Avvocato Maria Carmen Falco a Aversa

Maria Carmen Falco

Avvocato


Informazioni generali

Opero nell'ambito del diritto civile e commerciale per privati, imprese e soprattutto start up, con un approccio attento a comprendere le necessità dei miei assistiti, ad aiutarli ad inquadrare le problematiche e i rischi e a concordare con loro soluzioni realistiche ed efficienti dal punto di vista di tempi e costi, grazie ad un'attitudine di concretezza e spiccate capacità di intermediazione. Nel settore penale, ho una solida formazione e pregressa esperienza e mi occupo soprattutto di criminalità informatica e nuove forme di criminalità.

Esperienza


Contratti

Grazie ad una spiccata capacità di intermediazione, mi occupo della predisposizione di contratti per privati e aziende, seguendo quattro punti cardine: comprensione chiara degli obiettivi del cliente; attività di mediazione tra le parti per garantire la reciproca soddisfazione; chiarezza e precisione del testo per minimizzare il rischio di future incomprensioni tra i contraenti e rinsaldare il rapporto di fiducia reciproca; prevenzione di possibili rischi.


Risarcimento danni

Offro ai miei assistiti una valutazione pratica e realistica delle prospettive di successo delle azioni e li aiuto nella più veloce realizzazione del loro credito risarcitorio, garantendo anche risoluzioni extragiudiziali grazie ad una spiccata capacità di intermediazione. Per privati e aziende.


Eredità e successioni

Il diritto delle successioni comporta spesso l'insorgenza di interminabili contrasti tra gli eredi e lungaggini burocratiche di ogni tipo. Promuovo una veloce risoluzione di queste questioni grazie ad un approccio pratico e orientato al dialogo che permetta a tutte le parti di raggiungere nel minor tempo e con il minor dispendio possibile un risultato soddisfacente.


Altre categorie:

Diritto commerciale e societario, Diritto penale, Diritto civile, Diritto di famiglia, Incapacità giuridica, Antitrust e concorrenza sleale, Fallimento e proc. concorsuali, Proprietà intellettuale, Brevetti, Marchi, Franchising, Diritto del lavoro, Violenza, Stalking e molestie, Reati contro il patrimonio, Sostanze stupefacenti, Diritto penitenziario, Edilizia ed urbanistica, Locazioni, Sfratto, Tutela del consumatore.


