di erede. Accettazione eredità in forma tacita L’accettazione tacita, disciplinata dall’ art. 476 c.c., avviene mediante il compimento da parte del chiamato di atti che presuppongono necessariamente la volontà di accettare, atti che egli non avrebbe il diritto di compiere se non nella qualità di erede. Secondo l’ art. 476 c.c., non ogni atto compiuto dal chiamato in relazione ai beni ereditari comporta automaticamente l’acquisto dell’eredità: la norma richiede un atto che, oltre a presupporre necessariamente la volontà di accettare del chiamato, possa essere compiuto soltanto da un soggetto che riveste la qualità di erede. Quali sono i casi di accettazione tacita previsti dalla Legge? Il trasferimento dei diritti di successione ad un terzo o agli altri chiamati (artt. 477-478 c.c.). Il legislatore individua alcuni atti integranti accettazione dell’eredità che costituiscono ipotesi di accettazione tacita c.d. “presunta”. In primo luogo, integra un’ipotesi di accettazione tacita presunta il trasferimento a titolo oneroso (vendita o cessione) o gratuito (donazione) dei diritti di successione ad un terzo o agli altri chiamati o ad uno di questi. Si tratta di accettazioni presunte in quanto l’atto dispositivo (art. 477 c.c.) o rinunziativo-traslativo (art.478 c.c.) implica necessariamente un acquisto dei diritti che vengono poi ceduti. La ratio di tali previsioni è stata individuata nella circostanza che il chiamato può sempre dismettere il proprio diritto rinunziandovi (art. 519 c.c.), ma non può disporre di esso né a titolo gratuito né oneroso. Si tratta, quindi, di atti che per essere validamente compiuti presuppongono la qualità di erede: il loro compimento è conferma della circostanza che il chiamato vuole avvalersi della successione. Si ritiene generalmente che l’ art. 477 c.c., che richiama espressamente la vendita e la donazione, ricomprenda qualsiasi negozio di trasferimento di eredità, in quanto il concetto di cessione prescinde da uno schema causale predefinito e ne amplia l’ambito di applicazione; con la conseguenza che anche la transazione può rientrare tra gli atti traslativi che comportano un’accettazione tacita. Vendita di eredità, da cosa si determina Parimenti, si affermano ricomprese nella fattispecie dell’accettazione tacita presunta anche la permuta e la datio in solutum, mentre si ritiene esclusa la donazione indiretta. La vendita di eredità viene qualificata dalla dottrina quale cessione onerosa di un’universalità di diritto, integrando un caso di accettazione tacita presunta. Non rientra, invece, nella fattispecie l’alienazione di singoli cespiti ereditari, la quale rileva ai soli fini dell’ art. 476 c.c. La differenza fra le due fattispecie (accettazione tacita “semplice” e accettazione tacita “presunta”) assume rilievo dirimente: nell’ipotesi ex art. 476 c.c. deve essere dimostrata la natura dell’atto per configurarlo alternativamente come accettazione tacita ovvero come atto di amministrazione o di gestione conservativa; nelle fattispecie di cui agli artt. 477 e 478 c.c. non è consentita al chiamato prova contraria. Pertanto, al di fuori dei casi di presunzione legale, la generica formulazione dell’ art. 476 c.c. rimette all’attività dell’interprete il compito di individuare gli atti e i comportamenti che hanno quale conseguenza l’accettazione dell’eredità da parte del chiamato. Le altre fattispecie di accettazione tacita individuate dalla giurisprudenza Tra gli altri, sono stati considerati atti idonei ad integrare un’accettazione tacita di eredità: la concessione di un’ipoteca sui beni ereditari, l’accettazione di una somma di pertinenza ereditaria offerta al chiamato in considerazione della sua qualità, la riscossione di un rateo della pensione o dello stipendio del de cuius; l’esperimento di alcune azioni giudiziarie che non rientrano negli atti consentiti dall’ art. 460 c.c.; l’intervento in giudizio operato da un chiamato all’eredità nella qualità di erede legittimo del “de cuius”; la riscossione dei canoni di locazione di un bene ereditario; la transazione di una lite connessa all’eredità, nonché la proposta di un accordo per la divisione “amichevole” dell’eredità; la riscossione da parte del chiamato di un assegno rilasciato al de cuius in pagamento di un suo credito. Inoltre, anche l’atto di voltura catastale posto in essere dal chiamato una volta compiuta la dichiarazione di successione assumerebbe rilievo ai fini dell’ art. 476 c.c.. Accettazione dell’eredità: ecco chi paga Tenuto al pagamento degli oneri derivanti dall’accettazione dell’eredità è colui che ha accettato di acquisire la qualità di erede. Chi eredita un immobile per successione ereditaria, ad es., è tenuto a pagare la trascrizione dell’accettazione tacita: per sé stesso e per poter procedere, eventualmente, alla vendita dell’immobile. Quando è obbligatoria l’accettazione dell’eredità? Nel nostro ordinamento “nessuno è erede contro la propria volontà” e l’eredità, a differenza del legato, si acquista solo per un atto di accettazione da parte del chiamato. L’accettazione con beneficio d’inventario è, invece, obbligatoria quando l’erede è un minore, un interdetto, un minore emancipato o un inabilitato. In tali ipotesi l’accettazione necessita anche di un’apposita autorizzazione del Giudice tutelare. Cosa succede se non si presenta la dichiarazione di successione entro l’anno dalla morte del de cuius? L’art. 31 T.U. succ. (D.