Avvocato Mattia Cardelli a Sansepolcro

Mattia Cardelli

Avvocato in Sansepolcro

Informazioni generali

Svolgo l'attività professionale in Sansepolcro (AR), con speciale attenzione alla materie del diritto civile e penale. Nel campo del diritto civile mi occupo in particolare di diritto di famiglia, risarcimento danni, diritto condominiale e contrattualistica. Nel campo del diritto penale offro assistenza in materia di reati contro la persona, contro il patrimonio e reati stradali, sia in favore di imputati che di persone offese. Opero prevalentemente tra le province di Arezzo e Perugia.

Esperienza


Diritto penale

Offro assistenza giudiziale e stragiudiziale in materia penale, con particolare riferimento ai reati contro la persona, contro il patrimonio e reati stradali. Ho frequentato con profitto il Corso Biennale in Tecnica e Deontologia dell'Avvocato Penalista, abilitante all'iscrizione nell'Elenco Nazionale dei Difensori d'Ufficio.


Diritto di famiglia

Ho maturato particolare esperienza nell'ambito di separazioni e divorzi. Offro ai miei clienti assistenza sia in sede stragiudiziale che giudiziale, con particolare attenzione alle possibilità di risoluzione alternativa delle liti in sede stragiudiziale.


Eredità e successioni

Ho seguito svariati casi in materia di eredità e successioni, sia in sede stragiudiziale che giudiziale. Quale intermediario abilitato presso l'Agenzia delle Entrate, fornisco assistenza per la redazione e presentazione della dichiarazione di successione.


Altre categorie

Diritto condominiale, Violenza, Stalking e molestie, Truffe, Sostanze stupefacenti, Diritto civile, Unioni civili, Separazione, Divorzio, Matrimonio, Affidamento, Tutela dei minori, Incapacità giuridica, Diritto assicurativo, Recupero crediti, Contratti, Locazioni, Incidenti stradali, Multe e contravvenzioni, Malasanità e responsabilità medica, Tutela degli animali, Diritto dello sport, Mediazione, Negoziazione assistita, Risarcimento danni, Adozione.



Credenziali

Titolo professionale

Corso Biennale di Tecnica e Deontologia del Difensore Penale

Associazione per la Formazione Forense del Sud della Toscana - 1/2023

Corso di formazione e aggiornamento professionale in materia penale tenuto dall'Associazione per la Formazione Forense del Sud della Toscana nelle sedi di Arezzo, Siena e Grosseto, abilitante all'iscrizione nell'Elenco Unico Nazionale dei Difensori d'Ufficio.

Pubblicazione legale

Divieto di affissione e art. 663 c.p.: un reato quasi dimenticato ma ancora affisso nei centri urbani

Pubblicato su IUSTLAB

Divieto di affissione e art. 663 c.p.: un reato quasi dimenticato ma ancora visibile nei centri urbani Di Avv. Mattia Cardelli Passeggiando per i centri abitati italiani, capita spesso di imbattersi in cartelli o scritte recanti la formula: “Divieto di affissione – Art. 663 c.p.” . Si tratta di un richiamo a una disposizione del Codice Penale raramente applicata, ma ancora formalmente in vigore (con le dovute precisazioni su cui si veda infra ), che affonda le sue radici nella visione pubblicistica dell’ordine urbano tipica degli anni Trenta del Novecento. L’articolo 663 del codice penale, rubricato "Vendita o distribuzione abusiva di scritti o disegni" , punisce oggi con la sanzione amministrativa pecuniaria da 51 fino a 309 euro chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico , pone in vendita o distribuisce al pubblico scritti o disegni senza averne fatto la prescritta dichiarazione o senza l'autorizzazione eventualmente richiesta dall’autorità. Sebbene la norma non riguardi direttamente le affissioni sui muri, il suo riferimento frequente nei cartelli urbani nasce da una prassi amministrativa e interpretativa che tende a richiamare l’art. 663 c.p. come deterrente contro le affissioni abusive. Introdotto con il Codice Rocco nel 1930, l’art. 663 c.p. rifletteva l’esigenza dello Stato fascista di controllare la diffusione della stampa, della propaganda e del pensiero visivo , soprattutto negli spazi pubblici. L’obiettivo era quello di impedire che materiale non conforme alla “moralità pubblica” o alla propaganda ufficiale circolasse liberamente. In quest’ottica, la norma fungeva da strumento di controllo ideologico, più che di ordine pubblico in senso stretto. Con l’evoluzione del sistema democratico e costituzionale, il valore della libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) ha progressivamente ridimensionato la portata repressiva dell’articolo, oggi quasi completamente svuotato di rilevanza pratica. Le affissioni abusive , infatti, sono oggi disciplinate in via primaria da norme amministrative e regolamenti comunali , che prevedono sanzioni pecuniarie ben più attuali e incisive. L’ambito applicativo dell’art. 663 c.p. è stato progressivamente ridotto in ragione di plurimi interventi legislativi e giurisprudenziali. In particolare, deve richiamarsi la pronuncia della Corte Costituzionale n. 1/1956, con la quale, dichiarata l’illegittimità dell’art. 113 t.u.l.p.s., in riferimento all’art. 21 Cost., per l’illimitato potere che la norma attribuiva all’autorità di pubblica sicurezza nel rilascio delle licenze, ha resi di fatto inoperante per incostituzionalità derivata l’art. 663 c.p., da quella norma integrato. Lasciando tuttavia in vigore il c. 5 dell’art. 113 t.u.l.p.s., ai sensi del quale “le affissioni non possono farsi fuori dei luoghi destinati dall’autorità competente” , l’ambito di applicabilità dell’art. 663 c.p. è rimasto limitato alla parte in cui prevede la punibilità delle affissioni fatte senza osservare le prescrizioni dell’Autorità. Nonostante la scarsa applicazione pratica e l’inadeguatezza della sanzione prevista (una sanzione amministrativa pecuniaria massima di circa 300 euro), l’art. 663 c.p. non è mai stato formalmente abrogato. Le scritte sui muri che lo richiamano sono quindi tracce visibili di un passato normativo ormai superato , ma ancora incollato – è il caso di dirlo – al tessuto urbano italiano. L’art. 663 c.p. è ormai una curiosità giuridica più che una norma effettivamente operativa: sopravvive nel Codice e nei muri delle nostre città, ma la sua efficacia sanzionatoria è stata erosa dal tempo e dal progresso costituzionale. Un esempio emblematico di come il diritto penale possa restare visibile anche quando ha perso la sua funzione reale . In fondo, anche le leggi, come i vecchi manifesti, a volte restano incollate più a lungo del necessario.