Referenze

Pubblicazione legale

Questioni di diritto intertemporale nel traffico di influenze illecite

Pubblicato su IUSTLAB

In diritto penale, la definizione dell’ambito di applicazione temporale delle norme sostanziali è contraddistinta dalla necessità di tutelare la libertà personale ai sensi dell’art. 13 della Costituzione e quindi di garantire la personalità della responsabilità penale attraverso la prevedibilità delle conseguenze della propria condotta. Proprio per la pregnanza di questi principi costituzionali, i criteri di risoluzione delle questioni di diritto intertemporale in materia penale si differenziano dai criteri vigenti negli altri settori dell’ordinamento, in cui, fatte salve le ipotesi di specialità ed eccezionalità, gli articoli 11, 14 e 15 delle Preleggi fissano un criterio strettamente cronologico, teso alla più intensa tutela della certezza del diritto ma derogabile in presenza di un vaglio positivo di ragionevolezza. Per la successione delle leggi penali, invece, il criterio cronologico va integrato con quello di assoluta ed inderogabile irretroattività delle norme penali sfavorevoli, espressamente previsto dall’articolo 25 della Costituzione e con la disciplina dell’art. 2 c.p., il quale introduce i peculiari principi di irretroattività ed ultrattività della legge penale favorevole, espressione della tutela della libertà personale sotto il profilo del favor rei e della funzione principalmente rieducativa, invece che retributiva, della pena. Per effetto di queste disposizioni, la determinazione dell’ambito applicativo nel tempo delle norme penali sostanziali presenta diversi ordini di problemi. Il primo attiene alla necessità di verificare l’effettiva portata innovativa delle novelle. Talvolta infatti, il legislatore procede ad abrogazioni formali della disciplina, che operano sul piano normativo, ma a cui non corrisponde la effettiva abolizione della norma penale, la quale resta del tutto invariata nella portata sostanziale degli elementi costitutivi e del trattamento sanzionatorio. In tali casi non si pone alcuna questione di diritto intertemporale, ponendosi la norma in piena continuità con quella formalmente abrogato. In altri casi, pur rimanendo invariati gli elementi costitutivi, la norma abrogata viene reintrodotta ma subisce una modifica soltanto sul piano del trattamento sanzionatorio, determinando l’applicabilità dell’art. 2 co 4 c.p. invece che del comma 2, se il trattamento viene alleggerito o il comma 1 se il trattamento viene inasprito. Il secondo problema attiene all'identificazione delle condotte che, nella fase di passaggio ad un regime normativo più sfavorevole siano idonee ad esservi ricomprese, nel pieno rispetto del principio di irretroattività della legge sfavorevole e senza violazione del principio di legalità e prevedibilità, non ponendosi con la stessa intensità, invece, tale problema nel passaggio a norme più favorevoli in quanto queste vengono comunque applicate o sulla base di un principio di retroattività ex art. 2 co 2 o 4, o per la effettiva vigenza della norma. L'individuazione delle condotte già consumate e quindi dei reati già rispondenti alla nuova fattispecie va effettuato con riferimento alla struttura di ciascuna fattispecie e tenendo conto dei suoi elementi costitutivi che, in quanto espressivi del disvalore della fattispecie, devono tutti essere integrati nella vigenza della nuova disciplina più severa, con piena conoscibilità e prevedibilità da parte dell'agente. Non sempre, tuttavia, è agevole identificare tali elementi costitutivi, né le caratteristiche strutturali della fattispecie che sono in grado di interferire con il problema della successione delle leggi penali, soprattutto in relazione alla natura di reato istantaneo o di durata, di mera condotta o di evento, a forma libera o vincolata. Il terzo problema attiene, invece, al momento in cui la novella possa considerarsi efficace. Non manca, in particolare, chi ritiene che le norme penali di favore possano ritenersi produttive di effetti ancora prima della loro formale entrata in vigore allo spirare del periodo di vacatio legis. Tale periodo, infatti, sarebbe funzionale alla conoscibilità del precetto, che tuttavia, in caso di introduzione di una