Con la clausola “Ex Work”,
oggi molto diffusa per il trasporto internazionale, si
identifica la situazione in cui, nell’ambito di un contratto, il
venditore mette a disposizione la merce a terra in un suo stabilimento (o
magazzino) predefinito o concordato ed il compratore si assume tutti i costi e
rischi del trasporto.
Sostanzialmente il venditore è obbligato a dare solo la fattura commerciale ed
eventuali documenti per l'export previsti dal contratto nonché, ove richiesto
esplicitamente, a dare assistenza - a spese e rischio del compratore -
nell'ottenere la licenza di esportazione o altri documenti.
E’ evidente che si tratta di un contratto che ha meno impegni per il venditore
il cui solo onere è quello di assicurare che la merce sia pronta
alla data di spedizione nel luogo indicato.
Gli International Commercial Terms - INCOTERMS sono la serie
di termini codificati nel 1936 dalla ICC (International Chamber of Commerce)
appartenenti al diritto pattizio, utilizzati per definire in maniera univoca e
in tutto il mondo le responsabilità a carico dei vari soggetti giuridici
coinvolti in una operazione di trasferimento di beni da una nazione all’altra,
e per definire, altresì, la suddivisione, tra gli stessi soggetti, dei costi di
trasporto, doganali ed assicurativi.
La definizione di “Ex Works” secondo il testo ufficiale della ICC
è:
“Ex Works” means that the seller delivers when it places the goods at the
disposal of the buyer at the seller’s premises or at another named place (i.e.,
works, factory, warehouse, etc.). The seller does not need to load the goods on
any collecting vehicle, nor does it need to clear the goods for export, where
such clearance is applicable” (che tradotta sta a significare: “Ex Works
"significa che il venditore soddisfa l’obbligo di consegna quando mette la
merce a disposizione del compratore presso la sua sede o in un altro luogo
indicato (cioè, fabbrica, magazzino, ecc.). Il venditore non è obbligato
nemmeno a caricare la merce su alcun veicolo di raccolta, né deve assicurare la
merce per l'esportazione…”).
Con la pattuizione della clausola “Ex Works”, quindi, tutti i costi
e i rischi in termini di trasporto, assicurazione e doganale sono a carico del
compratore atteso che il venditore non è tenuto ad occuparsi, come
detto, né del carico delle merci; né del vettore scelto dal compratore e non è
tenuto nemmeno a sostenere i costi per lo sdoganamento all’esportazione.
Anche il rischio di perimento della merce incombe totalmente
sul compratore fin dalla presa in carico.
Il venditore adempie alle sue obbligazioni semplicemente mettendo la merce,
imballata e facilmente riconoscibile, a disposizione del compratore nel luogo
indicato (generalmente la propria fabbrica e/o magazzino).
Da qui consegue che giammai in un contratto che presenti la clausola
di cui innanzi, il trasportatore possa richiedere il pagamento del trasporto al
venditore, dovendosi ritenere, unico soggetto deputato al pagamento
l’acquirente.
E’ evidente anche che, per il trasportatore sarà più difficile ottenere il
pagamento qualora il compratore si trovi all’estero, ma potrà servirsi degli
odierni strumenti posti a tutela delle parti dalla legislazione internazionale.
Lo studio si avvale della collaborazione di esperti in tutti i settori civile, penale ed amministrativo, così da poter offrire ai clienti una assistenza globale per qualsiasi tipo di problematica. La sottoscritta ne è titolare; E' iscritta all'Albo degli Avvocati di Torre Annunziata sin dal 1996; E' iscritta negli elenchi per il patrocinio gratuito a spese dello Stato; Ricopre la carica di Magistrato Onorario e, segnatamente di Giudice Onorario di Pace sin dal 2004; dal 2014 è in servizio presso l'Ufficio di Nola . Dal mese di dicembre dell'anno 2018 ricopre la carica di Consigliere presso il C.D.D. di Napoli
Da sempre si è dedicata a tutte le controversie in materia civile . Segnatamente ha conseguito sempre ottimi risultati in materia di tutela di diritti reali . E' esperta in materia di tutela del possesso e nelle azioni ex art 700 cpc
Il ruolo ricoperto di Giudice di Pace ha permesso di approfondire ogni aspetto del diritto assicurativo
Da sempre si occupa di problematiche connesse alle questioni di previdenza e di assistenza
Incidenti stradali, Multe e contravvenzioni, Tutela del consumatore, Separazione, Divorzio, Sfratto, Arbitrato, Mediazione, Diritto commerciale e societario, Diritto di famiglia, Eredità e successioni, Unioni civili, Matrimonio, Tutela dei minori, Incapacità giuridica, Recupero crediti, Pignoramento, Contratti, Diritto tributario, Diritto del lavoro, Sicurezza ed infortuni sul lavoro, Licenziamento, Diritto penale, Diritto amministrativo, Ricorso al TAR, Edilizia ed urbanistica, Diritto condominiale, Locazioni, Diritto marittimo, Diritto agrario, Tutela degli anziani, Negoziazione assistita, Cassazione, Domiciliazioni, Risarcimento danni.
E' una sentenza che ha riformato la pronuncia di primo grado che aveva disconosciuto il diritto al risarcimento sul falso presupposto per cui non fosse stata fornita prova in merito alla correlazione tra un intervento routinario al varicocele e la successiva necrosi all'intestino .E' stata una sentenza importante perchè ho dimostrato la malafede dei primi due cc.tt.uu. nominati dalla corte di appello che , riportando nella relazione medica un articolo scritto in inglese da un professore esperto in materia , per giustificare il disconoscimento del diritto al risarcimento. hanno affermato il contrario rispetto al contenuto dell'articolo stesso. I nuovi consulenti hanno riconosciuto la fondatezza della pretesa del cliente .
