Violenza sessuale: la possibile riforma dell’art. 609-bis c.p. e il consenso libero e attuale

Scritto da: Matteo Restuccia - Pubblicato su IUSTLAB




Pubblicazione legale:


La nuova formulazione incentrata sul «consenso libero e attuale»solleva delicati profili riguardo al principio dell’onere della prova e ai diritti costituzionali dell’imputato (presunzione d’innocenza, diritto di difesa e giusto processo). In base ai canoni generali, infatti, nel processo penale l’onere di provare la colpevolezza grava interamente sull’accusa, mentre l’imputato non è tenuto a dimostrare la propria innocenza. Il principio di presunzione d’innocenza sancito dall’art. 27, co. 2 Cost. (e dall’art. 6 §2 CEDU) verrebbe vulnerato se il peso probatorio fosse trasferito sulla difesa. La Corte costituzionale, già con sentenza n. 111/1993, ha escluso la legittimità di qualunque inversione dell’onere probatorio in materia penale, ribadendo che spetta sempre all’accusa provare tutti gli elementi del reato e che non sono ammissibili “semplificazioni” probatorie idonee a gravare l’imputato dell’onere di dimostrare la propria innocenza. Anche la Corte EDU, ammettendo limitate presunzioni di fatto o di diritto, ha chiarito che queste devono rimanere entro limiti ragionevoli e rispettare pienamente i diritti della difesa. Pertanto, da un punto di vista formale, l’introduzione del requisito del consenso esplicito non modifica la regola fondamentale: sarà sempre il pubblico ministero a dover provare, oltre ogni ragionevole dubbio, che l’atto sessuale è avvenuto senza il consenso libero e attuale della persona offesa, restando fermo che ogni dubbio interpretativo o fattuale debba risolversi in favore dell’imputato (principio dell’in dubio pro reo).

Resta da valutare, tuttavia, l’impatto pratico della nuova fattispecie sull’equilibrio processuale. In concreto, l’elemento negativo costituito dalla mancanza di consenso – per sua natura spesso definito da situazioni “parola contro parola” – potrebbe indurre un’inversione di fattodell’onere probatorio a carico dell’imputato. In assenza di costrizione fisica o minaccia tangibile, la prova del dissenso della vittima può risultare meno oggettivabile, con il rischio che sia l’accusato a doversi attivare per dimostrare la presenza del consenso. La giurisprudenza di legittimità aveva già delineato questo scenario: qualificando il dissenso della vittima come elemento implicito del reato, la Corte di Cassazione ha affermato che un eventuale errore dell’agente sul consenso rileva come errore sul fatto, con la conseguenza che incombe sull’imputato l’onere di fornire la prova della propria supposizione di consenso. In altre parole, se l’accusato invoca a propria discolpa un consenso dato o creduto tale, egli ha l’onere di allegare elementi concreti a supporto di tale tesi. Questa impostazione lascia intravedere una tensione con il principio di non colpevolezza, poiché si avvicina a richiedere all’imputato di provare la propria innocenza (dimostrando il consenso), piuttosto che imporre all’accusa di provare la colpevolezza (dimostrando il dissenso). Tuttavia, va sottolineato che sul piano giuridico sostanziale la fattispecie riformata non introduce una vera presunzione di colpevolezza a carico dell’imputato (non esiste de iure alcuna “presunzione di non-consenso” della persona offesa): l’onere probatorio in giudizio resta in capo all’accusa, in conformità ai principi costituzionali e sovranazionali richiamati. Sarà dunque compito della prassi applicativa assicurare che la necessità di accertare il consenso effettivo non scivoli in una pretesa probatoria inespressa verso la difesa. In caso di dubbio irriducibile circa la volontà della vittima, il giudice dovrà pronunciare assoluzione, coerentemente con l’art. 530 c.p.p. e l’art. 27 Cost. Un’interpretazione diversa – ad esempio ritenere sufficiente, per la condanna, la mancata prova da parte dell’imputato dell’esistenza di un consenso – sarebbe manifestamente in contrasto con la presunzione di innocenza e renderebbe la norma esposta a possibili censure di illegittimità costituzionale.

