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L’accettazione dell’eredità

Scritto da: Luigi Lusi - Pubblicato su IUSTLAB

Pubblicazione legale:

L’accettazione dell’eredità da parte del soggetto chiamato comporta che egli acquisisca il diritto all’eredità con effetto decorrente dal giorno dell’apertura della successione.

Con l’accettazione dell’eredità il “delato”, in forma espressa o tacita, assume la qualità di “erede” con effetto dal giorno dell’apertura della successione, subentrando nella titolarità dei beni e dei rapporti compresi nell’asse ereditario senza la facoltà di poter preferire determinate posizioni per escluderne altre.

Egli può, eventualmente, soltanto decidere di rinunciare all’eredità ovvero accettarla con beneficio di inventario, non essendo invece ammessa un’accettazione parziale, condizionata o a termine.

L’accettazione dell’eredità è irrevocabile o no?

L’accettazione è irrevocabile e non ripetibile: è da compiersi entro dieci anni dall’apertura della successione o dall’avveramento della condizione nel caso sia stata posta. C’è però un’eccezione riguardante le ipotesi di accettazione con beneficio d’inventario: in questi casi, l’art. 485 c.c. indica, per il chiamato possessore dei beni ereditari, il termine di quaranta giorni dalla redazione dell’inventario, a sua volta da effettuarsi entro tre mesi dall’apertura della successione; trascorso detto termine senza che il chiamato abbia deliberato, lo stesso è considerato erede puro e semplice.

L’accettazione può essere manifestata in forma espressa o tacita. L’alternativa è riferibile alla sola accettazione pura e semplice, non essendo estensibile per ovvie ragioni a quella con beneficio d’inventario. L’accettazione in forma espressa avviene tramite aditio. In tal caso, l’accettazione si realizza mediante una dichiarazione esplicita di volontà – che può essere contenuta in un atto pubblico o in una scrittura privata – con cui il chiamato all’eredità dichiara espressamente di accettarla assumendo così la qualità di erede.

Accettazione eredità in forma tacita

L’accettazione tacita, disciplinata dall’ art. 476 c.c., avviene mediante il compimento da parte del chiamato di atti che presuppongono necessariamente la volontà di accettare, atti che egli non avrebbe il diritto di compiere se non nella qualità di erede. Secondo l’ art. 476 c.c., non ogni atto compiuto dal chiamato in relazione ai beni ereditari comporta automaticamente l’acquisto dell’eredità: la norma richiede un atto che, oltre a presupporre necessariamente la volontà di accettare del chiamato, possa essere compiuto soltanto da un soggetto che riveste la qualità di erede.

Quali sono i casi di accettazione tacita previsti dalla Legge?

Il trasferimento dei diritti di successione ad un terzo o agli altri chiamati (artt. 477-478 c.c.).
Il legislatore individua alcuni atti integranti accettazione dell’eredità che costituiscono ipotesi di accettazione tacita c.d. “presunta”.

In primo luogo, integra un’ipotesi di accettazione tacita presunta il trasferimento a titolo oneroso (vendita o cessione) o gratuito (donazione) dei diritti di successione ad un terzo o agli altri chiamati o ad uno di questi.

Si tratta di accettazioni presunte in quanto l’atto dispositivo (art. 477 c.c.) o rinunziativo-traslativo (art.478 c.c.) implica necessariamente un acquisto dei diritti che vengono poi ceduti. La ratio di tali previsioni è stata individuata nella circostanza che il chiamato può sempre dismettere il proprio diritto rinunziandovi (art. 519 c.c.), ma non può disporre di esso né a titolo gratuito né oneroso. Si tratta, quindi, di atti che per essere validamente compiuti presuppongono la qualità di erede: il loro compimento è conferma della circostanza che il chiamato vuole avvalersi della successione.

Si ritiene generalmente che l’ art. 477 c.c., che richiama espressamente la vendita e la donazione, ricomprenda qualsiasi negozio di trasferimento di eredità, in quanto il concetto di cessione prescinde da uno schema causale predefinito e ne amplia l’ambito di applicazione; con la conseguenza che anche la transazione può rientrare tra gli atti traslativi che comportano un’accettazione tacita.