Pubblicazione legale

Accesso abusivo al sistema informatico e prevedibilità dell'evoluzione giurisprudenziale - Nota a Cass. Pen., sez. V, 11 giugno 2025, n. 22017

Pubblicato su IUSTLAB

Nota a Cass. Pen., sez. V, 11 giugno 2025, n. 22017 Accesso abusivo al sistema informatico e prevedibilità dell'evoluzione giurisprudenziale di Avv. Mattia Cardelli Abstract: La sentenza n. 22017/2025 della Cassazione penale conferma la condanna per accesso abusivo al sistema informatico di un pubblico ufficiale abilitato, evidenziando che l’utilizzo del sistema per finalità estranee ai compiti d’ufficio integra la condotta punibile ai sensi dell’art. 615-ter c.p. La pronuncia affronta il tema della prevedibilità del mutamento giurisprudenziale intervenuto con Sez. U, Savarese (2017), escludendo che si tratti di un overruling imprevedibile. La nota analizza il rapporto tra legalità e interpretazione giurisprudenziale, soffermandosi sui riflessi pratici per la difesa e sui rischi di un’applicazione elastica del concetto di “abusività”. Italian Supreme Court ruling no. 22017/2025 upholds the conviction of a public official for unauthorized access to an IT system, despite the official being formally authorized. The Court confirms that accessing a system for purposes unrelated to official duties constitutes a criminal offense under Article 615-ter of the Penal Code. The decision examines the foreseeability of the jurisprudential shift introduced by United Sections Savarese (2017), ruling out the existence of an unforeseeable overruling. This note explores the balance between the principle of legality and evolving case law, with a focus on practical implications for defense counsel and the risks posed by a broad interpretation of “unauthorized” access. 1. Il caso - 2. Il nodo giuridico: mutamento giurisprudenziale e prevedibilità - 3. La costruzione del dolo e il concetto di “finalità estranee” - 4. Riflessioni critiche - 5. Conclusioni 1. Il caso Con la sentenza n. 22017/2025, la Quinta Sezione penale della Corte di cassazione torna a pronunciarsi in tema di accesso abusivo a sistema informatico ex art. 615- ter c.p., confermando la condanna di un pubblico ufficiale che, sebbene abilitato, si era introdotto più volte nel sistema informatico della Procura di Terni, presso cui era in servizio, per monitorare l’evoluzione di un procedimento iscritto contro ignoti, che coinvolgeva un dirigente dell’ufficio. La Corte d’appello di Perugia aveva riformato la sentenza assolutoria di primo grado, ritenendo che l’accesso fosse avvenuto per finalità ontologicamente estranee rispetto a quelle istituzionali. Il ricorrente ha lamentato innanzi alla Cassazione l’applicazione retroattiva di un principio giurisprudenziale sfavorevole (Sez. U, Savarese , 2017), all’epoca dei fatti (giugno 2016) non ancora consolidato, sostenendo l’imprevedibilità dell’evoluzione interpretativa e, di conseguenza, la violazione del principio di legalità. 2. Il nodo giuridico: mutamento giurisprudenziale e prevedibilità Il punto focale della decisione risiede nel rapporto tra mutamento giurisprudenziale e principio di legalità, con particolare riferimento alla prevedibilità – o meno – dell’interpretazione "in malam partem" dell’art. 615- ter c.p. offerta da Sez. U, Savarese . La Suprema Corte rigetta il ricorso, ritenendo che non si sia in presenza di un overruling imprevedibile, bensì della naturale evoluzione di un indirizzo interpretativo già in itinere all’epoca dei fatti. Secondo i giudici, la pronuncia Savarese non ha “rovesciato” il precedente orientamento delle Sezioni Unite Casani (2012), ma ne ha rappresentato un perfezionamento coerente con le esigenze di tipicizzazione della condotta penalmente rilevante. La Corte richiama consolidata giurisprudenza (Cass. pen., Sez. 3, n. 46184/2021; Sez. 5, n. 37857/2018), secondo cui l’evoluzione giurisprudenziale può applicarsi retroattivamente solo ove “ragionevolmente prevedibile” per il destinatario della norma al momento del fatto. In presenza di un contrasto giurisprudenziale vivente, l’imputato, secondo la Cassazione, non può invocare l’imprevedibilità dell’approdo interpretativo. 