Sotto il profilo del diritto di difesa (art. 24 Cost.) e del giusto processo(art. 111 Cost.), l’introduzione del criterio del consenso libero e attuale comporta opportunità ma anche criticità potenziali. Da un lato, la riforma rende più chiaro l’oggetto del contendere nel processo: non più la prova di modalità coercitive specifiche, ma la verifica dell’effettiva volontà della persona offesa di aderire all’atto sessuale. In tal modo si supera finalmente l’impostazione tradizionale in cui la vittima di violenza doveva dimostrare di aver resistito con tutte le sue forze ad una “vis” irresistibile per essere ritenuta credibile – situazione che in passato di fatto addossava alla donna un intollerabile onere di prova della propria mancata consenzienza. Oggi, grazie anche alla spinta della Convenzione di Istanbul e della giurisprudenza della Corte EDU (v. caso M.C. c. Bulgaria, 2003), si riconosce che il fulcro del reato è l’assenza di un consenso genuino, anche in mancanza di violenza fisica visibile. Ciò consente di valorizzare in sede processuale il racconto della persona offesa circa il proprio dissenso, senza costringerla a provare ulteriori circostanze aggravanti. Dal punto di vista difensivo, però, questa centralità del consenso rende la linea di confine tra lecito e illecito più sfumata e affidata a valutazioni caso per caso sullo stato mentale e volitivo delle parti. La dottrina ha evidenziato come l’adozione del modello del “consenso affermativo” – per cui ogni rapporto deve essere preceduto da un sì libero e specifico – rischi di dilatare la discrezionalità giudiziale nell’accertare l’elemento soggettivo del reato. La stessa Cassazione, nel recepire questo paradigma, ha ammesso che enfatizzare il requisito di un consenso esplicito massimizza la tutela della vittima, ma “sfumando grandemente i contorni della fattispecie penale” potrebbe condurre a decisioni non uniformi sulla sussistenza del dolo, con margini di arbitrarietà più ampi. Dal punto di vista del giusto processo, ciò impone ai giudici di motivare con particolare rigore le proprie valutazioni sul consenso o dissenso, per evitare esiti imprevedibili e garantire la tassatività della fattispecie (ex art. 25 Cost.) anche nella sua nuova formulazione. La Corte EDU esige infatti che i processi penali si svolgano in modo equo, assicurando sia l’effettività della tutela per le vittime di violenza sessuale sia il rispetto dei diritti della difesa in ogni fase. In particolare, il diritto al contraddittorio (art. 111, co. 4 Cost. e art. 6 §3 lett. d CEDU) comporta che l’imputato possa esaminare o far esaminare i testimoni d’accusa e introdurre prove a proprio favore alle stesse condizioni dell’accusa. Nel contesto del nuovo art. 609-bis c.p., ciò significa che la difesa dovrà poter scrutinare a fondo la credibilità e l’attendibilità della persona offesa sul punto del (mancato) consenso, ovviamente con le cautele necessarie a tutelarne la dignità e a evitare indebite vittimizzazioni secondarie. La legislazione vigente già prevede misure protettive (ad esempio la possibilità di escutere la vittima con modalità protette, il divieto di domande sulle abitudini sessuali non pertinenti, ecc.), ma tali limiti – volti a evitare processi offensivi per la vittima – non possono tradursi in un pregiudizio effettivo del diritto di difesa. Sarà dunque cruciale bilanciare esigenze di tutela e garanzie difensive: la difesa deve avere la possibilità di contestare, con contro-interrogatori e proprie prove, l’asserita mancanza di consenso; parimenti, il giudice deve valutare tutti gli elementi del contesto (comportamenti antecedenti, rapporti tra le parti, eventuali manifestazioni di volontà implicite) che possano indicare l’esistenza di un consenso o, quantomeno, ingenerare dubbio sullo stesso. Ad esempio, messaggi precedenti, atteggiamenti tenuti dalle parti e ogni altra circostanza rilevante dovranno essere ammessi e considerati, in ossequio al principio di pari opportunità tra accusa e difesa nel processo penale (art. 111, co. 2 Cost.). Ciò non significa reintrodurre surrettiziamente stereotipi sulla vittima o presumere il consenso da suoi comportamenti passati – prospettiva espressamente ripudiata sia dalla giurisprudenza interna sia da quella europea – bensì garantire un giudizio equo, in cui la colpevolezza dell’imputato venga affermata solo all’esito di un accertamento rigoroso e contraddittorio sulla volontà effettiva della persona offesa.