Nel mio percorso di Consigliere , prima e, di Presidente di Sezione del Consiglio distrettuale di disciplina presso la Corte di Appello di Napoli , ho partecipato come co autrice , alla stesura di due volumi sulla deontologia forense e sul procedimento disciplinare . La deontologia forense è fondamentale nell'esercizio della attività professionale in quanto le norme sono poste a tutela anche dei cittadini che devono affidarsi ad un avvocato con fiducia
RIFLESSIONI RISPETTO ALLA SENTENZA RESA DA CASSAZIONE CIVILE SEZIONE VI IN DATA 20/01/2022 N. 1756 SULLE CONSEGUENZE DELLA MANCATA SOTTOPOSIZIONE A PERIZIA DEL VEICOLO DANNEGGIATO OVVERO SULL AMANCATA SOTTOPOSIZIONE A VISITA DEL DANNEGGIATO La Cass. Civ. sez. VI nella pronuncia del 20/01/2022 n. 1756 , con una interpretazione “teleologica “ dell’art. 145 del codice delle assicurazioni ha affermato , rifacendosi al principio espresso dal Giudice delle leggi (Corte Cost., sent. 3 maggio2012, n. 111) - che tale disposizione “ ha un chiaro intento deflattivo”, essendone evidente la finalità “di razionalizzazione del contenzioso giudiziario, notoriamente inflazionato, nella materia dei sinistri stradali, anche da liti bagatellari”, intento il cui raggiungimento, tuttavia, “non è affidato soltanto alla prevista dilazione temporale (invero modesta) di sessanta/novanta giorni” per la proposizione della domanda risarcitoria, “ma - soprattutto - al procedimento ex art. 148 Codice assicurazioni private, che, nel prescrivere una partecipazione attiva dell’assicuratore alla trattativa “ante causam”, mira a propiziare una conciliazione precontenziosa” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 25gennaio2018, n. 1829, Rv. 647588-01) ; Sempre secondo la prospettazione della Corte affinchè ” la procedura di risarcimento descritta nella norma ora citata possa operare è indispensabile, però, che la compagnia assicuratrice sia posta in condizione di adempiere al dovere impostole e, cioè, di formulare un’offerta congrua”, ciò che richiede sia “un presupposto formale”, ovvero “la trasmissione di una richiesta contenente elementi (indicati nell’art. 148 Codice assicurazioni private), sufficienti a permettere all’assicuratore di “accertare le responsabilità, stimare il danno e formulare l’offerta”, sia “un requisito sostanziale”, e ciò in quanto “la collaborazione tra danneggiato e assicuratore della r.c.a., nella fase stragiudiziale, impone correttezza (art. 1175 c,c.), e buona fede (art. 1375 c.c.),” (così, nuovamente, Cass. Sez. 3, sent, n. 1829 del 2018, cit) , così che verrebbe meno a tale dovere di collaborazione - subendone, come conseguenza, l’improponibilità della domanda risarcitoria - il danneggiato che “si è sottratto all’ispezione” del mezzo, “attività utile alla ricostruzione della dinamica dell’incidente e alla formulazione di una congrua offerta risarcitoria” (cfr. ancora una volta, Cass. Sez. 3, sent. n. 1829 del 2018, cit.). Tuttavia, a parere della sottoscritta tale interpretazione non può essere condivisa perché in tal modo “rientrerebbe dalla finestra” ciò, che di fatto, con la revisione del testo dell’art. 148 CdA è “uscito dalla porta”. Il comma 1 dell’art. 148 così dispone: “Per i sinistri con soli danni a cose, la richiesta di risarcimento deve recare l'indicazione degli aventi diritto al risarcimento e del luogo, dei giorni e delle ore in cui le cose danneggiate sono disponibili, per non meno di cinque giorni non festivi, per l'ispezione diretta ad accertare l'entita' del danno. Entro sessanta giorni dalla ricezione di tale documentazione, l'impresa di assicurazione formula al danneggiato congrua e motivata offerta per il risarcimento, ovvero comunica specificatamente i motivi per i quali non ritiene di fare offerta. Il termine di sessanta giorni e' ridotto a trenta quando il modulo di denuncia sia stato sottoscritto dai conducenti coinvolti nel sinistro. Il danneggiato puo' procedere alla riparazione delle cose danneggiate solo dopo lo spirare del termine indicato al periodo precedente, entro il quale devono essere comunque completate le operazioni di accertamento del danno da parte dell'assicuratore, ovvero dopo il completamento delle medesime operazioni, nel caso in cui esse si siano concluse prima della scadenza del predetto termine. Qualora le cose danneggiate non siano state messe a disposizione per l'ispezione nei termini previsti dal presente articolo, ovvero siano state riparate prima dell'ispezione stessa, l'impresa, ai fini dell'offerta risarcitoria, effettuera' le proprie valutazioni sull'entita` del danno solo previa presentazione di fattura che attesti gli interventi riparativi effettuati. Resta comunque fermo il diritto dell'assicurato al risarcimento anche qualora ritenga di non procedere alla riparazione” (Comma modificato dall'articolo 1 del D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 198; sostituito dall'articolo 32, comma 3, lettera a), del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla Legge 24 marzo 2012, n. 27 e, da ultimo, modificato dall'articolo 21, comma 7-bis, del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla Legge 17 dicembre 2012, n. 221 . A norma dell'articolo 125, comma 3, del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla Legge 24 aprile 2020, n. 27, fino al 31 luglio 2020, i termini di cui al presente comma, per la formulazione dell'offerta o della motivata contestazione, nei casi di necessario intervento di un perito o del medico legale ai fini della valutazione del danno alle cose o alle persone, sono prorogati di ulteriori 60 giorni) . Il comma 2 secondo la nuova formulazione così recita: “L'obbligo di proporre al danneggiato congrua e motivata offerta per il risarcimento del danno, ovvero di comunicare i motivi per cui non si ritiene di fare offerta, sussiste anche per i sinistri che abbiano causato lesioni personali o il decesso. La richiesta di risarcimento deve essere presentata dal danneggiato o dagli aventi diritto con le modalità indicate al comma 1. La richiesta deve contenere l'indicazione del codice fiscale degli aventi diritto al risarcimento e la descrizione delle circostanze nelle quali si è verificato il sinistro ed essere accompagnata, ai fini dell'accertamento e della valutazione del danno da parte dell'impresa, dai dati relativi all'età, all'attività del danneggiato, al suo reddito, all'entità delle lesioni subite, da attestazione medica comprovante l'avvenuta guarigione con o senza postumi permanenti, nonché dalla dichiarazione ai sensi dell'articolo 142, comma 2, o, in caso di decesso, dallo stato di famiglia della vittima. L'impresa di assicurazione è tenuta a provvedere all'adempimento del predetto obbligo entro novanta giorni dalla ricezione di tale documentazione (comma modificato dall'articolo 1 del D.Lgs. 6 novembre 2007, n.198. A norma dell'articolo 125, comma 3, del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, con modificazioni, dalla Legge 24 aprile 2020, n. 27, fino al 31 luglio 2020, i termini di cui al presente comma, per la formulazione dell'offerta o della motivata contestazione, nei casi di necessario intervento di un perito o del medico legale ai fini della valutazione del danno alle cose o alle persone, sono prorogati di ulteriori 60 giorni). Avallando il principio espresso dalla Cassazione verrebbe a porsi a carico del danneggiato un onere ulteriore che non è espressamente previsto dalla legge, così come quando si ritiene necessario, ai fini della risarcibilità delle lesioni provocate da veicoli non identificati, l’onere di denuncia alle Autorità ( onere che, invece, proprio per l’assenza di una specifica previsione legislativa, nel corso del tempo, anche la Corte di legittimità ha escluso debba ritenersi necessario quale condizione di procedibilità dell’azione). Secondo il dettato normativo , infatti, senza ombra di dubbio, anche in caso di mancata sottoposizione a perizia del mezzo oppure in caso di mancata sottoposizione a visita del danneggiato, non si può ritenere la improponibilità dell’azione, posto che il comma 3 dell’art. 148 CdA testualmente recita: “ Il danneggiato, in pendenza dei termini di cui ai commi 1 e 2 e fatto salvo quanto stabilito dal comma 5, non puo' rifiutare gli accertamenti strettamente necessari alla valutazione del danno alle cose, nei termini di cui al comma 1, o del danno alla persona, da parte dell'impresa. Qualora cio' accada, i termini per l'offerta risarcitoria o per la comunicazione dei motivi per i quali l'impresa non ritiene di fare offerta sono sospesi ” (Comma sostituito dall'articolo 32, comma 3, lettera c), del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla Legge 24 marzo 2012, n. 27) . Solo il verificarsi di una delle condizioni di cui al comma 2 bis dello stesso art. 148 CdA finalizzato a prevenire ed a contrastare fenomeni fraudolenti prevede delle ipotesi di sospensione dei termini fissati dai commi 1 e 2 della stessa disposizione . E’ chiaro, allora , come l’interpretazione data alla norma dalla Corte di legittimità, non sia costituzionalmente orientata e giustifichi, magari, anche una pronuncia a sezioni Unite sul Punto, considerando l’interesse ed il diritto al risarcimento da parte del danneggiato , preminente rispetto alla esigenza di deflazionare il numero dei processi.