Vendita di eredità, da cosa si determina

Parimenti, si affermano ricomprese nella fattispecie dell’accettazione tacita presunta anche la permuta e la datio in solutum, mentre si ritiene esclusa la donazione indiretta. La vendita di eredità viene qualificata dalla dottrina quale cessione onerosa di un’universalità di diritto, integrando un caso di accettazione tacita presunta. Non rientra, invece, nella fattispecie l’alienazione di singoli cespiti ereditari, la quale rileva ai soli fini dell’ art. 476 c.c.

La differenza fra le due fattispecie (accettazione tacita “semplice” e accettazione tacita “presunta”) assume rilievo dirimente: nell’ipotesi ex art. 476 c.c. deve essere dimostrata la natura dell’atto per configurarlo alternativamente come accettazione tacita ovvero come atto di amministrazione o di gestione conservativa; nelle fattispecie di cui agli artt. 477 e 478 c.c. non è consentita al chiamato prova contraria.

Pertanto, al di fuori dei casi di presunzione legale, la generica formulazione dell’ art. 476 c.c. rimette all’attività dell’interprete il compito di individuare gli atti e i comportamenti che hanno quale conseguenza l’accettazione dell’eredità da parte del chiamato.

Le altre fattispecie di accettazione tacita individuate dalla giurisprudenza

Tra gli altri, sono stati considerati atti idonei ad integrare un’accettazione tacita di eredità: la concessione di un’ipoteca sui beni ereditari, l’accettazione di una somma di pertinenza ereditaria offerta al chiamato in considerazione della sua qualità, la riscossione di un rateo della pensione o dello stipendio del de cuius; l’esperimento di alcune azioni giudiziarie che non rientrano negli atti consentiti dall’ art. 460 c.c.; l’intervento in giudizio operato da un chiamato all’eredità nella qualità di erede legittimo del “de cuius”; la riscossione dei canoni di locazione di un bene ereditario; la transazione di una lite connessa all’eredità, nonché la proposta di un accordo per la divisione “amichevole” dell’eredità; la riscossione da parte del chiamato di un assegno rilasciato al de cuius in pagamento di un suo credito. Inoltre, anche l’atto di voltura catastale posto in essere dal chiamato una volta compiuta la dichiarazione di successione assumerebbe rilievo ai fini dell’ art. 476 c.c..

Accettazione dell’eredità: ecco chi paga

Tenuto al pagamento degli oneri derivanti dall’accettazione dell’eredità è colui che ha accettato di acquisire la qualità di erede. Chi eredita un immobile per successione ereditaria, ad es., è tenuto a pagare la trascrizione dell’accettazione tacita: per sé stesso e per poter procedere, eventualmente, alla vendita dell’immobile.

Quando è obbligatoria l’accettazione dell’eredità?

Nel nostro ordinamento “nessuno è erede contro la propria volontà” e l’eredità, a differenza del legato, si acquista solo per un atto di accettazione da parte del chiamato.
L’accettazione con beneficio d’inventario è, invece, obbligatoria quando l’erede è un minore, un interdetto, un minore emancipato o un inabilitato. In tali ipotesi l’accettazione necessita anche di un’apposita autorizzazione del Giudice tutelare.

Cosa succede se non si presenta la dichiarazione di successione entro l’anno dalla morte del de cuius?

L’art. 31 T.U. succ. (D.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346) prevede il termine di un anno, decorrente dalla data di apertura della successione, per la presentazione della dichiarazione di successione.

L’art. 50 T.U. succ. (D.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346) prevede che nel caso in cui la dichiarazione di successione non venga presentata entro un anno dalla data di morte del defunto, il contribuente sarà soggetto a una sanzione amministrativa con un importo variabile dal 120 al 240 per cento dell’imposta.

In caso di dichiarazione di successione tardiva, non superiore a 30 giorni, è prevista la sanzione amministrativa dal 60% al 120% dell’imposta dovuta o, se non è dovuta imposta, da 150 a 500 euro.