Un ulteriore aspetto attiene alla definizione di “consenso libero e attuale” e alle possibili ripercussioni sul diritto di difesa. L’aggettivo libero rinvia all’assenza di vizi della volontà: il consenso dev’essere privo di costrizioni, minacce, inganni o condizionamenti (nozione già implicita nella formulazione previgente del 609-bis c.p. attraverso l’elenco delle condotte coercitive). L’aggettivo attuale sottolinea invece la dimensione temporale e dinamica del volere: il consenso deve esistere al momento dell’atto ed estensivamente per tutta la sua durata, potendo essere revocato in qualsiasi momento dalla persona offesa. Tale precisazione, già riconosciuta dalla Cassazione, implica che anche durante un rapporto sessuale in corso la vittima possa legittimamente manifestare dissenso (espresso o implicito) e da quel momento ogni ulteriore atto diviene illecito. Sul piano difensivo, questo elemento impone all’imputato un elevato dovere di attenzione: non basta ottenere un consenso iniziale, ma occorre sincerarsi che esso permanga e non venga ritirato. In caso contrario, l’agente non potrà invocare a propria scusa un consenso prestato in precedenza o meri comportamenti passivi della vittima. La Cassazione ha chiarito che atteggiamenti di inerzia o silenzio non equivalgono di per sé a un consenso e che non si può far gravare sulla persona offesa l’onere di un’esplicita resistenza per escludere il reato. Pretendere dalla vittima una chiara manifestazione di dissenso come unica prova della violenza significherebbe reintrodurre una “presunzione di consenso” di stampo arcaico, ribaltando impropriamente l’onere probatorio a suo carico. La riforma in esame, al contrario, formalizza il principio opposto: “senza un consenso inequivoco è stupro”, come sintetizzato dalla recente giurisprudenza. Ciò si traduce, per il cittadino, nell’obbligo di astenersi da qualsiasi atto sessuale in mancanza di un chiaro e libero assenso altrui. Per l’ordinamento processuale, però, questa evoluzione non elimina – è bene ribadirlo – le garanzie di base dell’imputato: sarà sempre necessaria una prova certa che tale assenso mancasse. In sede giudiziaria, dunque, l’accusa dovrà fornire elementi convincenti (testimonianze, riscontri, comportamenti univoci) della mancanza di consenso, mentre l’imputato avrà pieno diritto di contestare tale ricostruzione, eventualmente portando evidenze di segno contrario. Il giudice, dal canto suo, dovrà valutare imparzialmente le due prospettazioni, applicando il principio del ragionevole dubbio di cui all’art. 533 c.p.p. e tenendo ben presente che «qualsiasi dubbio giova all’imputato». Solo così l’innovazione normativa potrà coniugare efficacemente la maggiore protezione delle vittime – conforme alle indicazioni della Corte EDU in tema di contrasto alla violenza di genere – con il pieno rispetto delle garanzie difensive e dei principi del giusto processo sanciti dalla Costituzione italiana. In definitiva, l’introduzione del riferimento al “consenso libero e attuale” rappresenta un importante avanzamento culturale e giuridico, a patto che la sua applicazione pratica continui a fondarsi su un solido impianto garantista: nulla poena sine prova, nel segno dell’art. 27 Cost., e nessuna condanna se non all’esito di un equo confronto processuale (artt. 24 e 111 Cost.). Questo equilibrio – da preservare con attenzione nella prassi – assicurerà che la riforma persegua la finalità di tutela delle vittime senza scardinare i principi cardine del nostro sistema penale.




Pubblicato da:


Matteo Restuccia

Avvocato Penalista




IUSTLAB

Il portale giuridico al servizio del cittadino ed in linea con il codice deontologico forense.
© Copyright IUSTLAB - Tutti i diritti riservati


Privacy e cookie policy