Uno dei problemi ricorrenti nell'ambito di un procedimento penale , soprattutto dinanzi ai Giudici di Pace, è quello della mancata comparizione della parte querelante in udienza . Con un andamento giurisprudenziale ondivago, si è giunti alla conclusione per cui, può ritenersi ammissibile una remissione tacita della querela nella ipotesi in cui la parte querelante, informata in merito al fatto che, la successiva mancata comparizione in udienza, sarebbe intesa quale manifestazione tacita di volontà a rinunciare all'azione penale, ometta, poi, di comparire. Tale convincimento trova la sua ratio nella Giurisprudenza recente per la quale, la remissione extraprocessuale è espressa o tacita e che, vi è rimessione tacita quando il querelante ha compiuto fatti incompatibili con la volontà di persistere nella querela; la remissione tacita, dunque, è prevista nella sua forma extraprocessuale e deve consistere, appunto, in fatti univocamente incompatibili con la volontà di persistere nella richiesta di punizione. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella Sentenza 21 luglio 2016, n. 31668 hanno, infatti, enunciato il seguente principio di diritto: " Integra remissione tacita di querela la mancata comparizione alla udienza dibattimentale del querelante previamente ed espressamente avvertito dal giudice che l'eventuale sua assenza sarà interpretata come fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela". Ne deriva che affinché l'omessa comparizione in udienza delle parti integri la volontà di non procedere, è necessario che siano a conoscenza della stessa. Integra remissione tacita di querela la mancata comparizione alla udienza dibattimentale (nella specie davanti al Giudice di pace) del querelante, previamente ed espressamente avvertito dal giudice che l'eventuale sua assenza sarà interpretata come fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela " (in tal senso anche Corte di Cassazione, penale Sezione 5, Sentenza 16.5.2016, n. 20260). Rispetto alla remissione tacita , ovvero a qualsiasi remissione, è anche possibile una accettazione tacita. Le Sezioni Unite (cfr. Cassazione penale sez. un., 25 maggio 2011, n. 27610), chiamate a risolvere un lungo contrasto giurisprudenziale sulle formalità inerenti l’accettazione della querela, hanno osservato che, la rubrica dell’art. 155 c.p., impropriamente denominata “Accettazione della remissione”, non richiede, ai fini dell’efficacia giuridica della remissione di querela, una esplicita e formale accettazione, limitandosi a porre come condizione, che non vi sia una ricusazione in forma espressa o tacita (si ha “ricusa tacita” quando il querelato ha compiuto fatti incompatibili con la volontà di accettare la remissione). La norma citata (art. 155 c.p.), prende in considerazione solo l’ipotesi in cui il querelato abbia espressamente o tacitamente ricusato la remissione; il comportamento che essa va a disciplinare non è, dunque, “un comportamento positivo – di accettazione –, ma uno negativo – di rifiuto”. L’accettazione può, quindi, anche soltanto presumersi . Aggiunge la Corte che, affinché l’omessa comparizione in udienza del querelato integri la mancanza di ricusa idonea a legittimare la pronuncia di estinzione del reato, è necessario che il querelato sia posto a conoscenza della remissione della querela o almeno posto in grado di conoscerla: solo in tal caso si può escludere che sussistano “fatti indicativi di una volontà contraria del querelato”. La necessità di tale presupposto deriverebbe, soprattutto, dalle rilevanti conseguenze che possono discernere dall’accettazione della remissione, come ad esempio, l’obbligo di pagamento delle spese processuali. Da qui, è seguito un orientamento giurisprudenziale per il quale, a seguito della remissione della querela, in mancanza di accettazione espressa, per sollecitare l'accettazione vi fosse la necessità di procedere, quanto meno alla notifica, al querelato, del verbale di udienza, contenente l’indicazione in merito alla esistenza di una remissione di querela - espressa ovvero tacita - con l'avvertimento in merito al fatto che, la sua successiva mancata comparizione in giudizio, ovvero la sua mancata opposizione, sarebbe stata considerata quale manifestazione tacita della volontà di accettare la remissione . Tuttavia, rispetto a tale orientamento, è intervenuta anche una sentenza di merito resa dal tribunale di Aosta in data 14 marzo 2017 n. 124 che, nel solco del principio espresso dalla Corte a Sezioni Unite, ha ritenuto che l’accettazione della remissione di querela da parte del querelato non risulta necessaria ove risulti espressamente ovvero ove possa ritenersi esistente per “facta concludentia”. Invero, il Tribunale ha affermato che, per l' efficacia estintiva della remissione non è necessaria l'accettazione della remissione medesima da parte dell'imputato, ma l' accertamento dell'inesistenza di una ricusazione espressa o tacita ai sensi dell'art. 155 c.p. essendo, piuttosto, necessario che non risulti espressamente da fatti concludenti che il querelato intenda ricusare la remissione e che "nella assenza o contumacia dell'imputato non sono apprezzabili segni positivi della volontà di costui di coltivare il processo per giungere alla rilevazione della propria innocenza" (cfr. da ultimo Cass. n. 30614 del 2008). I fatti concludenti di sui alla sentenza sopra menzionata potrebbero essere rappresentati in aggiunta alla persistente ASSENZA dell’imputato nel corso del processo, dalla mancata nomina di un difensore di fiducia, ovvero dal mancato deposito di una lista testimoniale che potrebbe far presumere la volontà di contrastare il contenuto della denuncia sporta dalla parte lesa. In tale ipotesi, quindi, intervenuta la remissione della querela, sia essa espressa ovvero tacita, il Giudice potrebbe legittimamente omettere un ulteriore adempimento per sollecitare una manifestazione espressa di volontà da parte del querelato, perché il suo comportamento può ritenersi inequivocabilmente contrario rispetto alla possibilità di ricusazione della accettazione della remissione.