3. La costruzione del dolo e il concetto di “finalità estranee” La Corte ribadisce che anche l’accesso al sistema da parte di un soggetto abilitato può essere abusivo se effettuato al di fuori delle finalità istituzionali. Il concetto di “abuso”, quindi, si radica non tanto nella violazione formale di credenziali o limiti tecnici, quanto nel disallineamento ontologico tra scopo dell’accesso e mansioni d’ufficio. Nel caso di specie, la Corte valorizza dati indiziari quali i rapporti personali tra l’imputato e il denunciante, l’inimicizia con la dirigente coinvolta nel procedimento e la reiterazione degli accessi, ricostruendo così un quadro dal quale si evince l’intento di "monitoraggio personale" piuttosto che di gestione dell’atto d’ufficio. Si segnala, dunque, una tendenza a valorizzare profili di carattere finalistico e soggettivo nel delineare l’antigiuridicità della condotta. 4. Riflessioni critiche La pronuncia in esame si colloca nel solco tracciato dalla sentenza Savarese , contribuendo ulteriormente a consolidare una lettura estensiva della nozione di “abusività” nell’accesso ai sistemi informatici. Dal punto di vista della tassatività, però, non mancano profili di criticità. Ad avviso di chi scrive, la definizione di “finalità estranee” può risultare elastica e soggetta a valutazioni connotate da una certa dose di discrezionalità giudiziale. In tale ottica, si pone un problema di precisione normativa e di tutela dell'affidamento del cittadino nella stabilità dell’interpretazione giurisprudenziale. Sul piano difensivo, la sentenza conferma l’onere, per il pubblico ufficiale imputato, di dimostrare non solo la propria abilitazione all’accesso, ma anche la coerenza funzionale dello stesso con le mansioni svolte, pena la sussunzione della condotta nell’alveo dell’art. 615- ter c.p. 5. Conclusioni La Suprema Corte, con la pronuncia in commento, ribadisce la rilevanza penale dell’accesso al sistema informatico da parte del pubblico ufficiale per fini non istituzionali, anche in assenza di violazioni tecniche o formali. La sentenza si muove in continuità con l’indirizzo tracciato dalle Sezioni Unite Savarese , segnando un punto fermo nell’interpretazione dell’art. 615-ter c.p., ma rilancia il dibattito sul confine tra legittimo mutamento interpretativo e violazione del principio di legalità in materia penale. Una decisione che, pur sorretta da una solida ricostruzione evolutiva della giurisprudenza, lascia aperta la questione – mai del tutto pacificata – della prevedibilità e dell’affidabilità dell’interprete giudiziale nell’ordinamento penale contemporaneo.

Leggi altre credenziali (3)

Contatta l'avvocato

Avvocato Mattia Cardelli a Sansepolcro
Telefono Email WhatsApp

Per informazioni e richieste:

Contatta l'Avv. Cardelli per sottoporre il tuo caso:

Accetto l’informativa sulla privacy ed il trattamento dati
Avvocato Mattia Cardelli a Sansepolcro

Avv. Mattia Cardelli

Telefono Email WhatsApp
Telefono Email WhatsApp

Lo studio

Mattia Cardelli
Via Xx Settembre N. 85
Sansepolcro (AR)

IUSTLAB

Il portale giuridico al servizio del cittadino ed in linea con il codice deontologico forense.
© Copyright IUSTLAB - Tutti i diritti riservati


Privacy e cookie policy