La denuncia di successione dell’eredità

Soggetti obbligati a presentare la dichiarazione (art. 28 , comma 2, del T.U. succ.) sono:
• i chiamati all’eredità e i legatari (o i loro rappresentanti legali);
• gli immessi nel possesso dei beni, in caso di assenza o di dichiarazione di morte presunta;
• gli amministratori dell’eredità;
• i curatori delle eredità giacenti;
• gli esecutori testamentari.

Se più persone sono obbligate alla presentazione della dichiarazione, è sufficiente che la stessa sia presentata da una sola di esse. Alla dichiarazione non occorre più allegare gli estratti catastali degli immobili caduti in successione (risoluzione Ag. En. 13/02/2013).

Chi è esonerato?

  1. i chiamati all’eredità ed i legatari che abbiano rinunciato all’eredità o al legato anteriormente alla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione di successione;
  2. i chiamati che, non essendo nel possesso dei beni ereditari, abbiano nominato un curatore per l’eredità giacente ai sensi dell’ art. 528 c.c.

Non sussiste l’obbligo di presentare la dichiarazione di successione, se ricorrono contemporaneamente le seguenti condizioni:

• l’eredità sia devoluta al coniuge ed ai parenti in linea retta del defunto;
• l’attivo ereditario abbia un valore non superiore a 100.000 euro;
• l’eredità non comprenda beni immobili o diritti reali immobiliari.

Le condizioni appena elencate si devono verificare contemporaneamente e devono rimanere invariate anche nei casi in cui, in un secondo momento, altri beni o diritti entrino nell’attivo ereditario.

Ad es., nel caso in cui a seguito di un rimborso fiscale si superi la soglia dei 100.000 euro, sussisterà l’obbligo alla presentazione della dichiarazione ed i relativi termini decorrono dalla comunicazione del rimborso.

La dichiarazione di successione deve essere presentata entro 12 mesi dalla data di apertura della successione, da uno dei soggetti obbligati, all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate nella cui circoscrizione era residente il defunto.

Entro quali termini il contribuente può rettificare la denuncia di successione?

La giurisprudenza di legittimità (si veda Cass. 10/05/2013, n. 11192 ) ha più volte affermato che il contribuente può procedere alla rettifica di errori di qualsiasi genere, contenuti nella dichiarazione di successione, anche dopo la scadenza del termine per la presentazione, di cui all’ art. 31, D.Lgs. 31/10/1990, n. 346 , salva l’applicazione delle sanzioni di cui agli artt. 50 e ss., e con effetti diversi, a seconda che la modifica abbia luogo:

  • prima della notificazione dell’avviso di liquidazione della maggiore imposta, l’Ufficio è tenuto a rispettare le risultanze della correzione, fermo restando l’esercizio dei suoi poteri in ordine ai valori emendati, ma con onere della prova a carico dell’Amministrazione;
  • successivamente alla notificazione dell’avviso di liquidazione: in questo caso la rettifica, venendo necessariamente ad operare in sede contenziosa, pone a carico del contribuente l’onere di dimostrare la correttezza della modifica proposta.

L’ufficio finanziario deve dunque prendere in considerazione la rettifica della dichiarazione, ai fini della liquidazione della predetta imposta, anche quando quest’ultima sia già stata liquidata in base alla dichiarazione originaria, altrimenti spettando tale valutazione al giudice tributario.