disciplina più favorevole, non sarebbe necessario proprio in base al principio del favor rei. Una simile interpretazione, seppur ispirata alla massima tutela e garanzia della libertà personale, rischia di confliggere con i principi costituzionali in tema di formazione della legge, che prevedono la vacatio legis come una fase della formazione progressiva della fattispecie legale. Benchè questi profili problematici non esauriscano affatto il novero delle questioni in materia di diritto intertemporale, essi acquisiscono caratteri di particolare complessità in relazione alle vicende di successione normativa che hanno riguardato il reato di traffico di influenze illecite, il quale introdotto dal legislatore con l.190/2012, è stato successivamente modificato con l.3/2019, che ha anche provveduto alla abrogazione del reato di millantato credito. Sul piano della identificazione della portata innovativa, l’art. 346 bis, nella sua formulazione originaria si distingueva dal reato di millantato credito per essere le relazioni con il pubblico ufficiale o i soggetti equiparati non meramente millantate e quindi fittizie, bensì esistenti e per essere la remunerazione delle condotte del pubblico ufficiale non un pretesto come nel millantato credito, ma una circostanza di fatto, benchè limitata al compimento di atti contrari ai doveri di ufficio o per ritardare il compimento di quelli dovuti. Essendo diverse le due condotte a forma vincolata, connotate l’una dal carattere della realtà e l’altra dal carattere della millanteria e diversi, di conseguenza anche i beni giuridici offesi (la legittimità dell’azione amministrativa da una parte e la sua reputazione dall’altra) , pochi dubbi sussistono sulla natura sostanzialmente innovativa e sfavorevole della novella, che introduceva una nuova incriminazione e alla quale andava di conseguenza applicato il relativo principio di divieto di irretroattività. Nessun dubbio poteva, peraltro, sussistere neppure in relazione alla natura istantanea o di durata della fattispecie. Stante la natura di reato di evento (naturalistico) consiste nella consegna o nella promessa di denaro o altro utilità, l’offesa si concentrava nel momento della consegna o quantomeno della promessa. Pertanto, la nuova incriminazione poteva applicarsi solo alle ipotesi in cui dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina fosse stata posta in essere la condotta vincolata di sfruttamento delle influenze e si fosse realizzato l’evento di consegna o promessa del denaro o delle altre utilità. Al contrario, ammettendo l’applicabilità della nuova incriminazione al verificarsi, dopo l’entrata in vigore della nuova norma, del solo evento ma non della condotta, si sarebbe concretata una palese violazione del principio di legalità sub specie di prevedibilità, in contrasto con il divieto assoluto ed inderogabile di irretroattività della norma penale sfavorevole. Invero, nelle fattispecie a forma vincolata, la specifica modalità di offesa è tipizzata proprio perchè l'offesa al bene giuridico è realizzata solo a patto che sia posta in essere con quelle specifiche modalità. Con la legge 3/2019, tuttavia, il legislatore ha formalmente abrogato il reato di millantato credito e ha riscritto il primo comma dell’art. 346 bis. E’ da verificare se per effetto della novella le condotte prima punite dall’art.346 primo e secondo comma siano confluite nel reato di traffico di influenze, giacchè dando risposta positiva a questo quesito, l’intervento del legislatore integrerebbe una ipotesi di abrogazione formale, cioè sul piano meramente normativo del millantato credito, senza sostanziale abolizione della norma. In termini di diritto intertemporale, ciò significherebbe che vi è una piena continuità tra le due incriminazioni, con sola modifica in senso migliorativo del trattamento sanzionatorio e segnatamente, in relazione ad entrambi i commi. Ne conseguirebbe una successione di norma favorevole, più specificamente con l’applicazione del comma quarto invece che del comma secondo dell’art 2 cp e quindi con retroattività della norma penale più favorevole anche ai fatti commessi prima della novella, ma limitatamente a quelli non ancora coperti da giudicato. Qualora, invece, si dovesse propendere per la