In materia di prescrizione della pretesa esattoriale , con la sentenza n. 23397/16 , depositata il 17 novembre, la Suprema Corte di legittimità a sezioni Unite ha affermato i seguenti principi di diritto : 1) «la scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui all’art. 24, comma 5, d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche l’effetto della c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale secondo l’art. 3, commi 9 e 10, l. n. 335 del 1995) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c.. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che da 1° gennaio 2011 ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (art. 30, d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge n. 122 del 2010)» ; 2) «è di applicazione generale il principio secondo il quale la scadenza del termine perentorio stabilito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito ma non determina anche l’effetto della c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c.. Tale principio, pertanto, si applica con riguardo a tutti gli atti – comunque denominati – di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonché di crediti delle Regioni, delle Provincie, dei Comuni e degli altri Enti locali nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via, con la conseguenza che, qualora per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione non consente di fare applicazione dell’art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo come una sentenza passata in giudicato» . La sentenza in commento richiama altra sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 25790/09 , con la quale viene stabilito che il diritto alla riscossione delle sanzioni amministrative tributarie si prescrive : - entro il termine di dieci anni , se la definitività deriva da sentenza passata in giudicato e ciò per diretta applicazione dell’art. 2953 c.c., che disciplina specificamente e in via generale la c.d. actio iudicanti; - entro il termine di cinque anni , se la definitività della sanzione non deriva da un provvedimento giurisdizionale irrevocabile e ciò in ossequio a quanto previsto dall’art. 20, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, atteso che il termine di prescrizione entro il quale deve essere fatta valere l’obbligazione tributaria principale e quella accessoria relativa alle sanzioni non può che essere di tipo unitario. In ragione dei principi sopra riportati, ci troviamo di fronte alle difese del Concessionario per il quale la mancata contestazione del diritto alla riscossione, rappresentata dalla mancata opposizione avverso l’atto presupposto (cartella e/o intimazione), determinerebbe una sorta di quiescenza rispetto alla pretesa avanzata dal creditore, così che dovrebbe ritenersi inammissibile la proposizione, in un momento successivo, della eccezione di prescrizione da parte del debitore. Tale tesi non appare condivisibile perché, dalla mancata impugnazione di una cartella esattoriale , ovvero di una intimazione, non può desumersi in maniera certa che il debitore non abbia interesse a contestare l'esistenza dell'obbligazione, per avere intenzione di eccepirla successivamente (C. 10129/2000; C. 8304/1996); per questo, non può ritenersi integrata con la mancata impugnazione di una cartella, ovvero di una intimazione di pagamento, una rinuncia tacita alla prescrizione disciplinata dall’art. 2937c.c. Nemmeno potrebbe, infatti, ritenersi ricorrente un’ipotesi di rinuncia tacita alla eccezione di prescrizione, nel caso in cui il debitore avesse richiesto alla controparte di fornire informazioni sull'entità delle pretese creditorie (C. 8217/2007). La rinuncia tacita consiste in un comportamento del debitore, positivo o negativo, dal quale emerge inconfutabilmente la volontà di non avvalersi della prescrizione già compiuta (C. 8304/1996) e di considerare ancora esistente il diritto altrui (C. 14909/2002; C. 10235/2002). Ne consegue che anche qualora sia stata omessa l'impugnazione degli atti presupposti ritualmente notificati, il contribuente può eccepire, nella opposizione alla esecuzione, la prescrizione maturata prima di tali atti, dovendosi escludere che l'omessa impugnazione integri quel comportamento inequivocabile idoneo ad attestare la rinuncia all'eccezione .
Con la clausola “Ex Work” , oggi molto diffusa per il trasporto internazionale , si identifica la situazione in cui, nell’ambito di un contratto, il venditore mette a disposizione la merce a terra in un suo stabilimento (o magazzino) predefinito o concordato ed il compratore si assume tutti i costi e rischi del trasporto . Sostanzialmente il venditore è obbligato a dare solo la fattura commerciale ed eventuali documenti per l'export previsti dal contratto nonché, ove richiesto esplicitamente, a dare assistenza - a spese e rischio del compratore - nell'ottenere la licenza di esportazione o altri documenti. E’ evidente che si tratta di un contratto che ha meno impegni per il venditore il cui solo onere è quello di assicurare che la merce sia pronta alla data di spedizione nel luogo indicato. Gli International Commercial Terms - INCOTERMS sono la serie di termini codificati nel 1936 dalla ICC (International Chamber of Commerce) appartenenti al diritto pattizio, utilizzati per definire in maniera univoca e in tutto il mondo le responsabilità a carico dei vari soggetti giuridici coinvolti in una operazione di trasferimento di beni da una nazione all’altra, e per definire, altresì, la suddivisione, tra gli stessi soggetti, dei costi di trasporto, doganali ed assicurativi. La definizione di “Ex Works” secondo il testo ufficiale della ICC è: “Ex Works” means that the seller delivers when it places the goods at the disposal of the buyer at the seller’s premises or at another named place (i.e., works, factory, warehouse, etc.). The seller does not need to load the goods on any collecting vehicle, nor does it need to clear the goods for export, where such clearance is applicable” (che tradotta sta a significare: “Ex Works "significa che il venditore soddisfa l’obbligo di consegna quando mette la merce a disposizione del compratore presso la sua sede o in un altro luogo indicato (cioè, fabbrica, magazzino, ecc.). Il venditore non è obbligato nemmeno a caricare la merce su alcun veicolo di raccolta, né deve assicurare la merce per l'esportazione…”). Con la pattuizione della clausola “Ex Works”, quindi, tutti i costi e i rischi in termini di trasporto, assicurazione e doganale sono a carico del compratore atteso che il venditore non è tenuto ad occuparsi, come detto, né del carico delle merci; né del vettore scelto dal compratore e non è tenuto nemmeno a sostenere i costi per lo sdoganamento all’esportazione. Anche il rischio di perimento della merce incombe totalmente sul compratore fin dalla presa in carico. Il venditore adempie alle sue obbligazioni semplicemente mettendo la merce, imballata e facilmente riconoscibile, a disposizione del compratore nel luogo indicato (generalmente la propria fabbrica e/o magazzino). Da qui consegue che giammai in un contratto che presenti la clausola di cui innanzi, il trasportatore possa richiedere il pagamento del trasporto al venditore, dovendosi ritenere, unico soggetto deputato al pagamento l’acquirente . E’ evidente anche che, per il trasportatore sarà più difficile ottenere il pagamento qualora il compratore si trovi all’estero, ma potrà servirsi degli odierni strumenti posti a tutela delle parti dalla legislazione internazionale.