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Referenze

Pubblicazione legale

Contratti di compravendita immobiliare: quali sono e come si stipulano

Pubblicato su IUSTLAB

Le tipologie di contratti di compravendita immobiliare . Il contratto di vendita immobiliare può essere : a misura (se nel contratto è indicata con precisione la misura dell’immobile e il prezzo è stabilito in un tanto per ogni unità di misura, art. 1537 c.c.); a corpo (se il prezzo è fissato in modo forfettario con riferimento all’intero immobile, art. 1538 c.c.). La differenza è importante perché, quando la misura effettiva dell’immobile non corrisponde a quella indicata in contratto, i rimedi applicabili (riduzione o supplemento di prezzo; recesso dal contratto) sono diversi nella vendita a misura e in quella a corpo. Per la vendita di edifici , ai fini della validità del contratto, rileva la regolarità urbanistica della costruzione. A norma dell’art. 46 del D.P.R. n. 380/20011, infatti, gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione, o scioglimento della comunione, di diritti reali, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria: ciò vale solo per edifici o parti di essi la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985. L’art. 40 della L. n. 47/19852, il quale prevede la nullità degli atti inter vivos aventi ad oggetto immobili realizzati – in epoca anteriore – in totale difformità della concessione o in assenza di quest’ultima, non prevede gli atti di scioglimento della comunione i quali, pertanto, non sono soggetti alla detta disciplina. Al fine di poter esercitare l’azione di esecuzione specifica ex art. 2932 c.c. l’indicazione degli estremi del permesso di costruire è chiesta anche nel contratto preliminare di vendita di immobili (Cass. civ. 22 maggio 2008, n. 13225). La vendita immobiliare e il certificato di abitabilità Nella vendita di immobile destinato ad abitazione , il certificato di abitabilità costituisce requisito giuridico essenziale del bene compravenduto poiché vale ad incidere sull’attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione economico-sociale, assicurandone legittimo godimento e commerciabilità. Il mancato rilascio integra inadempimento del venditore per consegna di aliud pro alio, adducibile da parte del compratore in via di eccezione, ai sensi dell’art. 1460 c.c., o come fonte di pretesa risarcitoria per la ridotta commerciabilità del bene (a meno che egli non abbia espressamente rinunciato al requisito dell’abitabilità o esonerato comunque il venditore dall’obbligo di ottenere la relativa licenza, salva, ovviamente, la rilevanza in senso contrario del successivo rilascio di detto certificato: Cass. civ. 12 marzo 2014, n. 5778). Vendita di immobile da costruire E’ ammissibile la vendita di immobile da costruire . Il costruttore, per finanziare il progetto edilizio da iniziare o completare, vende (o più spesso promette in vendita con un contratto preliminare) gli appartamenti non ancora costruiti; e normalmente incassa un acconto. Ma l’operazione può finire male: se il venditore entra in crisi, non completa la costruzione, cessa l’attività e magari fallisce. La Legge delega 210/20043 e il D.Lgs. n. 122/20054 proteggono i compratori contro tali rischi con strumenti di tutela a favore di chi stipula contratti aventi ad oggetto immobili da costruire o in costruzione, tra i quali la prescrizione di una serie di contenuti necessari del contratto. Essa prevede l’obbligo del venditore di garantire con fideiussione bancaria l’eventuale restituzione degli acconti versati; una serie di indicazioni da inserire in contratto per rendere precisi e trasparenti i termini dell’operazione; regole per limitare il rischio che il compratore perda l’immobile a causa di procedimenti di esecuzione forzata promossi dai creditori del venditore. La giurisprudenza (Cass. civ. 10 marzo 2011, n. 5749) ritiene nullo il contratto preliminare di vendita di un immobile da costruire a causa della mancata indicazione, nel contratto stesso, degli estremi del titolo che abilita a costruire o della sua richiesta, in violazione del D.Lgs. n. 122/2005: sono da ritenersi immobili da costruire, in base a tale normativa, tutti quegli immobili che si trovano in uno stadio di costruzione che si colloca tra i seguenti due momenti temporali della fase progettuale-edificatoria. Dal lato iniziale, dopo l’avvenuta richiesta del permesso di costruire o l’avvenuta presentazione della denuncia di inizio attività; dal lato finale, prima del completamento delle finiture e della conseguente richiesta del certificato di agibilità. Il riferimento alla presentazione del permesso di costruire come elemento iniziale del predetto arco temporale esclude dall’ambito di applicazione della disciplina di tutela il contratto preliminare avente ad oggetto edifici esistenti soltanto “sulla carta”, ossia già allo stato di progetto ma per i quali non sia stato ancora