formale abrogazione dell’art. 346, si verserebbe comunque in una ipotesi di retroattività piena della legge penale favorevole, ma si applicherebbe il comma secondo dell’art. 2 cp con conseguente richiesta di archiviazione dei procedimenti ancora alla fase delle indagini preliminari, emissione di una sentenza di assoluzione perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato nella fase processuale oppure con immediata cessazione della esecuzione e degli effetti penali in fase esecutiva. Per converso, bisognerebbe poi individuare gli elementi costitutivi che devono verificarsi per l’applicazione della nuova (e diversa dal millantato credito) fattispecie di cui all’art. 346 bis così come modificato nel 2019. La soluzione della questione si appunta, innanzitutto, sul confronto tra l’utilizzo del verbo “millantare” con le espressioni “vantare relazioni asserite” . Sotto il profilo lessicale, sembra esservi una piena rispondenza giacchè si tratta di termini di linguaggio comune, che non acquisiscono rilevanza tecnica in altri settori dell’ordinamento e, peraltro, la contrapposizione tra i termini “sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite” sembra rafforzare la piena riconducibilità delle nuove ipotesi ricomprese nell’art. 346bis al primo comma dell’art. 346, anche suggerendo che i beni offesi dalle due condotte (di sfruttamento e di vanteria) sono distinti. In tali termini, il legislatore ha posto in essere una abrogatio sine abolitio della norma, con mera modificazione migliorativa del trattamento sanzionatorio e applicabilità dell’art. 2 co 4 cp. Non altrettanto può dirsi in relazione al comma secondo dell’art. 346 che si riferiva al denaro o altra utilità ricevute o promesse con il pretesto di comprare il favore di un pubblico ufficiale. L’attuale formulazione dell’art. 346 bis non riporta alcun riferimento al “pretesto” e l’utilizzo del verbo vantarsi e dell’aggettivo “asserite” si riferiscono unicamente alle relazioni. Anche in questo caso, peraltro, il millantato credito e la prima formulazione del traffico sembrano tutelare due beni diversi (la reputazione e l’effettiva liceità dell’attività amministrativa). Il divieto di interpretazione analogica a tutela del principio di legalità vieta qualsiasi estensione non operabile nei limiti del significato letterale della norma e, pertanto, il secondo comma dell’art. 346 deve considerarsi oggetto di abrogazione (normativa) con abolizione (sostanziale) e piena applicazione dell’art. 2 co. 2 cp. Va specificato, peraltro, che in relazione alle condotte che prima ricadevano nell'ambito del millantato credito sono attualmente applicabili le aggravanti previste dall'art. 346 bis co 3 e 4, che anteriormente alla novella non erano invece applicabili. Trattandosi di norme che integrano circostanze aggravanti e modificano in senso peggiorativo il trattamento sanzionatorio, esse rientrano nel divieto di irretraottività e non possono che accedere a fattispecie i cui elementi costitutivi si sono verificati dopo la novella, anche perchè le suddette aggravanti sono costruite come elementi contestuali alla condotta. Lo stesso discorso vale, a maggior ragione, se le si volesse considerare fattispecie autonome. L'ultimo comma prevede invece una autonoma fattispecie o una circostanza attenuante che per effetto dell'inserimento delle condotte di millantato credito all'interno dell'art. 346 bis, risulta ora applicabile pur a queste. Trattandosi di una previsione favorevole, solo modificativa del trattamento sanzionatorio è sottoposta alla disciplina dell'art. 2 comma 4. Un ultima notazione consente di mettere in evidenza che pur nella continuità tra l'art. 346 e 346 bis ora le relative fattispecie sono entrambe punite a titolo di reato plurisoggettivo proprio, dal momento che ai sensi del secondo comma, la pena si applica anche a chi da o promette il denaro o l'tuilità. Trattandosi di una incriminazione in capo al soggetto passivo del millantato credito che era prima ricostruito come un reato plurisoggettivo improprio, la modifica è da considerarsi peggiorativa e pertanto sottoposto al divieto di applicazione retroattiva,lasciando quindi impregiudicata la posizione di chi ha dato o promesso denaro anteriormente alla novella.