Dispositivi satellitari e vlore probatorio dei rilievi La cosiddetta legge sulla concorrenza e mercato ha introdotto un nuovo articolo al Codice delle Assicurazioni Private , precisamente l' art. 145-bis titolato "Valore probatorio delle cosiddette «scatole nere» e di altri dispositivi elettronici" . Il legislatore spinge per l'adozione delle scatole nere installate sui veicoli al fine di gestire con maggiore veridicità le conseguenze dei sinistri stradali e avere un supporto probatorio importante per la determinazione della responsabilità dell'incidente , nonché evitare truffe nel settore assicurativo. Secondo il decreto “Destinazione Italia” , in caso di sinistro con automezzo con la scatola nera " le risultanze del dispositivo formano piena prova , nei procedimenti civili, dei fatti cui esse si riferiscono, salvo che la parte contro la quale sono state prodotte dimostri il mancato funzionamento del dispositivo" . Prima della riforma ci sono state pronunce con le quali si è disconosciuta l 'attendibilità ai rilievi effettuati con la cd “scatola nera” (tra queste si ricorda la sentenza del Giudice di Pace di Noci n. 32/2011; quella del Tribunale di Bari – Sezione di Putignano – n. 145/2013; quella del Gdp Viterbo, n. 2956/06). Sostanzialmente, dei dubbi in merito alla possibilità di far ritenere provato un sinistro stradale con tali meccanismi sussistono. Invero, generalmente, un apparecchio quale la scatola Unibox o Octo Telematic ovvero qualsiasi altro dispositivo satellitare, rileva “le accelerazioni che si determinano nella circolazione stradale, quando queste siano riferibili, per intensità ed intervallo in cui si verificano, ad un urto, e quindi superano anche la soglia minima, stabilita in 2g; provvedono a registrarle memorizzandole; ed inviano un messaggio alla centrale operativa tramite un sistema di comunicazione Gsm, comprensivo della posizione topografica rilevata tramite Gps. che attiva anche il soccorso stradale nel caso che tali accelerazioni siano talmente elevate da configurare un incidente grave. Se vi è urto, ma con accelerazione di entità minore di 2m/s2, esso non viene rilevato e neppure trasmesso alla centrale operativa (… ); la misura dell’accelerazione viene fornita in multipli e sottomultipli di “g” essendo “g” l’accelerazione di gravità pari a 9.81 m/sec2 (…)”. Conseguentemente la mancata registrazione di un incidente con un urto non particolarmente forte deve ritenersi possibile. A ciò si aggiunge che, in mancanza di una previsione specifica, un altro problema afferente l’attendibilità dei rilievi è dato dal fatto che, generalmente, lo strumento non è omologato quale unità di misura per carenza, come detto, della legislazione nazionale, sebbene un apparecchio destinato al rilevamento di scontri automobilistici risponda a specifiche tecniche testate in sede di produzione delle celle accelerometriche e venga provato e testato così che possa ritenersi garantita, quand’anche entro limiti ampi, la precisione della rilevazione. Ai fini probatori, ad esempio, anche la registrazione costante dei dati di posizione e di utilizzazione della vettura sono un indice del corretto funzionamento dell’apparecchiatura, così come testimoniati dalle stringhe dei dati di percorrenza. L’art. 32, comma 1 del Decreto Legge n. 1 del 24 gennaio 2012, convertito in Legge n. 27 del 24 marzo 2012, ebbe a modificare l’art. 132 del Codice delle Assicurazioni (D.Lgs 209/2005), prevedendo la facoltà dell’installazione sul proprio veicolo di meccanismi elettronici che registrano l’attività del veicolo, quali la c.d. “scatola nera” o dispositivi similari. Tanto, al dichiarato fine di limitare le frodi ai danni delle assicurazioni e i costi economici a carico degli assicurati. L’evoluzione normativa porterà all’obbligatorietà dell'installazione Ma allora, qual è l’efficacia probatoria della “scatola nera” in caso d’incidente , ovvero qual è il valore processuale dei dati forniti da tali congegni alla luce della introduzione dell’art. 145 bis CDA? Gli errori nel rilevamento sono certamente plausibili se si tiene conto, ad esempio, del caso nel quale, a seguito di un tamponamento tra due automobili, una delle persone trasportate sull’auto tamponata, ebbe a subire lesioni personali immediatamente refertate presso il Pronto Soccorso; tuttavia, l’auto sulla quale viaggiava il trasportato-danneggiato munita della “scatola nera”, ebbe a fornire dei dati riguardanti la dinamica del sinistro che, a detta della compagnia di assicurazioni, non erano compatibili con le lesioni subite dal danneggiato, così che si assumeva come nessun risarcimento fosse dovuto. Proprio con riferimento a tale caso si ebbe a pronunciare il Giudice di Pace di Noci, avv. Tiziana Gigantesco che, nella Sent. 32/2011, ebbe ad affermare come i dati forniti dalla “scatola nera” non potevano superare il giudizio positivo di compatibilità tra incidente e lesioni già fornito nell’ambito dello stesso giudizio mediante C.T.U. medico-legale e che i dati della “scatola nera” non potevano invalidare gli altri elementi di prova raccolti, univocamente convergenti sulla sussistenza del nesso tra sinistro e danno lamentato. Da qui l’ inattendibilità scientifica della “scatola nera” perché una teoria, per essere qualificata come scientifica, deve possedere o la generale accettazione della comunità scientifica o i seguenti criteri di affidabilità : 1. verificabilità del metodo: una teoria è scientifica se può essere controllata mediante esperimenti; 2. falsificabilità: la teoria scientifica deve aver subito tentativi di falsificazione i quali, se hanno esito negativo, la confermano nella sua credibilità; 3. sottoposizione al controllo della comunità scientifica: il metodo deve essere reso noto in riviste specializzate in modo da essere controllato dalla comunità scientifica; 4. conoscenza del tasso di errore: al giudice deve essere comunicato, per ogni metodo proposto, la percentuale di errore accertato o potenziale che questo comporta. Conseguentemente non convincente è il valore di prova legale attribuito alle risultanze della stessa scatola nera come previsto, a partire dallo scorso agosto, dalla legge sulla concorrenza. Si deve allora segnalare che la questione del valore probatorio della scatola nera è stato rimesso alla valutazione della Corte costituzionale . Lo ha disposto un’ordinanza di un giudice di pace di Barra (Dott. Ruscillo), emessa il 30 settembre, appena un mese e mezzo dopo l’entrata