richiesto il permesso di costruire o un titolo equipollente. Spese condominiali: come funziona la suddivisione Nel rapporto tra venditore e acquirente – salvo diversa convenzione tra le parti – è operante il principio della personalità delle obbligazioni: l’acquirente dell’unità immobiliare risponde soltanto delle obbligazioni condominiali sorte in epoca successiva al momento in cui, acquistandola, è divenuto condomino. Se, in virtù del principio dell’ambulatorietà passiva di tali obbligazioni, sia stato chiamato a rispondere delle obbligazioni sorte in epoca anteriore, questi ha diritto a rivalersi nei confronti del suo dante causa. In giurisprudenza, si è posto il problema riguardante la vendita di un’unità immobiliare situata in un condominio, nel quale siano stati deliberati lavori di manutenzione o di ristrutturazione. Ci si è chiesto chi sia tenuto, tra alienante ed acquirente, a sopportare le relative spese in mancanza di accordo fra le parti e quale sia il momento in cui sorge la relativa obbligazione. Per i giudici la soluzione è legata alla diversa origine della spesa alla quale il condomino deve contribuire. In presenza di opere di manutenzione straordinaria e di innovazioni, le quali debbono essere preventivamente determinate dall’assemblea, la delibera condominiale che dispone l’esecuzione degli interventi assume valore costitutivo della relativa obbligazione in capo a ciascun condomino. In tal caso, l’obbligo di contribuire alle spese discende non dall’esercizio della funzione amministrativa rimessa all’amministratore nel quadro dell’appostazione di somme contenute nel bilancio preventivo, ma, direttamente, dalla delibera dell’assemblea. Vendita di un’unita sola in condominio: cosa sapere In caso di vendita di un’unità immobiliare in condominio, nel quale siano stati deliberati lavori di straordinaria manutenzione o di ristrutturazione o innovazioni, in mancanza di accordo tra le parti, nei rapporti interni tra alienante ed acquirente è tenuto a sopportarne i relativi costi chi era proprietario al momento della delibera dell’assemblea; ove tali spese siano state deliberate antecedentemente alla stipulazione dell’atto di trasferimento dell’unità immobiliare, ne risponde il venditore, a nulla rilevando che tali opere siano state, in tutto o in parte, eseguite successivamente, e l’acquirente ha diritto a rivalersi, nei confronti del proprio dante causa, per quanto pagato al condominio. Qualora l’approvazione della delibera di esecuzione dei lavori di straordinaria manutenzione sopravvenga soltanto successivamente alla stipula della vendita, l’obbligo del pagamento delle relative quote condominiali incombe sull’acquirente, non rilevando l’esistenza di una deliberazione programmatica e preparatoria adottata anteriormente a tale stipula. Contratto di compravendita immobiliare, quali sono gli elementi essenziali Dobbiamo innanzitutto fare un distinguo tra “oggetto” e “soggetto” di un contratto di compravendita. Vediamoli nel dettaglio. Soggetti della vendita Oltre alle persone fisiche, possono cedere o acquistare anche le persone giuridiche nei cui confronti è caduta la disposizione dell’art. 17 c.c. che prevedeva la necessità dell’autorizzazione governativa, per effetto dell’art. 13 della L. n. 127/19971. Stesso discorso per le organizzazioni di volontariato prive di personalità giuridica. Anche le associazioni non riconosciute possono rendersi acquirenti di beni immobili dopo la modifica dell’art. 2659 c.c. introdotta con la L. n. 52/19852. Oggetto della compravendita Per oggetto della vendita s’intende tanto il diritto trasferito quanto, indifferentemente, la cosa su cui cade tale diritto. L’oggetto deve essere determinato o almeno determinabile, occorrendo dunque l’indicazione precisa sia del diritto sia della cosa, o dei criteri di identificazione della stessa (Cass. civ. 25 marzo 1987, n. 2891). Nella compravendita dei beni immobili l’indicazione del bene alienato deve essere effettuata in base alla descrizione obiettiva ed alle indicazioni topografico-catastali e non già secondo riferimenti soggettivi o situazioni di mero fatto (Cass. civ. 26 aprile 2010, n. 9896; Cass. civ. 29 maggio 2007, n. 12506). Nel caso di vendita di una porzione di terreno, il requisito della determinabilità deve ritenersi sussistente qualora il contratto indichi non soltanto la misura esatta della superficie venduta, da distaccarsi dalla porzione maggiore appartenente al venditore, ma ad un tempo specifichi dati oggettivi idonei a non lasciare margini di dubbio sull’identità del terreno venduto (Cass. civ. 10 luglio 2014, n. 15843). L’oggetto della vendita, oltre che determinato o determinabile, deve essere possibile e lecito (art. 1346 c.c.). Nel requisito della possibilità si comprende sia l’alienabilità del diritto sia la commerciabilità della cosa o del bene: nel senso che la cosa o il diritto alienati non devono appartenere, a pena di nullità del