Pubblicazione legale

Una disamina sull'azione di ingiustificato arricchimento

Pubblicato su IUSTLAB

L'art. 2041 e l'art. 1218 cc prevedono azioni tese ad accertare la sussistenza di due obbligazioni di fonte legale: quella indennitaria nascente dalla circostanza che vi sia stato uno spostamento patrimoniale dannoso per un soggetto e accrescitivo per un altro in assenza di una giusta causa e quella risarcitoria nascente dalla condotta inadempiente della parte di una precedente obbligazione. Entrambe, pertanto, sono tese a ristorare il legittimato di conseguenze patrimoniali dannose, ma ben diversa è la loro ratio e,di conseguenza la loro disciplina e la loro utilizzabilità. In particolare, l'art. 1218 è un rimedio posto a tutela dell'integrità patrimoniale di un soggetto che abbia validamente concordato un programma negoziale con un altro, affinchè la parte che subisce l'inadempimento sia comunque ristorata esattamente di tutti i danni che siano conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento o dell'inesatto adempimento di tale programmazione e che non si sarebbero verificati se il programma fosse stato correttamente attuato. Ne deriva, innanzitutto, che è irrilevante, almeno ai fini dell'an del diritto al risarcimento, la presenza dell'arricchimento di una parte a discapito dell'altra e l'azione risarcitoria potrà essere esercitata anche dalla parte che in effetti si è arricchita a discapito dell'altra, purchè quest'ultima sia risultata anche inadempiente. Infatti, l'ordinamento ammette schemi contrattuali che possono avere come esito un'impari distribuzione dei vantaggi economici derivanti dal contratto, seppure nei limiti della rescissione, come può essere ad esempio, nel caso dei contratti aleatori. Pertanto, è sufficiente la presenza dell'imputabilità dell'inadempimento o dell'inesatto adempimento del debitore secondo le norme in tema di responsabilità dettate dal codice e la presenza di un danno effettivo. L'obbligazione risarcitoria che ne deriva, inoltre, copre danni patrimoniali atipici, nel senso che l'ammontare del danno riconosciuto non solo non coincide con quanto dovuto a titolo di adempimento, ma comprende tutti i danni che siano conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento stesso, purchè allegati e provati dall'interessato. Questa diversità tra il danno risarcibile e il valore della prestazione non (esattamente) attuata dipende dalla diversità che intercorre tra l'azione di risarcimento del danno e l'azione di esatto adempimento, che è invece tesa ad ottenere il bene oggetto della prestazione indipendentemente dalla collaborazione del debitore e che ha, quindi, come diretto referente la prestazione stessa e il suo esatto valore. Altro aspetto caratterizzante dell'azione ex art. 1218 è che la stessa è generale, in quanto può essere esercitata in relazione all'inadempimento di qualsiasi obbligazione, ma anche vincolata alla circostanza che una valida obbligazione sia sorta, per legge, per contratto o per uno degli altri atti o fatti che sono fonte di obbligazione. Al contrario, non è mai possibile richiedere il risarcimento per inadempimento di una obbligazione nulla, o per qualsiasi ragione inidonea a vincolare il debitore giacchè in questo caso non potrebbe sussistere inadempimento e non si potrebbe parlare di danni conseguenza di esso. L'azione ex art. 2041, invece, trova fondamento in uno spostamento patrimoniale privo di giusta causa che sia non neutro dal punto di visto delle conseguenze e cioè che determini l'arricchimento di un soggetto e l'impoverimento di un altro. La fonte di tale spostamento non necessariamente risiede in un negozio giuridico, ma può anche trovare fondamento in una mera circostanza di fatto. In entrambi i casi sorge, infatti, un obbligo di restituzione che è pertanto limitato all'arricchimento in danno. In questo l'obbligazione che sorge è indennitaria perchè trova in questo arricchimento un limite massimo di corrispondenza. Ne deriva che l'obbligazione indennitaria è tipica quanto al danno indennizzabile, nel senso che ricomprende solo ed unicamente l'arricchimento ingiustificato, non potendosi estendere ad altre componenti di danno patrimoniale, anche quando queste si siano effettivamente verificate e che potranno, tutt'al più, essere fatte valere, se ne ricorrono i presupposti, a diverso titolo di responsabilità extracontrattuale o eventualmente precontrattuale. Infine, per esplicita previsione dell'art 2042, l'azione è sussidiaria e non può essere esercitata quando il danneggiato può ricorrere ad un'altra azione per farsi indennizzare. Può ritenersi che questo sia un aspetto particolarmente controverso dell'azione in questione. Infatti, è dubbio