in vigore della nuova norma. Il sospetto di incostituzionalità nasce soprattutto dal fatto che la norma (l’articolo 1, comma 20, della legge 124/2017) attribuisce il valore di piena prova dei fatti alle risultanze del dispositivo «salvo che la parte contro la quale sono state prodotte dimostri il mancato funzionamento o la manomissione del predetto dispositivo» (e la realtà ha dimostrato che casi del genere sono tutt’altro che teorici). Ciò, secondo il giudice di pace, comporta che nel processo in cui una parte privata (la compagnia assicurativa) deposita i dati registrati dalla scatola nera non avendo l’onere di « dimostrare la legittimità delle acquisizioni e la correttezza delle risultanze », tale onere viene “scaricato” sulla controparte, il cui unico diritto ammesso dalla norma è solo quello di vedersi rendere fruibili le risultanze in questione. Rispetto a tale produzione documentale di parte, la legge esclude che vi possa essere un contraddittorio tra le parti , come invece impone il principio della parità tra esse ed il diritto di difesa giusta (articoli 111 e 24 della Costituzione). Tra l’altro, il danneggiato, per far valere le proprie ragioni e contrastare le risultanze della scatola nera, non può nemmeno utilizzare lo strumento della querela di falso , visto che si tratta di confutare atti con fede “privilegiata”, ma non provenienti da pubblici ufficiali. Allora, non resterebbe che chiedere al giudice di disporre una consulenza tecnica d’ufficio visto che una consulenza di parte sarebbe solo «una mera allegazione difensiva». A quanto innanzi si aggiunge che non risulta affrontato dalla norma il problema delle scatole nere già montate, all’atto dell’entrata in vigore della norma, sui veicoli in circolazione: sul punto la disposizione afferma che il giudice dovrebbe attribuire valore di prova legale ai dispositivi già in uso , purché «equiparabili» . Ma tale equiparabilità va valutata in base a requisiti che non risultano ancora fissati dal decreto ministeriale. Dunque, il giudice dovrebbe dare valore alle risultanze della scatola nera come imposto dalla legge in vigore, senza avere la certezza che essa sia poi riconosciuta idonea. Le osservazioni sollevate dal GDP di Barra appaiono condivisibili. Non dimentichiamo, però, che anche prima della entrata in vigore dell’art. 145 bis CdA, mentre poteva e, quindi, mentre si può ritenere ammissibile un errore nel rilievo del cd “crash“ per quelle ipotesi di urto lieve, non poteva e, quindi, a maggior ragione non si può ritenere possibile un errore nel rilievo della posizione del veicolo al momento del sinistro, soprattutto quando il punto di localizzazione è molto distante da quello in cui si assume essersi verificato l’incidente. In tale ipotesi, è evidentemente giustificata la previsione legislativa che sposta sulla parte danneggiata l’onere di dimostrare il cattivo funzionamento dell’impianto di rilevazione . Il discorso, quindi, sicuramente non è chiuso. Restiamo in attesa di una risposta chiarificatrice della Corte Costituzionale e, magari, di un'interpretazione autentica.
E’ corretta l’applicazione dell’art. 149 DEL DLGVO 209/05 a tutte le ipotesi di sinistro automobilistico tra due vetture regolarmente assicurate a prescindere dalla sussistenza di una contestazione sulla responsabilità? Sebbene il Codice delle assicurazioni, sia entrato in vigore da oltre dieci anni, se ancora oggi siamo chiamati a confrontarci sulla interpretazione delle disposizioni di cui agli artt. 149 e 141 del d. lgs. 209/05, ovvero sulle c.d. procedure CARD , è evidente che la formulazione adottata dal legislatore, non sia chiara . Lo dimostrano le più recenti sentenze rese dalla Corte di Cassazione , che contengono interpretazioni a volte contrastanti , in merito a quelle che dovrebbero essere le condizioni di procedibilità delle azioni; in merito alla necessità o meno della vocatio in ius del responsabile civile ovvero del vettore; in merito al valore da attribuire alla richiesta di risarcimento danni comunicata alla compagnia del veicolo antagonista ai fini della successiva introduzione del giudizio nelle forme del risarcimento ordinario quand’anche inizialmente la parte avesse inteso di richiedere l’indennizzo diretto. Ed è stata proprio questa ulteriore sentenza che mi convince maggiormente, in merito al fatto che , la richiesta di indennizzo diretto sia stata prevista dal legislatore per quelle sole ipotesi in cui il risarcimento del danno non possa ritenersi contestato . Così che, allorquando emerga dalla istruttoria demandata alla società assicuratrice in via preventiva, una circostanza per cui la parte che invoca l’indennizzo possa non avere pienamente ragione, dovrebbe ritenersi preclusa per quella parte di agire giudiziariamente invocando l’indennizzo diretto , dovendosi ritenere ammissibile, in tali ipotesi, esclusivamente l’azione ordinaria, nelal quale, espressamente era previsto il litisconsorzio necessario con il responsabile civile . A mio modesto avviso l’applicazione che stiamo facendo dell’art. 149 CDA , non rispecchia la ratio che aveva portato il legislatore ad introdurre tale procedura, diversa da quella ordinaria , così che erroneamente si ritiene che allorquando si verifica un sinistro automobilistico con due veicoli regolarmente assicurati, indistintamente si possa proporre l’azione ordinaria ovvero quella dell’indennizzo diretto ritenendo che la prova da fornire nelle due fattispecie sia identica. Infatti, la volontà del legislatore era quella di assicurare al danneggiato, in particolari situazioni ed in presenza di particolari presupposti, la possibilità di ottenere un risarcimento celere e soddisfacente, tale da impedire il ricorso all’ Autorità Giudiziaria. Se la celerità nella procedura di risarcimento appare in maniera più evidente se si pensa alla prova richiesta per le ipotesi di risarcimento del terzo trasportato che agisca ai sensi dell'art. 141 C.d.A. del d.lgs. 209/2005, in materia di tutela del terzo trasportato, secondo quello che l’orientamento attuale non altrettanto chiara è la efficacia che potrebbe avere sul contenzioso, la corretta applicazione dell'art. 149 . Ciò perchè, sostanzialmente, oggi, qualora chi richiede l'indennizzo diretto, non venga risarcito, è onerato, dalla prassi e dalla pratica, a fornire la stessa prova che dovrebbe fornire il danneggiato che abbia scelto, invece, di ottenere il risarcimento nelle forme ordinarie, dettate dal combinato