La nuova formulazione dell’art. 2086 c.c., introdotta dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, ridisegna assetti organizzativi e responsabilità dell’imprenditore: l’amministratore ha il dovere di agire con la dovuta diligenza, espressione del dovere di correttezza e buona fede, ma non ha l’obbligo di amministrare la società con successo economico. A ciò si collega e da ciò discende, da un lato, l’insindacabilità delle scelte di merito gestorio, quando esse siano razionali e ragionevoli, non connotate da imprudenza originaria, e così risultanti all’esito di un giudizio ex ante volto a verificare se vi sia stato un apprezzamento preventivo di tutti i rischi connessi all’operazione da intraprendere con la conseguentemente adozione di tutte le cautele del caso; dall’altro, l’ammissibilità del sindacato giudiziale sulla struttura organizzativa predisposta dall’amministratore, entro i limiti e secondo i criteri della proporzionalità e della ragionevolezza, in linea con una funzionale compliance penale. Il contributo proposto, nel quadro disegnato dall’intersezione tra i due piani, si propone di leggere la disciplina dei reati fallimentari, con particolare riguardo alla bancarotta preferenziale ed alle operazioni infragruppo, esaminando il profilo della business judgement rule, alla luce del nuovo art. 2086 e in relazione al tema dei flussi informativi interni alla singola impresa, nonché nella fondamentale prospettiva di conservazione della c.d. continuità aziendale.
Fonte: Rivista Percorsi Penali, 1/2023
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