se tale sussidiarietà vada intesa in astratto oppure in concreto. Nel primo caso, l'azione ex 2041 non sarà esercitabile tutte le volte in cui l'ordinamento predispone una diversa e specifica azione a tutela di una situazione giuridica dannosa sotto il profilo patrimoniale, con il risultato che prescrizioni, decadenze e qualsiasi impedimento all'esercizio di tale specifiche azioni non potranno mai determinare l'esercizio in sostituzione dell'azione di ingiustificato arricchimento perchè diversamente ci sarebbe elusione delle norme sulle specifiche azioni previste. Nel secondo caso, invece, non rileva la previsione di specifiche azioni a tutela della situazione giuridica soggettiva, ma è sufficiente che le azioni specifiche non siano in concreto esercitabili o perchè non ne ricorrono i presupposti, o perchè sono intervenute decadenze, prescrizioni o qualsiasi ragione che osta all'esperimento delle stesse. L'adesione all'uno o l'altro dei due orientamenti è determinante per individuare la ratio dell'art. 2041. Infatti, in caso di sussidiarietà in astratto, tale azione troverebbe fondamento nel principio di causalità che innerva l'ordinamento civile, in base al quale tutti gli spostamenti patrimoniali devono essere sostenuti da una causa positivamente apprezzata, la quale, in linea di principio deve risultare dal negozio che ne è fonte: l'art. 2041 avrebbe così una funzione di controllo dell'autonomia privata con l'intento di impedire che gli spostamenti patrimoniali privi di causa operino validamente e definitivamente, almeno fintantochè il soggetto danneggiato si attivi per recuperare lo svantaggio. Se si aderisce, invece, al criterio della sussidiarietà in concreto, l'azione opera come una sorta di valvola di salvezza, che ha la funzione di tutelare il soggetto che sia rimasto privo di una tutela, che pure poteva esercitare, ma dalla quale sia decaduto, non tanto a tutela della mancanza di giusta causa dello spostamento, ma a tutela della sua integrità patrimoniale, comunque attinta da un danno ingiustificato. Un confronto con l'art. 1218 e con il concetto di giusta causa, può servire da bussola nella soluzione di tali questioni. Infatti, è ben chiaro che la differenza tra l'art. 1218 e l'art. 2041 risiede nella circostanza che l'una presuppone necessariamente l'assenza di una valida causa, mentre l'altra ne presuppone l'esistenza, ed è ben chiaro che l'art. 1218 tutela l'autonomia privata perchè garantisce che la condotta inadempiente di un soggetto non pregiudichi chi ha contratto con lui. Nel caso di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, il danno che deriva dall'inadempimento potrebbe integrare la situazione patrimoniale dannosa e priva di giusta causa, di conseguenza recuperabile tramite l'art. 2041. Se si accede ad una considerazione di causa nel senso di giusta “ragione” che sostiene l'arricchimento in danno, è evidente che da un punto di vista atecnico il danno derivante dall'inadempimento sia un'ingiusta ragione (indipendentemente dal fatto che diritto al risarcimento si sia prescritto). Tuttavia, se si accede ad una valutazione tecnica del concetto di causa come funzione economico individuale, il danno prodotto è comunque il risultato di un'operazione economica sostenuta da una giusta causa (il contratto valido ma inadempiuto), operazione poi divenuta patologica in ragione dell'inadempimento e quindi della fase dinamica, ma non viziata nella causa. La componenti di danno va in altri termini inserita nella prospettiva dinamica che l'ha prodotta e perciò non difetta del requisito della causa, ma è solo patologica nella fase di esecuzione. Pertanto dovrebbe considerarsi esperibile unicamente l'art. 1218, la cui ratio è proprio quella di garantire il patrimonio della parte dall'inadempimento dell'altra. Tuttavia, pur considerando il danno derivante dall'inadempimento del contratto valido al di fuori della sua sede naturale e, quindi, come prestazione priva di giustificazione, se la parte rinuncia a far valere l'azione di cui all'art. 1218 e la stessa si prescrive, il ricorso all'azione di ingiustificato arricchimento, ove non prescritta anche essa, sarebbe inammissibile perchè costituirebbe una elusione dei termini di prescrizione dell'azione di risarcimento, prevista a tutela della certezza del diritto. Peraltro, è difficilmente ipotizzabile in concreto una situazione nella quella sia prescritta l'azione di risarcimento del danno, ma non quella di ingiustificato arricchimento in quanto ciò sarebbe possibile solo ammettendo che la conseguenza patrimoniale dannosa dell'inadempimento si concretizzi dopo 10 anni dal momento in cui si sia verificato l'inadempimento stesso, pur rappresentandone