disposto degli articoli 144 e 148 del d. lgs. 209/2005, con l'unica variazione attinente al soggetto cui è richiesto il risarcimento, individuato non già nella società assicuratrice del veicolo del presunto responsabile civile, bensì nella società assicuratrice che garantisce, per la RCA, il veicolo del danneggiato. In tal modo, quale conseguenza dell'errata applicazione della disposizione, si avrà l'ulteriore risvolto della portabilità del pagamento effettuato dalla società che non era obbligata al risarcimento, nella c.d. stanza di compensazione. Seppure ciò non si evinca chiaramente dal tenore letterale della norma, il legislatore ha voluto prevedere una forma di tutela snella per quegli incidenti automobilistici, intercorsi tra soli due veicoli, per i quali l'accertamento della responsabilità sia semplice, in quanto riconducibile astrattamente ad una delle ipotesi previste dall'ALLEGATO "a" del codice delle assicurazioni. Per tali sinistri, l'obbligo del danneggiato è unicamente quello di inoltrare, alla propria compagnia di assicurazione, una richiesta di risarcimento dettagliata, così da rendere possibile l'istruzione della pratica, la verifica della entità del danno, la effettiva coerenza del danno con la dinamica e la compatibilità del danno con quello riportato dal veicolo antagonista, al fine di procedere nel termine di 30 giorni, nel caso di esistenza di CID a doppia firma, ovvero nel termine di 60 giorni, in assenza dello stesso, alla formulazione di una proposta transattiva ovvero alla comunicazione delle ragioni del diniego. Il legislatore, quindi, ha spostato gli obblighi maggiori di tale procedura a carico delle imprese di assicurazione, prevedendo anche una sanzione da comminare alle stesse per la ipotesi di inottemperanza, giusta disposto del comma 10 dell'art. 148 del d.lgs. 209/2005 . Le conseguenze della inottemperanza della società all'accertamento e liquidazione del danno nei tempi innanzi indicati o la mancata comunicazione delle ragioni del diniego del risarcimento nei medesimi termini, implica la possibilità, per il danneggiato, di rivolgersi all’autorità giudiziaria non già per richiedere, previo accertamento della responsabilità del conducente del veicolo antagonista e previo riconoscimento della sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'indennizzo diretto, la condanna al pagamento, quanto piuttosto, per richiedere l'accertamento dell'inadempimento della società rispetto alle disposizioni contenute nell'art. 48 (accertamento del danno e liquidazione) e quindi per richiedere la sola liquidazione del danno. Per questo motivo, deve escludersi nella ipotesi di azione proposta ex art. 149 del d.lgs. 209/2005 la previsione di un litisconsorzio necessario con il responsabile civile, atteso che, unico soggetto che la norma prevede possa intervenire nel procedimento, è la compagnia del responsabile. Ciò è giustificato dal fatto che, l'art. 145 del d.lgs. 209/2005, prevede un obbligo di comunicazione della richiesta di risarcimento anche alla società che copre i rischi del veicolo antagonista, al fine di renderla edotta della sostenuta responsabilità del presunto responsabile e di allertarla per la ipotesi in cui anche il proprio assicurato richieda il risarcimento, con le stesse modalità. Qualora la compagnia del veicolo della controparte accerti che la tesi sostenuta dal danneggiato non sia veritiera, al fine di evitare che vi possa essere avallo ad un risarcimento che poi andrà portato in compensazione, il legislatore ha previsto la possibilità della sua costituzione in giudizio per impedire che il risarcimento venga riconosciuto. E' evidente, infatti , l'interesse della società interventrice ad evitare che gli effetti della pronuncia nei confronti di due soggetti diversi, possano poi, andare ad incidere nella propria sfera giuridica patrimoniale. Giammai, quindi, una pronuncia resa in un procedimento ex art. 149 del d.lgs. 209/2005 può acquisire efficacia di cosa giudicata nei confronti del responsabile civile, perchè in tale procedura la responsabilità dovrebbe essere stata acclarata a monte, proprio dalla società obbligata al pagamento. Da quanto detto consegue che, la corretta applicazione della disposizione dell'art. 149 del d.lgs. 209/2005 dovrebbe portare ad escludere ciò che di fatto avviene, ovverosia la richiesta di risarcimento, nelle forme di indennizzo diretto, da parte di entrambi i soggetti coinvolti nel sinistro. Dovrebbe esserci un sistema di cooperazione tra società per cui, all'esito dell'accertata contraddittorietà delle versioni, si dovrebbe negare il risarcimento al proprio assicurato, inducendolo ad agire giudizialmente ma con le forme ordinarie del procedimento previsto dal combinato disposto degli artt. 144 e 148 del d.lgs. 209/2005, con il litisconsorzio necessario dei proprietari dei veicoli coinvolti, così da impedire il contrasto tra giudicati. Nel caso, quindi, di diniego al risarcimento con le forme dell'indennizzo diretto, il danneggiato dovrebbe agire, come detto, con le modalità ordinarie. Come risolvere, però, il problema della costituzione in mora, ai fini della procedibilità dell'azione ex art. 148 del d.lgs. 209/2005, qualora sia stata inoltrata una richiesta di risarcimento alla società antagonista solo ai sensi dell'art. 145 (ovverosia ai soli fini della comunicazione) ? Il problema appare di facile soluzione: nella richiesta di risarcimento danni il danneggiato dovrà precisare che la stessa viene inviata, non solo, ai sensi e per gli effetti degli artt. 145 e 149 del d.lgs. 209/2005, ma anche, per la ipotesi di ritenuta inapplicabilità della procedura di indennizzo diretto, ai sensi e per gli effetti del combinato disposto di cui agli artt. 144 e 148 del d.lgs. citato. In tal modo, il danneggiato non sarebbe costretto a dover ripetere la richiesta di risarcimento del danno con conseguente perdita di tempo. Con tale impostazione, realmente il danneggiato potrebbe avere una tutela più immediata e sarebbero sottoposte a giudizio solo quelle ipotesi di differenza tra la pretesa del danneggiato rispetto alle somme offerte dalla assicurazione. Per queste ipotesi, il giudice, ugualmente non dovrebbe essere chiamato ad un rinnovato accertamento della responsabilità, ma solo alla verifica in merito alla correttezza della valutazione del danno, in tal modo riducendo i tempi della causa ed anche gli oneri probatori posti a carico del danneggiato in una ipotesi ordinaria. La