contratto, a quella categoria di beni e diritti che il codice civile o leggi speciali definiscono espressamente (Cass. civ. 15 gennaio 2000, n. 409) incommerciabili o inalienabili: ad esempio, edifici abusivi o non perfettamente condonati o privi del previsto diritto di parcheggio. Il pagamento del prezzo Il prezzo è il corrispettivo in denaro – l’obbligazione principale del compratore – che il compratore deve al venditore per la cosa o il diritto che questo gli ha alienato. E’ fissato d’accordo fra le parti, ma può accadere che nel contratto il prezzo risulti non determinato, né determinabile in base ai criteri stabiliti dalle parti. In tal caso, il prezzo applicabile è quello che risulta da una serie di criteri legali, indicati dall’art. 1474 c.c., con riferimento ad alcune categorie di beni. Il prezzo va pagato nel tempo e nel luogo fissati dal contratto (art. 1498 c.c.). Se il contratto non prevede nulla, il prezzo va pagato al momento della consegna e nel luogo di questa. Il prezzo di compravendita deve ritenersi inesistente, con conseguente nullità del contratto per mancanza di un elemento essenziale (art. 1418 c.c.), non nell’ipotesi di una pattuizione di prezzo tenue, vile ed irrisorio, ma quando risulti concordato un prezzo obiettivamente non serio, o perché privo di valore reale e perciò meramente apparente e simbolico, o perché programmaticamente destinato nella comune intenzione delle parti a non essere pagato. Non incide sulla validità del contratto la circostanza che il prezzo, pur in origine seriamente pattuito, non sia stato poi in concreto pagato (Cass. civ. 28 agosto 1993, n. 9144). Solo l’omessa indicazione del prezzo o la sua indeterminabilità comportano nullità del contratto risolvendosi nella mancanza di uno dei requisiti essenziali dello stesso, mentre l’omesso pagamento del prezzo pattuito può dar luogo soltanto alla sua risoluzione (Cass. civ. 14 dicembre 1988, n. 6816). Il prezzo può essere determinato o anche solo determinabile in base a criteri convenzionali o legali, la cui indicazione, quando si tratta di vendita di immobili, deve risultare dal documento, essendo in tal caso la forma scritta richiesta ad substantiam1 dalla legge (Cass. civ. 23 gennaio 1988, n. 523) e non possono operare i criteri legali suppletivi e integrativi ex art. 1474 c.c. Le obbligazioni del venditore La legge pone a carico del venditore tre obblighi principali (art. 1476 c.c.): a) consegnare la cosa al compratore; la legge specifica in particolare: modalità di consegna e luogo della consegna; b) far acquistare la proprietà al compratore, se l’acquisto non è effetto immediato del contratto; c) prestare al compratore la garanzia per i vizi della cosa (art. 1492 ss. c.c.) e per l’evizione (art. 1481 ss. c.c.). La forma del contratto di compravendita A differenza dei beni mobili, per la vendita o promessa di vendita di beni immobili è prevista la forma scritta a pena di nullità: atto pubblico o scrittura privata (artt. 1350, n. 1, e 1351 c.c.). Anche le modifiche relative all’identità dell’immobile, concordate tra le parti successivamente alla stipulazione del contratto, preliminare o definitivo, devono avvenire in forma scritta (Cass. civ. 25 marzo 1987, n. 2891). In tema di compravendita immobiliare, ai fini della configurabilità dell’atto scritto richiesto ad substantiam per la validità del negozio, occorre che in esso risulti inequivocabilmente la manifestazione specifica della volontà di concludere il suddetto contratto, non potendosi ricorrere ad elementi esterni all’atto scritto per accertare l’esistenza di tale volontà (Cass. civ. 16 settembre 2014, n. 19488). Il contratto privo della forma richiesta ad substantiam è nullo e non può essere sanato (Cass. civ. 3 gennaio 2001, n. 59). Quali sono le fasi di compravendita immobiliare? Le compravendite immobiliari si articolano generalmente in tre distinte fasi: • le trattative precontrattuali; • la sottoscrizione del contratto preliminare; • la stipulazione del contratto definitivo. Durante le varie fasi le parti devono comportarsi secondo correttezza. L’art. 1337 c.c., nel sancire il dovere di comportarsi secondo buona fede, prevede una responsabilità a carico della parte che venga meno a tale dovere, per i danni che ne derivano all’altra parte. Tale responsabilità sussiste sia nel caso in cui le trattative si concludano con la stipulazione del contratto sia nel caso in cui vengano interrotte. L’obbligo di buona fede va inteso in senso oggettivo: è sufficiente, pertanto, un qualunque comportamento, anche meramente colposo, che conduca all’interruzione delle trattative, eludendo le aspettative della controparte che abbia sostenuto spese o rinunciato a occasioni più favorevoli. La fase precontrattuale: forma e contenuto degli atti preparatori ATTI PREPARATORI • Libertà delle parti di determinarne forma e contenuto: ◦ meri fatti (contatti telefonici, gli incontri, le visite e i sopralluoghi); ◦ atti (lettera di intenti). • Manifestazioni di interesse, senza alcuna efficacia vincolante: ◦ opportuno inserire nelle comunicazioni scambiate tra le parti clausole che esprimano i limiti delle proposte eventualmente formulate. • Piena facoltà delle parti di verificare la propria convenienza alla stipulazione del contratto stesso. Le compravendite immobiliari si perfezionano al termine di un iter, caratterizzato da una fase precontrattuale durante la quale le parti, acquirente e venditore . Pongono in essere diversi atti (preparatori) alla conclusione del contratto. Si tratta di atti propedeutici e prodromici alla stipulazione del contratto definitivo di compravendita, ciascuno dei quali produce effetti giuridici. Sono atti negoziali coordinati e finalizzati al conseguimento dello stesso obiettivo: la stipulazione del contratto definitivo di compravendita, ossia il trasferimento della proprietà (o di altro diritto reale) a fronte di un corrispettivo. È assai raro che l’acquisto di un’unità immobiliare si concluda istantaneamente con l’accordo di venditore e acquirente e la contestuale stipula dell’atto di trasferimento; nella prassi le compravendite immobiliari si realizzano per lo più in tre distinte fasi: • le trattative precontrattuali; • la sottoscrizione del contratto preliminare; • la stipulazione del contratto definitivo. Per quanto attiene alla forma e al contenuto di tali atti prodromici, le parti sono libere di determinarne la forma e il contenuto: alcuni consistono in meri fatti, quali i contatti telefonici, gli incontri, le visite e i sopralluoghi, altri si concretano in atti come nell’ipotesi di lettera di intenti. In ogni caso, tali manifestazioni di volontà possono considerarsi manifestazioni di interesse, senza alcuna efficacia vincolante. Al fine di evitare che insorga confusione tra intese precontrattuali e contratto preliminare è comunque opportuno che nella fase che precede la stipulazione del contratto siano chiaramente fornite tutte le informazioni e precisati i termini delle trattative stesse; è essenziale che nelle scritture sottoscritte e scambiate tra le parti, lettera di intenti o comunicazione con cui il potenziale acquirente manifesta al venditore un interesse all’affare, siano chiaramente evidenziati i limiti delle proposte eventualmente formulate, prevedendo clausole che riconoscano senza ombra di dubbio che quanto espresso nella lettera di intenti o nella manifestazione di interesse non ha efficacia vincolante. Libertà di recesso dal contratto di compravendita: cosa specifica la Legge Nella fase antecedente la conclusione del contratto le parti hanno piena facoltà di verificare la propria convenienza alla stipulazione del contratto stesso , e sono perciò libere di recedere indipendentemente dall’estrinsecazione di un giustificato motivo, sempre che sia rispettato il dovere di buona fede e, quindi, purché venga mantenuta informata la controparte circa la possibilità di conclusione del contratto e non venga omessa la comunicazione in ordine a circostanze significative rispetto alla economia del contratto medesimo (Cass. civ., 19 novembre 1994, n. 9802). Tuttavia, sebbene le trattative non facciano sorgere obbligazioni di natura contrattuale tra le parti, neppure l’obbligo di concludere il contratto, in caso di recesso dalle trattative può verificarsi un’ipotesi di responsabilità precontrattuale ogni qualvolta il comportamento di una parte abbia ingenerato nell’altra un affidamento, nella conclusione del contratto. D’altro canto, chi inizia le trattative non è solo per questo obbligato a condurle a termine o a non interromperle, né è tenuto a giustificare il suo comportamento, salvo che, in presenza di determinate circostanze soggettive ed oggettive, non si possa ravvisare nella sua condotta un comportamento sostanzialmente illecito perché contrario al generale precetto del neminem laedere. Errori da non commettere nel contratto di compravendita immobiliare l legislatore si accontenta della mera scrittura privata. Invece, è estremamente opportuno e preferibile che l’atto notarile di compravendita sia redatto e stipulato in forma di atto pubblico Gli atti notarili possono essere atti pubblici o scritture private autenticate. L’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti (art. 2700 c.c.). La scrittura privata impegna solo colui che la sottoscrive e nessun altro. Gli atti pubblici di compravendita devono essere registrati e trascritti: non accettate mai di registrare il contratto senza farlo trascrivere presso la competente (per territorio) Conservatoria dei Registri Immobiliari. Solo la trascrizione assolve all’effetto traslativo della proprietà. La trascrizione viene effettuata mediante la presentazione di una nota, nella quale vengono indicati gli estremi relativi all’atto immobiliare, precisando che esso ha luogo contro il soggetto che aliena il diritto di proprietà e a favore della parte acquirente.