conseguenza immediata e diretta e, salvo il caso di inadempimento doloso, prevedibile al momento dell'inadempimento. Se infatti il danno tardivo non avesse queste caratteristiche non sarebbe comunque risarcibile ai sensi dell'art. 1218 e perciò non si potrebbe parlare di sostituzione dell'azione ex 2041 a quella ex art. 1218 già prescritta. Al contrario, la conseguenza dannosa rientrerebbe dall'inzio solo e soltanto nell'alveo proprio dell'art. 2041. Nel caso di carenza della prova del danno, invece, nulla si oppone all'esperibilità dell'azione ex art. 2041. Invero, se non è possibile dare la prova o è stata rigettata la prova che un certo ingiustificato arricchimento si iscriva all'interno delle conseguenze immediate e dirette di un inadempimento imputabile, fondato su un valido titolo, nessun rapporto potrà essere dimostrato tra tale inadempimento e il danno. Di conseguenza, lo stesso risulterà indennizzabile se si da l'effettiva prova dell'arricchimento e dell'altrui danno e allegando l'assenza di causa. Peraltro, in questo caso, pur essendo il soggetto sollevato dalla prova dell'inadempimento, eventualmente a lui addossata in deroga al criterio generale, sarà comunque necessario provare che l'arricchimento si è verificato in danno e tanto potrebbe essere arduo senza la prova risultate da un titolo che dimostri che la legittima collocazione di quel vantaggio patrimoniale avrebbe dovuto essere nel patrimonio dell'attore danneggiato e quindi, in fin dei conti, senza collegare l'arricchimento all'inadempimento di un contratto, prova che, per ipotesi di partenza, non è stato possibile dare. Si potrebbe, invero, sostenere che l'assenza di prova è un problema di merito, laddove l'individuazione dell'azione esercitabile ex art 1218 o 2041 attiene all'aspetto dei presupposti e non a quello del merito, pertanto, una volta esercitata l'azione 1218, per il principio di sussidiarietà in astratto non sarebbe possibile esercitare quella ex art. 2041 (inizialmente non esperibile) per il semplice fatto che non è stato possibile provare gli estremi del risarcimento del danno. Tuttavia, questo potrebbe essere sostenibile nel caso in cui l'attore sin dall'inizio, ritenendo di non poter fornire la prova richiesta dal 1218, decida di esercitare l'azione di ingiustificato arricchimento, soprassedendo all'esercizio dell'azione invece realemente dovuta, ma non nel caso in cui il giudice dovesse escludere con sentenza definitiva la sussistenza del danno da inadempimento. Infatti, in questo caso l'autorità giudiziaria ha sì compiuto una verifica sull'ammissibilità della domanda presentata ma poi ha escluso che nel caso di specie sussistessero i requisiti di un inadempimento dannoso risarcibile. Ebbene, se questo non sussiste, non può mai essere l'art. 1218 il rimedio esperibile e, pertanto, si dovrebbe comunque riespandere la operatività dell'art. 2041, fermo restando che nel nuovo giudizio dovrà essere fornita la prova di tutti gli estremi richiesti da tale norma. Nel caso del contratto nullo, invece, il problema della sussidiarietà si pone in relazione all'azione di indebito oggettivo, la quale, più ampiamente dell'art. 2041, si riferisce al caso in cui sia stato effettuato un pagamento non dovuto. Un principio di pronta disponibilità della della prova rende più semplice accedere a quest'ultimo rimedio, dovendosi più facilmente provare che il contratto è nullo e che quindi lo spostamento patrimoniale effettuato è indebito, indipendentemente dalla prova che il pagamento abbia determinato un arricchimento altrui con proprio danno. Tuttavia, uno spazio applicativo autonomo in caso di contratto nullo potrebbe essere ritagliato nel caso in cui la nullità del titolo contrattuale sia dovuta alla mancanza della causa, in quanto in tal caso manca del tutto e già nel titolo, un fondamento economico individuale all'arricchimento in danno di altro soggetto. Nel caso, invece, di causa illecita, accedendo alla definizione dell'art. 2041 come un'azione tesa a tutelare il principio di causalità come necessità dell'esistenza di una causa valida, potrebbe esercitarsi l'azione ex art. 2041, semprechè il contratto nullo per causa illecita non integri un reato contratto, con impossibilità di ristabilire l'equilibrio patrimoniale iniziale proprio perchè oggetto di un'operazione vietata dall'ordinamento penale.

Esperienza di lavoro

Azione civile per la liquidazione del danno - Presso il mio studio legale

Dal 4/2022 - lavoro attualmente qui

Mi sono occupata della liquidazione in sede civile di condanne generiche pronunciate in sede penale in relazione a diversi titoli di reato, quali truffa, lesioni personali...

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