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CRISI DI COPPIA E AFFIDAMENTO DELL’ANIMALE DI AFFEZIONE. Gli orientamenti della giurisprudenza di merito nelle cause di separazione e divorzio.
Pubblicato su IUSTLAB
Quando una coppia entra in crisi,
vi sono alcuni aspetti che possono (e, talvolta, debbono) essere affrontati,
primo fra tutti quelli di affidamento e mantenimento dei figli. Tuttavia, tra i vari interessi oggi
in gioco in ipotesi di crisi della relazione di coppia, vengono in rilievo
quelli relativi all’ assegnazione degli animali di affezione ed
alla ripartizione delle spese per il loro accudimento tra gli ex
conviventi. D’altro canto, è innegabile che il
ruolo degli animali all’interno delle famiglie sia notevolmente cresciuto negli
ultimi anni, tanto che alcuni percepiscono e vivono gli animali domestici come
veri e propri membri della famiglia. Tale nuova percezione dell’animale
domestico fa senz’altro il paio con l’aumentata sensibilità nei confronti degli
animali sviluppatasi nel recente passato, ormai recepita pure dal legislatore e
dalla giurisprudenza italiani, anche sulla scorta della legislazione
internazionale (ad esempio, la Convenzione Europea per la Protezione degli
Animali da Compagnia del 13 novembre 1987, ratificata dall’Italia con la L. n.
201/2010, tutela il rapporto dell’uomo con il proprio animale di compagnia; l’art.
13 del TFUE, nella formulazione novellata nel 2007 dal Trattato di Lisbona,
sancisce che “gli animali sono essere senzienti”). Giova anticipare che nel nostro
ordinamento non v’è , in realtà, una norma di riferimento che disciplini
l’affidamento di un animale domestico in caso di separazione o divorzio dei
coniugi o nell’ipotesi di interruzione di una relazione tra conviventi
(nonostante nella XVI Legislatura sia stato depositato un disegno di legge che
prevedeva l’introduzione di un art. 455-ter nel Codice Civile che avrebbe
dovuto prevedere che: “in caso di separazione dei coniugi, proprietari di un
animale familiare, il tribunale, in mancanza di un accordo tra le parti,
indipendentemente dal regime di separazione o di comunione dei beni e secondo
quello che risulta dai documenti anagrafici dell’animale, sentiti i coniugi, i
conviventi, la prole e, se del caso, esperti di comportamento animale,
attribuisce l’affido esclusivo o condiviso dell’animale alla parte in grado di
garantire il maggior benessere. Il tribunale è competente a decidere in merito
all’affido anche in caso di cessazione della convivenza more uxorio”). Anche a fronte dell’assenza di una
espressa disciplina sul tema, sempre più spesso, nella crisi di coppia, lo
scontro tra le parti verte anche sulla regolamentazione dell’assegnazione e
delle spese di accudimento degli animali domestici. Se, da un lato, non sussistono
problemi per le determinazioni assunte di concerto tra gli ex conviventi,
alcune perplessità sono emerse nella giurisprudenza allorché i coniugi non
raggiungano un accordo sul punto. Si è da più parti rilevato,
infatti, che le spese di accudimento degli animali domestici hanno intrinseco
valore economico e, come tali, necessitano di essere adeguatamente
regolamentate, al pari delle altre condizioni relative ad altri aspetti della
relazione con l’animale. Si segnala, in particolare,
l’ordinanza del Tribunale di Milano del 13 marzo 2013, con la quale il Giudice
della separazione, preso atto dell’evoluzione del sentimento per gli animali
nel sentire sociale e della rilevanza costituzionale dello stesso, considerato
che deve essere riconosciuto un vero e proprio diritto soggettivo all'animale
da compagnia e che questi non possono essere ricondotti sic et simpliciter
alla definizione di cosa, in quanto “esseri senzienti”, ha stabilito che “è
legittima facoltà dei coniugi quella di regolarne la permanenza presso l’una o l’altra
abitazione e le modalità che ciascuno dei proprietari deve seguire per il
mantenimento dello stesso”. Alcuni Tribunali, tuttavia, hanno
osservato come il giudice della separazione o del divorzio non sia , in
realtà, tenuto ad occuparsi della disciplina delle condizioni di