Sentenza giudiziaria

Riconoscimento sentenza straniera di nullità del testamento olografo del defunto

Sentenza Corte d'Appello palermo, Sez. I civile, RG 47/2016, 4.10.2016, n. 3553/2016

Il testamento (nullo), prodotto dolosamente in Italia, veniva annullato da una Corte del Canade e la sentenza di nullità, riconosciuta in Italia dalla Corte d'Appello di Palermo, veniva positivamente utilizzata nel Tribunale di merito

Sentenza giudiziaria

Conferma sentenza Corte d'appello che aveva riformato sentenza Tribunale Roma in materia condominiale

Cassazione civile sez. II, 29/04/2010, (ud. 19/02/2010, dep. 29/04/2010), n.10402

La condomina ricorrente conveniva in giudizio (Tribunale Roma) il Condominio al fine di sentir annullare la Delib. Assembleare con la quale era stata negata ad essa condomina l’autorizzazione a installare una canna fumaria sul muro perimetrale, e di sentire, in ogni caso, accertare il diritto dell’attrice a installare la canna fumaria; che nella resistenza del Condominio convenuto (che propose anche una domanda riconvenzionale diretta ad ottenere l’eliminazione della parte di canna fumaria già installata sulla chiostrina interna dello stabile), il Tribunale di Roma, rigettata ogni altra domanda ed eccezione, dichiarò il diritto della condomina ricorrente a collocare, sulla parete esterna dell’edificio prospiciente il cortile, una canna fumaria per l’espulsione dei vapori di cucina secondo il percorso suggerito dal consulente tecnico d’ufficio, da realizzare secondo le indicazioni della c.t.u.; che, in accoglimento del gravame del Condominio, la Corte d’appello di Roma, in totale riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato le domande della condomina ricorrente nei confronti del Condominio e ha condannato la predetta società alla rimozione della restante parte della canna fumaria posta a servizio dei locali di sua proprietà; che la installazione di una canna fumaria sul muro perimetrale di un edificio condominiale, a esclusivo servizio di un condomino, costituisce legittimo uso della cosa comune purchè tale uso non arrechi pregiudizio alla sicurezza, alla stabilità e al decoro dell’edificio nè ai diritti degli altri condomini.

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