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346) prevede il termine di un anno, decorrente dalla data di apertura della successione, per la presentazione della dichiarazione di successione. L’art. 50 T.U. succ. (D.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346) prevede che nel caso in cui la dichiarazione di successione non venga presentata entro un anno dalla data di morte del defunto, il contribuente sarà soggetto a una sanzione amministrativa con un importo variabile dal 120 al 240 per cento dell’imposta. In caso di dichiarazione di successione tardiva, non superiore a 30 giorni, è prevista la sanzione amministrativa dal 60% al 120% dell’imposta dovuta o, se non è dovuta imposta, da 150 a 500 euro. La denuncia di successione dell’eredità Soggetti obbligati a presentare la dichiarazione (art. 28 , comma 2, del T.U. succ.) sono: • i chiamati all’eredità e i legatari (o i loro rappresentanti legali); • gli immessi nel possesso dei beni, in caso di assenza o di dichiarazione di morte presunta; • gli amministratori dell’eredità; • i curatori delle eredità giacenti; • gli esecutori testamentari. Se più persone sono obbligate alla presentazione della dichiarazione, è sufficiente che la stessa sia presentata da una sola di esse. Alla dichiarazione non occorre più allegare gli estratti catastali degli immobili caduti in successione (risoluzione Ag. En. 13/02/2013). Chi è esonerato? i chiamati all’eredità ed i legatari che abbiano rinunciato all’eredità o al legato anteriormente alla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione di successione; i chiamati che, non essendo nel possesso dei beni ereditari, abbiano nominato un curatore per l’eredità giacente ai sensi dell’ art. 528 c.c. Non sussiste l’obbligo di presentare la dichiarazione di successione, se ricorrono contemporaneamente le seguenti condizioni: • l’eredità sia devoluta al coniuge ed ai parenti in linea retta del defunto; • l’attivo ereditario abbia un valore non superiore a 100.000 euro; • l’eredità non comprenda beni immobili o diritti reali immobiliari. Le condizioni appena elencate si devono verificare contemporaneamente e devono rimanere invariate anche nei casi in cui, in un secondo momento, altri beni o diritti entrino nell’attivo ereditario. Ad es., nel caso in cui a seguito di un rimborso fiscale si superi la soglia dei 100.000 euro, sussisterà l’obbligo alla presentazione della dichiarazione ed i relativi termini decorrono dalla comunicazione del rimborso. La dichiarazione di successione deve essere presentata entro 12 mesi dalla data di apertura della successione, da uno dei soggetti obbligati, all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate nella cui circoscrizione era residente il defunto. Entro quali termini il contribuente può rettificare la denuncia di successione? La giurisprudenza di legittimità (si veda Cass. 10/05/2013, n. 11192 ) ha più volte affermato che il contribuente può procedere alla rettifica di errori di qualsiasi genere, contenuti nella dichiarazione di successione, anche dopo la scadenza del termine per la presentazione, di cui all’ art. 31, D.Lgs. 31/10/1990, n. 346 , salva l’applicazione delle sanzioni di cui agli artt. 50 e ss., e con effetti diversi, a seconda che la modifica abbia luogo: prima della notificazione dell’avviso di liquidazione della maggiore imposta, l’Ufficio è tenuto a rispettare le risultanze della correzione, fermo restando l’esercizio dei suoi poteri in ordine ai valori emendati, ma con onere della prova a carico dell’Amministrazione; successivamente alla notificazione dell’avviso di liquidazione: in questo caso la rettifica, venendo necessariamente ad operare in sede contenziosa, pone a carico del contribuente l’onere di dimostrare la correttezza della modifica proposta. L’ufficio finanziario deve dunque prendere in considerazione la rettifica della dichiarazione, ai fini della liquidazione della predetta imposta, anche quando quest’ultima sia già stata liquidata in base alla dichiarazione originaria, altrimenti spettando tale valutazione al giudice tributario.

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