assegnazione ed accudimento degli animali domestici . Solo in presenza di
accordi tra i coniugi sul punto, pertanto, il Giudice potrebbe tutt’al più
omologare le condizioni assunte dagli ex conviventi in riferimento
all’accudimento e all’assegnazione dell’animale , non ponendosi queste in
contrasto con l’ordine pubblico. Questo l’orientamento maggioritario sul tema
(v. Trib. Modena, 8 gennaio 2008; Trib. Como, 3 febbraio 2016; Trib. Torino, 10
marzo 2014). Pertanto, in ipotesi di separazioni
o divorzi giudiziali, stando al richiamato orientamento ermeneutico, il Giudice
non potrebbe esprimersi sull’assegnazione e il mantenimento degli animali di
affezione conviventi con i coniugi in costanza di matrimonio in ipotesi di
assenza di accordi sul punto tra i coniugi. Altra giurisprudenza , al contrario, ha ritenuto più
che opportuna la decisione del Giudice della separazione o del divorzio sul
punto in ogni caso, assumendo quale faro illuminante della decisione
l’esclusivo perseguimento del benessere dell’animale. Tale interesse viene di volta in
volta tutelato in maniera differente, sul modello di quanto avviene con
riferimento ai figli (con equiparazione che può apparire, a ben vedere, poco
opportuna). Pertanto, possono profilarsi soluzioni graduate, che variano dall’ assegnazione
esclusiva dell’animale domestico ad uno degli ex coniugi all’ assegnazione
condivisa , anche a prescindere dall’intestazione anagrafica, dovendosi
guardare solo e soltanto al miglior benessere del cane o del gatto . Così, l’animale domestico potrà
essere assegnato in via esclusiva al coniuge che ne possa assicurare il miglior
sviluppo psico-fisico, oppure, assegnato in via congiunta ai coniugi. Al pari di quanto avviene in
materia di mantenimento dei figli, poi, alla stregua dell’orientamento
giurisprudenziale in esame, il Giudice, fuori dall’accordo delle parti, può
anche dettare la regolamentazione degli aspetti economici relativi al
rapporto con l’animale domestico, con speciale riferimento alle spese
veterinarie e a quelle straordinarie. Quanto illustrato sinora è ben
riassunto dal Tribunale di Sciacca nella pronuncia del 19 febbraio 2019,
laddove è stato stabilito che “in mancanza di accordo tra i coniugi, il giudice
della separazione può disporre l'assegnazione dell'animale domestico, in via
esclusiva alla parte che assicuri il miglior sviluppo possibile dell'identità
del cane o del gatto, oppure in via alternata a entrambi i coniugi, a
prescindere dall'eventuale intestazione risultante dal microchip, tenendo conto
del benessere dell'animale stesso, e regolamentare gli aspetti economici (spese
veterinarie e straordinarie) legati alla sua cura e al suo mantenimento”. La pronuncia in parola si segnala,
altresì, per la particolare sensibilità con cui viene affrontato l’argomento,
senza “scivolare” in poco opportune equiparazioni con la regolamentazione dei
rapporti con la prole. Da un lato, infatti, non viene mai evocata la disciplina
codicistica in materia di affidamento dei figli e, dall’altro lato, il Giudice
ha preferito parlare di “assegnazione” anziché di “affidamento” ,
sottolineando così la distanza delle statuizioni in materia di accudimento
degli animali domestici da quelle riguardanti affidamento e mantenimento dei
figli. Insomma, ad oggi possono rilevarsi due
orientamenti nella giurisprudenza di merito tra loro distanti ma, ad avviso
di chi scrive, non inconciliabili. Se è vero che l’orientamento ermeneutico
maggioritario tende ad escludere l’opportunità che il giudice della separazione
o del divorzio si occupi dell’assegnazione degli animali di affezione nella
crisi di coppia, dall’altro lato non può negarsi che il sentire sociale sia in
evoluzione e che sempre maggiore rilievo assuma il sentimento nei confronti
degli animali, dovendosi ritenere tutelabile anche il rapporto tra l’uomo e
l’animale domestico. Rapporto che può senz’altro essere tutelato con accordi
stragiudiziali tra le parti ma che, laddove tale accordo non venga raggiunto,
ben potrebbe (e dovrebbe) essere sottoposto all’autorità giudiziaria, anche a
tutela del benessere dell’animale, senz’altro “essere senziente”. Avv. Mattia Cardelli