mancata comunicazione delle ragioni del diniego del risarcimento, anche in una ipotesi di contrasto di responsabilità, deve essere posta a carico della società assicuratrice, che qualora abbia omesso di inviarla, va comunque condannata al risarcimento, assumendo a suo carico le conseguenze del proprio inadempimento rispetto alle precise disposizioni di legge. Quali le conseguenze riconducibili ad una scorretta applicazione dell’art.149? Non pare si possa parlare di nullità dell’ azione. Invero, attualmente viene rafforzata la tutela della società assicuratrice del danneggiato, che va a beneficiare di un ulteriore prova di responsabilità del conducente del veicolo antagonista, così che nulla possa essere obiettato per il pagamento che andrà a fare e successivamente a chiedere di compensare. Paga il conto il danneggiato che, invece, lo Stato voleva tutelare con una procedura snella e che spostava a carico del potere forte gli oneri più consistenti ai fini della liquidazione del danno. E' per quanto sopra rappresentato va ritenuto che, nelle procedure di indennizzo diretto non sia necessaria la compresenza del responsabile civile. In effetti, la responsabilità del conducente del veicolo antagonista dovrebbe essere desunta dalla riconducibilità della fattispecie ad una di quelle previste nell'allegato, per le quali il legislatore ha già sancito ed individuato le posizioni di ragione e/o di torto . Al massimo, in tema di risarcimento, quando vi è un problema di liquidazione del danno, potrebbe ritenersi giustificabile l'ammissione della prova testimoniale per scongiurare un concorso di responsabilità del danneggiato non già ex art. 2054 secondo comma c.c. , quanto ex art. 1227 c.c.. Ciò perchè la natura della disposizione è diversa e non è collegata alla circolazione stradale, quanto al comportamento colposo del creditore che avrebbe potuto evitare il danno ovvero rendere meno gravose le conseguenze del sinistro. Anche in questo caso, trattandosi di un accertamento che investe la posizione del danneggiato e che esula dalla posizione del presunto responsabile non si ravvisa una compartecipazione di quest’ultimo nel procedimento. Data la molteplicità di orientamenti, nemmeno mi sento di ritenere inammissibile, in un procedimento instaurato ex art. 149 d.lgs. 209/2005, una domanda di accertamento della responsabilità nella determinazione del sinistro a carico del conducente del veicolo della controparte, in ragione del fatto che il codice prevede la possibilità di proporre in un solo giudizio più azioni che siano tra esse collegate. Quindi, la richiesta di accertamento della responsabilità va ritenuta domanda accessoria o ulteriore domanda che si affianca a quella che la norma ha previsto per la tutela del danneggiato. Passando, poi, alla tutela del terzo trasportato introdotta dall'art. 141 del dlgvo 209/05, voglio rammentare che, di fatto, già prima della entrata in vigore del codice delle assicurazioni, al trasportato era assicurata una tutela privilegiata, riconoscendo l'applicabilità delle disposizioni dell'art. 2055 c.c. , in virtù delle quali, egli avrebbe potuto richiedere il risarcimento ad uno solo dei corresponsabili solidali che, per il pagamento effettuato, avrebbero potuto agire in regresso nei confronti degli altri condebitori. Tale norma, devo dire che ha trovato scarsa applicazione pratica anche perchè non era chiaro l'onere probatorio che fosse imposto a chi intendeva richiedere il risarcimento. L'art. 141 del d.lgs. 209/2005 ha sbaragliato ogni dubbio: a prescindere dall'accertamento della responsabilità, il trasportato, a qualsiasi titolo, su un veicolo coinvolto in un incidente automobilistico, va risarcito dalla compagnia del vettore. Onere probatorio a carico della parte che ha riportato le lesioni, è quello di provare la circostanza del trasporto, la mancata corresponsabilità ex art. 1227 c.c., dimostrando di aver utilizzato gli ausili di legge e la esistenza della copertura assicurativa. Il problema si è posto con riferimento alla applicabilità di lesioni riportate su un veicolo che non fosse coinvolto in un incidente automobilistico, ovvero avesse subito un incidente senza responsabilità di un altro veicolo. Trattandosi di una procedura CARD, si deve escludere che si possa invocare la disposizione dell'art. 141 del d.lgs. 209/05 in ipotesi che non prevedano la possibilità di portare in compensazione il pagamento che la società del vettore dovrebbe effettuare. Resta ferma la possibilità di invocare il risarcimento comunque nei confronti del vettore , ma con l'onere di provare la sua responsabilità. Proprio perchè si prescinde dall'accertamento della responsabilità e, quindi, proprio perchè, diversamente dalla procedura di cui dell'art. 149 del d.lgs. 209/2005, al fine di riconoscere il risarcimento del danneggiato va verificata la riconducibilità della dinamica ad una delle fattispecie per le quali risulta già prevista la responsabilità a carico dell'uno piuttosto che dell'altro conducente, la richiesta di risarcimento non deve essere inoltrata anche alla società del veicolo antagonista, così come non deve essere chiamato in causa il vettore, in ragione del fatto che l'obbligo di pagamento a carico della impresa assicuratrice è espressamente prevista dalla legge, senza alcuna condizione. Quanto al contenuto della richiesta di risarcimento danni per lesioni subite dal trasportato va detto che deve essere completa, dovendo porre la società in condizione di gestire il sinistro. Una richiesta insufficiente implica una declaratoria di improponibilità della domanda e di improcedibilità. Alla mancata adesione all'invito a perizia , sia per il danno a cose, sia per le lesioni, non è più ricollegata , quale conseguenza, la sospensione dei termini fissati dall'art. 145 del d.lgs. 209/2005, quanto, piuttosto, l'esonero di responsabilità per la società di formulare una offerta transattiva ovvero di comunicare le ragioni di diniego al risarcimento , onde escludere la applicabilità delle sanzioni collegate all'inadempimento dal già richiamato comma 10 dell'art. 148 del d.lgs. 209/2005. La scarsa chiarezza della normativa e le maglie troppo larghe lasciate dal legislatore, portano comunque a diversi orientamenti interpretativi. L'essenziale è che si cerchi sempre di dare una interpretazione corretta nel rispetto dei principi costituzionali di tutela dei diritti dei cittadini.
Maria Cuomo
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